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venerdì 28 giugno 2019

DUE AMICI

di Matteo Marescalco

«Trovo che tu stia diventando. Non so...Insomma, non mi piaci più, ecco. Credo di non sopportare più come mi parli. Dai lezioni morali a tutti. Sei egoista. Si, sei egoista. Una volta lo trovavo bello, figo...Ma sei diventato un mediocre. E poi non sopporto più i tuoi sotterfugi, capisci? Sono un tipo fragile, lo sai».
«Si, lo so».
«Cado molto facilmente e attorno a me ho bisogno di gente chiara, trasparente. Mi dispiace ma credo sia meglio non considerarci più amici».


Cosa potrebbe esserci di più francese di Due Amici, il primo lungometraggio di Louis Garrel? D'altronde, con un papà ed un nonno come Philippe e Maurice Garrel e con un padrino come Jean-Pierre Léaud, non stupisce affatto che i riferimenti di Louis attingano a piene mani dal passato del cinema d'oltralpe.

Clément lavora come comparsa in film cinici e malinconici ed è follemente innamorato di Mona, commessa in un bar vicino alla Gare du Nord. La ragazza nasconde un segreto e questa sua caratteristica la rende ancora più affascinante. Ogni notte, infatti, Mona deve tornare in carcere per scontare la sua pena. Clément è disperato perché vorrebbe che la ragazza si fermasse con lui anche durante la notte. Ma lei non può e, comunque, non vuole saperne. Così, l'uomo chiede aiuto al suo migliore amico, Abel, un flaneur dei sentimenti con velleità poetiche ed impiegato presso un parcheggio notturno. L'intervento di Abel complicherà tutto, com'è logico che sia, e i due ragazzi si troveranno totalmente coinvolti in un'avventura sentimentale che ben presto diventa un circolo vizioso di amori non corrisposti.

Il cinema francese ritorna costantemente su alcune tematiche peculiari: i rapporti amicali ed amorosi, i vincoli familiari e l'ossessione nei confronti di personaggi che attraversano perifericamente la vita. Due Amici è l'opera prima di Louis Garrel e rappresenta, in un certo senso, la proto-risposta elegante ad un film come Mektoub: My Love. Tanto il secondo sbatte in faccia allo spettatore i corpi dei suoi attori in una danza baccantica osservata attraverso lo sguardo maschile, quanto il film di Garrel costruisce una serie di impasse divertenti e commoventi. C'è molta aria in questo dramma da camera che esce tra le strade francesi e che insegue la vacanza di due giorni di Clement, Mona ed Abel, tre precari della vita e dei sentimenti che si destreggiano con malinconica bellezza.

I tre sono alla costante ricerca di un rifugio in cui custodire i loro sentimenti dal caos della vita. Ogni stratagemma giunge al momento giusto e serve ad eludere la possibilità di un punto di arrivo. Con uno sguardo onnipresente ai miti culturali e all'immaginario francese, Garrel crede che la vita imiti il cinema. Per questo, Due Amici si trasforma in un processo di educazione sentimentale privo di centro, in cui ad esistere sono soltanto le colpe ed i rimpianti di personaggi mai troppo seri o disperati. Per questo motivo, è possibile dire che il regista è riuscito a dar vita ad un piccolo affresco sentimentale sulla timidezza e sulla sua sospensione, sull'intimità e sui desideri erotici, su esseri umani ai margini della vita ma al centro di un luogo magico in cui abbandonarsi al dramma semi-serio dell'amore. 

giovedì 27 giugno 2019

ANNABELLE 3

di Matteo Marescalco

Negli ultimi anni, il cinema horror statunitense è stato dominato dallo scontro a distanza tra New Line Cinema (sussidiaria della Warner Bros) e Blumhouse Productions (alleata con Universal Pictures e Paramount). Gli incassi hanno sorriso ad entrambe le case di produzione e i consensi critici sono arrivati in gran numero sia per lo studio fondato nel 1967 sia per quello costruito con la velocità di un fulmine a ciel sereno da Jason Blum. 

