Negli ultimi anni, il
cinema messicano è riuscito più volte ad uscire fuori confine, raggiungendo i
lidi statunitensi ed europei. Ovviamente, non ci riferiamo soltanto ai tre
grandi amici, Alfonso Cuaron, Guillermo del Toro ed Alejandro Gonzalez Inarritu,
da cui ha avuto inizio la nouvelle vague messicana ed il grande risveglio
cinematografico di quel Paese, ma anche ad altri autori (su tutti Rodrigo Pla e
Pablo Trapero) stabilmente presenti alla Mostra del Cinema di Venezia.
Museo-Folle rapina a
Città del Messico è stato presentato all’ultima edizione della Berlinale,
portando a casa anche l’Orso d’Argento per la Miglior Sceneggiatura. Alonso
Ruizpalacios racconta e rielabora una storia che, in Messico, ha destato profondo
scalpore: quella di due studenti di Veterinaria che, il 24 Dicembre 2985,
rubarono ben 140 opere del Museo Nazionale di Antropologia di Città del
Messico, riuscendo a passarla liscia. Tuttavia, l’evento non si limita alla
ricostruzione documentaristica dell’accaduto ma inserisce una rielaborazione funzionale
che impreziosisce il racconto e dona a quanto mostrato una sfumatura
differente.
Juan e Benjamin sono
due eterni fuoricorso, continuano a vivere a casa con i genitori, hanno un
difficile rapporto con i loro padri, ascoltano i Pink Floyd e non sanno bene
cosa fare della loro vita. Così, iniziano a progettare un colpo grosso. La
missione va a buon fine e i due riescono a tornare a casa con un ricchissimo
bottino. Tuttavia, il caso del loro furto viene riportato dai media messicani
come un attacco all’intera storia nazionale che disgusta l’opinione collettiva.
Le autorità offrono una ricompensa a chiunque sapesse qualcosa sui criminali e,
in preda al panico, Juan e Benjamin decidono di fuggire. Il loro viaggio
assumerà presto una brutta piega.
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Insomma, Museo-Folle
rapina a Città del Messico è un ottimo esempio di trattazione dei personaggi e
di costruzione di riflessioni su diversi gradi.
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