Eppure, probabilmente, nonostante una metodologia di lavoro molto austera che punta su budget compresi tra i 3 e i 5 milioni, è possibile dire che Blumhouse si trovi ancora qualche passo avanti rispetto a New Line. Basti pensare che la carriera di James Wan, l’architetto del Conjuring Universe (una sorta di universo horror modellato sull’esempio ben più ampio del Marvel Cinematic Universe), è stata rilanciata proprio dall’intervento di Jason Blum, che, quando nessuno credeva in lui, ha prodotto per il cineasta malaysiano la saga di Insidious. Da quel momento in poi, gli incassi per l’horror hanno subito un’impennata, Wan è passato a lavorare per Warner Bros (ed è anche stato chiamato alla regia di Aquaman) e il modo di fare cinema di Blum ha fatto numerosissimi proseliti, tra cui Gary Dauberman, sceneggiatore della saga di Annabelle

Un prodotto come The Conjuring ha trasformato lo stile Blumhouse e lo ha adattato a budget lievemente maggiorati. Pochi attori, una sola casa, particolare attenzione nella gestione dello spazio scenico, CGI pressoché assente e profusione di effetti artigianali: queste caratteristiche si sono sposate alla perfezione con l’ossessione per il maligno del cinema di James Wan. Sta di fatto che il franchise di The Conjuring ha dato vita anche a The Nun, ai tre episodi di Annabelle e a La Llorona, affermandosi come uno dei marchi più interessanti nel cinema horror del nuovo millennio. Dopo aver curato le sceneggiature di IT e dei primi due episodi di Annabelle, Gary Dauberman è passato alla regia, occupandosi del capitolo meglio realizzato della saga. 

Determinati ad impedire ad Annabelle di continuare a seminare il caos, i demonologi Ed e Lorraine Warren portano la bambola posseduta nella stanza dei manufatti, rigorosamente chiusa a chiave. La coppia mette Annabelle al sicuro dietro un vetro consacrato e ottiene la santa benedizione da parte di un sacerdote. Un anno dopo, però, la figlia dei Warren e le sue amiche trascorrono una notte di orrore, dopo aver visitato la senza blindata risvegliando Annabelle e tutti gli spiriti maligni che tornano in vita grazie alla sua mediazione. 

È inevitabile: il genere horror nasce dagli anfratti oscuri della nostra anima. Il nero e l’oscurità sono il punto cieco e dark da cui ogni visione deve passare per venire alla luce. E Annabelle 3 ha l’ottimo merito di costruire una modalità di sviluppo particolarmente concentrata sui personaggi che porta in scena. Dopo un prologo azzeccato che coinvolge Ed e Lorraine Warren, la coppia lascia il posto ad attori che traghettano il capitolo verso un target differente. Fondamentalmente, infatti, il film di Dauberman è un coming-of-age privo dell’aspetto più hardcore del genere. Piuttosto che costruire scene che facciano saltare lo spettatore dalla paura, il regista e sceneggiatore è interessato alla resa dei personaggi, esseri umani fragili i cui traumi orientano ogni loro scelta. Non sorprende, quindi, trovare un primo atto e mezzo dilatato in cui non succede quasi nulla ma che serve per preparare il terreno ad un terzo atto che deflagra con forza e trascina il film verso il binario del ghost-movie. Nel corso dei 100 minuti circa di durata, Annabelle 3, come fosse un demone, cambia forma, abbraccia lo slasher, il trap-movie, l'home-invasion, come già detto il ghost-movie e persino il dramma adolescenziale.

Il merito maggiore di questo buon film, tuttavia, risiede proprio nella costruzione della paura e nel trattamento anti-climatico cui è sottoposto lo sviluppo del racconto. Più e più volte, infatti, il regista si diverte ad accumulare tensione che verrà improvvisamente rilasciata in un nulla di fatto. Un merito a parte va ad una particolare sequenza che gioca con i media e lo spoiler (ma è meglio non anticipare nulla). In definitiva, Annabelle 3 rappresenta un bel passo avanti per la saga sulla bambola demoniaca ed un ottimo nuovo ingresso per il Conjuring Universe di James Wan.

CORRI CON FORREST GUMP! LA NUOVA EDIZIONE HOME-VIDEO E' DISPONIBILE DAL 12 GIUGNO!

di Matteo Marescalco

Grazie a Universal Home Entertainment, la nuova edizione home-video di Forrest Gump è disponibile presso tutti gli store fisici e digitali a partire dal 12 Giugno. Quale migliore momento per rinchiudersi in casa e guardare, ancora una volta, uno dei migliori film di Robert Zemeckis? 

Seduto su una panchina ad una fermata del bus, Forrest Gump percorre gli ultimi 30 anni di storia americana ricordando la propria infanzi. Dai problemi mentali e fisici all'amore per Jenny e, ancora, dalla Guerra del Vietnam fino alla stretta di mano con John Fitzgerald Kennedy. 

Finalmente, il film è disponibile in una nuova edizione edita appositamente per il 25esimo anniversario. La nuova veste grafica e un intero disco ricco di contenuti speciali rendono l'acquisto particolarmente appetibile. All'interno del formato blu-ray, si trovano oltre 3 ore di contenuti extra ed un esclusivo booklet con le frasi più celebri del film per conoscere sempre più a fondo uno dei personaggi più iconici dell'immaginario collettivo. L'edizione in DVD è particolarmente ricca di Contenuti Speciali e, grazie a Universal, abbiamo avuto modo di darle uno sguardo in anteprima. 

Iniziamo dai Commenti audio del regista Robert Zemeckis, del produttore Steve Starkey, dello scenografo Rick Carter e del produttore Wendy Finerman. Poi, Il mondo visto attraverso Forrest Gump-il dietro le quinte è uno speciale dedicato al backstage del film che consente allo spettatore di incontrare tutti i personaggi di Forrest Gump. Le meraviglie del make-up pone l'attenzione su un aspetto spesso poco considerato nel mondo del cinema. Il mondo sentito attraverso Forrest Gump-gli effetti speciali sonori e La realizzazione del mondo di Forrest Gump-il dietro le quinte completano ulteriormente quanto presentato finora. Un approfondimento particolarmente interessante sul modo in cui Forrest Gump è stato fatto è Vedere per credere-la realizzazione di 11 effetti speciali visivi (con due scene inedite). Infine, Galleria Fotografica, I provini degli attori e Due trailer cinematografici completano un'edizione davvero straordinaria. 

Scheda tecnica
Supporto: DVD
Titolo: Forrest Gump
Durata: 2h 22minuti
Genere: Commedia, Drammatico
Produzione: USA 1994
Regia: Robert Zemeckis
Sceneggiatura: Eric Roth
Cast: Tom Hanks, Robin Wright, Gary Sinise, Sally Field, Haley Joel Osment
Distribuzione: Universal Home Entertainment
Data di uscita: 12/06/2019
Formato video: Anamorphic Widescreen 2.35:1
Audio: Dolby Digital 5.1 Italiano, Inglese
Sottotitoli: Italiano, Inglese, Danese, Islandese, Finlandese, Norvegese, Olandese, Svedese
Contenuti Speciali: Commento audio del regista, Commento audio dei produttori, Il mondo visto attraverso Forrest Gump, Le meraviglie del make-up, Il mondo sentito attraverso Forrest Gump, La realizzazione del mondo di Forrest Gump, Vedere per credere, Galleria fotografica, I provini degli attori, Due trailer cinematografici

TOY STORY 4

di Matteo Marescalco

Da quando è arrivata al cinema nel lontano 1995, la saga di Toy Story si è affermata con prepotenza nell'immaginario collettivo. Nessun altro film d'animazione, probabilmente, è stato in grado di rappresentare allo stesso modo la politica autoriale di una casa di produzione e di affermarsi come manifesto dello studio. Toy Story è stato il primo titolo ad essere stato sviluppato interamente in CGI e, in tal modo, ha rappresentato una rivoluzione totale nell'ambito del cinema hollywoodiano riuscendo ad aggiungere un tassello in più ad ogni nuova uscita.

Il terzo episodio del franchise chiudeva alla perfezione le avventure di Woody e Buzz, i giocattoli che hanno accompagnato Andy durante la sua crescita e che si sono ritrovati a fare i conti con il suo coming-of-age. Come definire la propria identità quando il proprietario storico è diventato adulto e non gioca più con i suoi compagni di infanzia? I primi tre episodi della saga seguono ad anni di distanza l'uno dall'altro l'evoluzione dei personaggi, come fossero degli Antoine Doinel del cinema d'animazione, inseriti in un contesto filmico che consente la convivenza tra cinema classico e avanguardia animata. Il digitale, infatti, cerca continuamente i segni del passato e si definisce in base alle immagini che hanno fatto la storia del grande cinema hollyoodiano. In tal senso, Toy Story 3 è davvero un gigantesco contenitore di immaginario che custodisce al proprio interno un'insolita densità di indizi. La Monument Valley, il last minute rescue, i dolly hitchcockiani, la grande fuga e la atmosfere horror abbracciano una ricchezza di significato che proietta il film verso il grande pantheon del passato. È proprio quest'abbondanza di indizi a consentire la sopravvivenza del cinema classico nel contesto dell'avanguardia animata.

Se possibile, Toy Story 4 va persino oltre. Perchè, dopo aver ufficialmente chiuso l'arco evolutivo di Andy, il film ha l'estremo coraggio di presentare il dilemma morale che perseguita Woody: chi sono io? Woody, Buzz e Mr. Potato sono dei semplici pupazzi che si caratterizzano in quanto compagni di bambini e che, una volta portato a compimento il loro percorso, cessano di avere un significato o sono portatori del libero arbitrio? È possibile la riconciliazione e la felicità oppure malinconia e vecchi ricordi rischiano di mandare in pezzi le nostre certezze? Toy Story 4 è un film dai significati polivalenti, costruito per un pubblico di bambini e, molto più dei precedenti episodi, per il pubblico il cui arco evolutivo è stato segnato proprio alla rivoluzione della Pixar. La solitudine e la fine dei giochi di infanzia sono i temi su cui Josh Cooley focalizza la sua attenzione. Woody non è più il giocattolo preferito di Bonnie ma, per senso del dovere, continua ad essere ossessionata dalla sua piccola proprietaria. Ciò che il nostro cowboy preferito non sa è che fuori esiste un universo immane in attesa del nostro arrivo. Ne è la dimostrazione il personaggio di Bo Peep, protagonista di un'evoluzione da lasciare sbalorditi. Nei primi due episodi, la pastorella era a suo agio nel ruolo della ragazza salvata all'ultimo istante dalla compagnia di Woody. In linea con i tempi, adesso Bo è una donna emancipata ed intraprendente in grado di salvare e di orientare le nuove scelte del cowboy.

A fare da contorno è un gruppo di personaggi che spezzano letteralmente il fiato. Duke Caboom è uno stunt-man con il trauma di essere stato rinnegato dal suo bambino perché non in grado di fare il salto nel cerchio di fuoco come nella pubblicità; Gabby Gabby ha un difetto di fabbrica che le impedisce di parlare bene e vorrebbe essere amata da una bambina; Ducky e Bunny sono due peluche che si interrogano sulla loro ontologia e rimangono esterrefatti dalla fuffa che i loro corpi contengono; infine, Forky nasce dalla spazzatura e si chiede se sia un giocattolo o soltanto uno scarto.

Insomma, la Pixar è in grado, ancora una volta, di sparigliare le carte e di dare vita ad unnotevolissimo sequel in grado di portare in scena importanti dilemmi morali. Persino Woody, l'assoluto protagonista (o, forse, co-protagonista) della saga è portato ad interrogarsi su sé stesso e sul suo passato, comprendendo che ogni cosa è destinata alla fine, persino i momenti più belli e gioiosi. Fuori ci attende un gigantesco parco di divertimenti verso cui dobbiamo lanciarci per provare a volare verso l'infinito e oltre. In fondo all'abisso per trovare il nuovo.

venerdì 14 giugno 2019

BEAUTIFUL BOY

di Maria Concetta Fontana

Dopo Ben is Back con Julia Roberts nei panni di una madre che cerca di salvare il proprio figlio dalla tossicodipendenza, ritorna sul grande schermo un film che racconta una storia simile ma questa volta attraverso il rapporto tra padre e figlio. Si tratta di Beautiful Boy del regista belga Felix Van Groeningen, pellicola presentata alla scorsa Festa del cinema di Roma e che può contare su un cast composto da un attore affermato come Steve Carrel e dall’emergente e già molto apprezzato Timothée Chalamet.
 
Il film si ispira a due autobiografie, quella di David Sheff e di suo figlio Nic, protagonisti di una vicenda narrata in maniera brutalmente sincera, in cui viene mostrato come il problema della droga possa colpire una normale famiglia benestante in maniera così potente da rischiare di portare al crollo del giovane che ne è vittima e a quello delle persone care che cercano di aiutarlo. In particolare la scena in cui il padre e la nuova compagna partecipano a un gruppo di supporto per familiari con parenti tossicodipendenti mostra tutta la sofferenza causata a coloro che vivono accanto a persone che, anche se ancora in vita, sembrano già morte.
Nic Sheff è uno studente modello, ama scrivere ed è stato ammesso in tutti i college per cui ha fatto richiesta. Gli piace anche la buona musica e, ogni tanto, fuma qualche canna, o almeno così crede il padre. In realtà il ragazzo ha cominciato a sperimentare vari tipi di droga in grado di provocare danni irreversibili al cervello.
 
La storia è un continuo alternarsi tra un passato felice e spensierato e un presente che sembra esserlo ancora ma non lo è più. Nic, infatti, a dispetto delle apparenze è caduto in una situazione di apatia e insoddisfazione nei confronti di ciò che lo circonda, un malessere da cui soltanto le droghe pensa possano tirarlo fuori. Timothée Chalamet dà ancora una volta prova della sua straordinaria capacità recitativa, immergendosi in questo ruolo complesso con grande delicatezza e mostrando la vulnerabilità di un adolescente che nonostante l’aiuto della famiglia e i periodi di ripresa non riesce a trovare la forza di uscire dalla dipendenza. A sua volta Steve Carrel interpreta con passione un padre che, inizialmente sconvolto dalla scoperta dei problemi del proprio figlio perfetto, cerca da subito una soluzione, paga i migliori e più costosi rehab per farlo guarire, addirittura prova la stessa droga che sta uccidendo Nic per tentare di mettersi nei suoi panni. Con il passare del tempo, scopre però che il percorso è tutt’altro che semplice e lineare. 
 
A differenza del personaggio interpretato da Julia Roberts che, fino alla fine, non smette di lottare anche quando tutto sembra far perdere la speranza, David, a un certo punto, inizia a mollare la presa.
Beautiful Boy è un film che sicuramente emoziona, grazie anche alle due ottime interpretazioni di Carell e Chalamet, ma a volte risulta un po’ confusionario. L’ampio utilizzo dei flashblack non avviene in maniera cronologica, ma ai momenti in cui Nic era un ragazzino si alternano salti temporali che portano ancora più indietro, quando era soltanto un bambino. Il presente è fatto di continue cadute e riprese, con un susseguirsi di scene che non mostrano alcun vero cambiamento nel percorso del protagonista.
 
Inoltre, benché la pellicola sia ispirata alle biografie di padre e figlio, si concentra più sul dramma del primo, ma non si riesce davvero a entrare nella mente di Nic e a capire cosa abbia spinto un ragazzo come lui verso la droga e a un dipendenza tanto grave che non gli consente di rialzarsi davvero.
Tutto è lasciato alle pagine piene di dolore del diario personale del giovane e all’interpretazione di Chalamet, che mostrano bene le conseguenze dello stato d’animo fragile di questo giovane, ma non la profonda causa scatenante.

giovedì 13 giugno 2019

IL GRANDE SALTO

di Maria Concetta Fontana

Il grande salto rimette insieme, questa volta sul grande schermo, Giorgio Tirabassi e Ricky Memphis, nei panni di Rufetto e Nello, due amici e compagni di rapine rigorosamente finite male.
 
Dopo quattro anni trascorsi in prigione i due conducono una vita al limite della povertà. Entrambi sono senza lavoro e mentre uno è costretto a stare insieme alla moglie e al figlio in casa dei suoceri, l’altro dorme in una sorta di scantinato e soffre perché non riesce a trovare una donna. A un certo punto decidono di organizzare un colpo che possa far svoltare per sempre le loro vite e riconquistare la dignità perduta, ma purtroppo, puntualmente e più di una volta, le cose non vanno come sperato. Un destino ostile si abbatte con insistenza quasi maniacale contro di loro, fino a un finale dolceamaro. 

Il film è l’esordio alla regia di Giorgio Tirabassi, che è anche co-autore della sceneggiatura, in grado di alternare scenette comiche e surreali a momenti melodrammatici. A livello comico a momenti più riusciti, in particolare quelli dei battibecchi tra Rufetto e i suoceri, e i due brevi ma spassosi interventi di Valerio Mastandrea e Marco Giallini, si contrappongono altri in cui le battute risultano un po’ banali e poco incisive.

In definitiva quella di Giorgio Tirabassi è una commedia amara in cui a prevalere è quest’ultimo aspetto. Ciò che emerge, infatti, è una periferia romana, e in generale un’Italia, in cui le possibilità di riscatto sono poco o nulle, in cui il destino fa di tutto per mostrare che non c’è via di uscita. E allora forse non resta che trasformare quella sorte ostile in una possibilità di successo. Nell’ultimissima scena del film, infatti, si cambia nuovamente registro e si ritorna alla commedia fatta di situazioni grottesche e improbabili.

Forse però si sarebbe dovuto mantenere un maggiore equilibrio e allo stesso tempo osare di più, lasciando prevalere nella conclusione quel tono drammatico molto presente, invece di ribaltare ulteriormente le carte in tavola con una soluzione finale che lascia abbastanza perplessi.

mercoledì 5 giugno 2019

X-MEN: DARK PHOENIX

di Matteo Marescalco

A partire dal 2000, il franchise di X-Men ha raggiunto la cifra incredibile di ben 11 film, per lo più diretti da Bryan Singer. Da domani arriverà in sala X-Men: Dark Phoenix, l'ultimo episodio della saga, diretto da Simon Kinberg. 
Siamo nel 1992. Gli X-Men vivono un periodo di relativa tranquillità grazie alla scelta del Professor Xavier di utilizzare i suoi migliori studenti in missioni di soccorso internazionale. All'improvviso, il Professore riceve la telefonata del Presidente degli Stati Uniti che lo avverte del fatto che un equipaggio è rimasto intrappolato in una navicella nell'orbita spaziale, in procinto di essere investita da una sorta di nube energetica. Il team composto da Ciclope, Jean Grey, Nightcrawler, Storm e Quicksilver accetta la missione, consapevole di rischiare la vita. Durante l'operazione di salvataggio, però, Jean Grey viene investita in pieno dalla tempesta solare. Incredibilmente, la ragazza riesce ad assorbire la straordinaria onda d'urto. Qualcosa in lei, però, è cambiato. 

Dopo 11 anni, possiamo dire che l'attuale saga degli X-Men è arrivata a fine corsa. I personaggi sono invischiati in un vortice di serietà che non li aiuta e anche gli attori sembrano ormai poco convinti nelle loro interpretazioni. Dopo il clamoroso successo di Avengers: Endgame e del precedente Infinity War, qualsiasi cinecomic contemporaneo rabbrividirebbe al solo pensiero del paragone. E Dark Phoenix ne esce con le ossa rotte. Dal design dei personaggi alle motivazioni dei cattivi, ogni cosa appare abbastanza banale e minimalista. Una delle poche sequenze che, in fin dei conti, convincono è quella ambientato sul treno durante l'ultima mezz'ora. Finalmente, ogni eroe usa i propri poteri in modo intelligente e la gestione degli spazi è più che buona. Ma finisce tutto lì. 

Desta curiosità il ritorno del marchio alla Marvel, pronta a rivitalizzare un franchise giunto alla sua fine.

I MORTI NON MUOIONO

di Matteo Marescalco

L'ultima volta che Jim Jarmusch si è accostato al genere horror (è davvero lecito parlare di horror?) come costrutto culturale e di genere era il 2013. Barack Obama era Presidente degli Stati Uniti e Scappa – Get Out non era ancora arrivato in sala. D'accordo, il 2013 era già molto diverso dal 2009 ma, all'epoca, la percezione del mondo era abbastanza differente da quella che si ha oggi. Quanto è cambiato, in concomitanza con i tempi, il cinema di Jim Jarmusch? Dai vampiri agli zombie, in effetti, il salto è abbastanza breve.

I morti non muoiono ha aperto l'ultima edizione del Festival del Film di Cannes. Un cast spettacolare (Bill Murray, Adam Driver, Selena Gomez, Chloe Sevigny, Tilda Swinton, Steve Buscemi, Danny Glover) ha passeggiato sulla Croisette e ha convogliato incredibili aspettative sul film, che racconta la storia di un'apocalisse zombie. L'asse terrestre è stato deviato e le conseguenze non tardano a presentarsi in tutto il mondo. In modo particolare, la ridente cittadina di Centerville si trova ad affrontare i non-morti con l'enorme bagaglio culturale che il cinema concede in dote ai suoi amanti. Nessun abitante di Centerville, infatti, sembra essere particolarmente sorpreso dell'arrivo degli zombie o, quanto meno, è come se ognuno stesse assistendo ad uno spettacolo già visto e persino vissuto. Addirittura, durante uno degli ultimi scambi del film tra il personaggio di Adam Driver e quello di Bill Murray, il primo dice al secondo di conoscere il finale del film perché ha letto tutta la sceneggiatura scritta da Jim. Ma sarà davvero così? Nella vita non c'è più spazio per eventuali scarti? Non proprio. E il destino che attende i due somiglia molto da vicino a quello riservato al critico cinematografico in Lady in the water di M. Night Shyamalan.

Insomma, dai vampiri eleganti ed affascinanti di Solo gli amanti sopravvivono, Jarmusch è passato ai bifolchi di provincia del Make America White Again. Gli animali impazziscono, i glitch imperversano su tutti gli schermi, gli orologi e i cellulari smettono di funzionare e il tempo si apre ad improvvise deviazioni dalla quotidianità. Così tutti i personaggi si trovano ad abitare uno spazio altro, una contemporaneità iper-semiotizzata in cui vige la regola della semplificazione. In tal senso, però, anche il film rischia più volte di trasformarsi in un contenitore privo di contenuti che facciano qualcosa di diverso dal rimandare al cinema del suo autore. Dalla reunion di volti fedelissimi alle strane voglie dei non morti (tra i loro desideri figurano caffè, xanax, wi-fi e smartphone), tutto urla il nome di Jim Jarmusch e degli omaggi al mondo del (suo) cinema.

La brutta conseguenza di questo gioco inter-testuale portato al limite consiste nel fatto che ad essere inficiata sia la forza del racconto, ridotto a mero divertissement di genere chiuso su sé stesso. L'apertura c'è, come già detto, ed è affidata al personaggio di Tom Waits. Ma davvero bastano pochi minuti a riscattare un intero film? La risposta, ovviamente, dipende soltanto da voi.

lunedì 3 giugno 2019

PETS 2

di Matteo Marescalco

Finalmente, Giugno è arrivato. E, insieme al mese che sancisce il ritorno della stagione estiva, ha debuttato anche un clima mite che allontana i fantasmi di un inverno particolarmente rigido e lungo. Ma ciò che ci interessa è che Giugno porta con sé anche Pets 2, il sequel del film che è stato presentato in anteprima alla 73esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.

In quell'occasione, Chris Meledandri, CEO di Illumination Entertainment, ha anche ricevuto un premio alla carriera per il contributo apportato al mondo dell'animazione digitale. In effetti, nel giro di pochi anni, Illumination è riuscita a mettere a segno una serie di ottimi film, tra cui Cattivissimo me, Minions, Sing e proprio Pets. In modo particolare, quest'ultimo titolo muove da un assunto caro ai geni creativi della Pixar, ancora inarrivabili.

Cosa fanno i nostri animali domestici quando sanno di non essere osservati? Il concept di partenza, in effetti, è molto simile a quello della saga di Toy Story ed è ben sviluppato, almeno nel primo episodio di Pets. Il film d'animazione, infatti, oltre a costruire un eccellente comparto visivo, in grado di riprodurre alla perfezione l'ambiente di New York e di renderlo appetibile alla vista e alla curiosità dei più piccoli, è stato capace di costruire un racconto coeso e compatto, pur non disdegnando una serie di gag slapstick che hanno fatto la fortuna di Illumination. Insomma, Pets riusciva perfettamente a fondere l'attenzione ai corpi delle proprie creature digitali, trasformandoli in oggetti ironici, e al corpus narrativo.

È proprio in questo aspetto che Pets 2 soffre maggiormente. Il racconto riprende dal matrimonio e dalla gravidanza di Katie, la padroncina del piccolo Max. Il cagnolino si troverà coinvolto in un coming-of-age dal sapore particolare. Il viaggio che compirà in compagnia della sua famigliola scalfirà, infatti, tutte le sue certezze sul figlioletto di Katie e sul proprio ruolo. Una menzione particolare spetta a Galletto, un burbero cane da pastore che non ha mai conosciuto l'ambiente cittadino. Galletto rappresenta la wilderness contrapposta alla civilization di Max. Lo scontro, com'è ovvio, servirà a far comprendere a Max tratti inaspettati del suo carattere.

Come già detto, il problema principale di Pets 2 risiede nelle molteplici linee narrative che il film sviluppa. Attorno all'asse del racconto (il viaggio in campagna di Max), gli sceneggiatori costruiscono altre due storyline che poi andranno a convergere nel finale. Tuttavia, non c'è linea narrativa che sia legata alle altre e che presenti un racconto forte e ben strutturato. Nelle tre narrazioni, infatti, sono le gag fisiche ad attrarre l'attenzione dello spettatore più giovane. Ogni aspetto è costruito sulla comicità slapstick degli animaletti domestici e sui tratti salienti dei loro comportamenti. Insomma, sembra quasi che sia stata data più importanza alla singola e circoscritta gag piuttosto che alla progressione narrativa di ampio respiro.

Ed è un vero peccato perché, visti gli standard di Illumination Entertainment, era lecito aspettarsi qualcosa in più del minimo sindacale.