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lunedì 30 dicembre 2013

TOP TEN e FLOP TEN 2013

di Matteo Marescalco

Ecco. Come ogni fine anno che si rispetti, è arrivato il tempo di fare classifiche. E, vi assicuro, non c'è cosa più inutile e divertente che classificare quanto visto o letto durante l'anno appena trascorso. Lo ammetto, stilare classifiche è sempre stata una mia mania, ricordo ancora quanto tempo ho trascorso (e trascorro tuttora), nel corso degli anni, a ordinare e riordinare la mia collezione di dvd originali e i libri che tengo nella libreria di casa mia. E, in fin dei conti, ordinare equivale a fare una classifica: classificare i propri film in ordine alfabetico, per autore, genere, anno di produzione. O, semplicemente, per colore di copertina (ahimè, ho provato anche questo dubbio stile di classificazione dall'originale gusto estetico). Classificare (quindi ordinare) dà una sensazione di "potenza" e di controllo assoluto, è strettamente connesso all'attribuzione di un senso al caos totale.
Vabbè, ma che ve frega a voi di queste lagne. Beccatevi le mie Top ten e Flop ten del 2013. E ricordate, le mie classifiche sono come i trenini delle feste di Jep Gambardella: sono le più belle di tutte ma, in fin dei conti, non vanno da nessuna parte.
P.S. Se volete farvi del male e siete interessati alla recensione del film in classifica, basta cliccare sul titolo.

TOP TEN 2013
5) Her di Spike Jonze
6) Why don't you play in hell di Sono Sion
8) Las brujas de Zugarramurdi di Alex de la Iglesia
9) La moglie del poliziotto di Philip Groning
10) Noi siamo infinito di Stephen Chbosky

FLOP TEN 2013
1) Holy motors di Leos Carax
3) Another me di Isabelle Coixet
4) Tir di Alberto Fasulo
5) La vita di Adele di Abdellatif Kechiche
6) Kill your darlings di John Krokidas
7) The wind rises di Hayao Miyazaki
8) The Zero Theorem di Terry Gilliam
10) Tracks di John Curran




martedì 24 dicembre 2013

I SOGNI SEGRETI DI WALTER MITTY

di Matteo Marescalco
 
Walter Mitty (n.): "An ordinary and timid person who indulges in fantastic and adventurous daydreams of personal triumphs".

Dopo Giovani, carini e disoccupati, Il rompiscatole, Zoolander e Tropic Thunder, Ben Stiller torna dietro la macchina da presa per realizzare la trasposizione di un breve racconto del vignettista ed umorista americano James Thurber, I sogni segreti di Walter Mitty, già portato sullo schermo da Norman McLeod nel 1947.
Il protagonista del film, Walter Mitty, è il tipico uomo comune, conduce una vita anonima e da ben 16 anni è responsabile dell'archivio fotografico della rivista Life, è innamorato di una donna con cui non ha il coraggio di dichiararsi e si incanta e sogna ad occhi aperti effettuando soventi viaggi di fantasia. Un giorno, quando arriva la notizia della chiusura della versione cartacea di Life a favore di quella online (ad opera di un gruppo di rottamatori immaturi ed ignoranti), e si pone il problema della realizzazione della copertina dell'ultimo numero, Sean O'Connell, uno dei più grandi fotografi di sempre, invia a Mitty il negativo della foto che ha definito ritraente la quintessenza della vita. Negativo che, tuttavia, viene dato per disperso. Sarà proprio Walter, che durante la sua vita non è mai uscito dal suo rassicurante e cadenzato ritmo quotidiano, eccetto che nei suoi sogni ad occhi aperti, ad andare alla ricerca del fotografo e del negativo, in un'avventura al di là di ogni sua fantasia.
The secret life of Walter Mitty, questo è il titolo originale del film, rappresenta l'approdo all'età adulta e alla maturità per Ben Stiller che, già, nella parodia di guerra, Tropic Thunder, aveva dato prova di una piena consapevolezza dei meccanismi simulacrali che dominano il mondo del cinema hollywoodiano, e che, qui, sveste la sua tipica maschera da commedia demenziale a favore di una più orientata verso uno spiccato atteggiamento drammatico e nostalgico che non lesina comunque trovate ironiche e che ben si adatta al ritmo complessivo del film che si sviluppa su vari livelli di lettura. La quinta regia di Stiller, che ha dato anima e corpo a Walter Mitty, anche per quanto riguarda i costi di produzione che si sono aggirati intorno ai 90 milioni di dollari (una cifra notevole per un film del genere), può innanzitutto essere definita come un romanzo di formazione incentrato su una detection on the road, la ricerca della #25, la venticinquesima foto dell'ultimo rullino inviato da Sean O'Connell, interpretato da Sean Penn che incarna, con il suo volto scavato e profondamente invecchiato, la figura di un fotografo freelance che ha completamente indirizzato la propria vita alla sua passione ("Vedere le cose a migliaia di chilometri di distanza, le cose nascoste dietro le pareti e

all'interno di una stanza, cose pericolose da raggiungere...per poi restare stupiti", come recita il motto di Life), in continui viaggi alla ricerca di attimi irripetibili, consapevole, tuttavia, che ciò che è veramente bello non può essere catturato, ma deve essere semplicemente osservato senza l'interposizione dell'obiettivo della macchina fotografica. O'Connell scatta ancora fotografie su pellicola, è un idealista, come Walter Mitty, che si occupa, nel suo impiego, della gestione dell'intero archivio fotografico di Life, "custode" di un immenso patrimonio di ricordi consistenti e palpabili, di un archivio che è lontano anni luce dalla smaterializzazione digitale dell'immagine fotografica, idealista come Ben Stiller, che ha girato questo film su pellicola e che ha dichiarato, nella conferenza stampa che si è tenuta venerdì 13 dicembre a Roma che, visto il tema trattato nel film, non avrebbe potuto fare altrimenti, fissando come fine programmato del film un atto d'amore nei confronti dei vecchi metodi di ripresa. Perchè I sogni segreti di Walter Mitty è, e questa è un'altra chiave di lettura, un film profondamente metacinematografico che si interroga, alla maniera del recente Her di Spike Jonze e di Avatar di James Cameron, sul passaggio del Cinema dalla tecnologia analogica a quella digitale e, soprattutto, sul modo in cui possono sopravvivere le relazioni umane all'epoca dei social network, in cui si è soli in mezzo alla gente. E, se Her e Avatar individuavano nella voce e nell' immagine affezione dell'occhio (elemento metacinematografico per eccellenza) degli elementi peculiari alla
condizione e agli affetti umani, il Walter Mitty di Ben Stiller individua nella mente umana creatrice-regista dei propri sogni la base da cui partire per dare il via alla riscossa e ad un deciso cambio di rotta in vite sempre più attraversate dalla più comune indifferenza. Oltre ad essere un sentito e commosso atto di amore nei confronti della pellicola e dei supporti fotografici "cartacei", questo film tratta anche il problema del mondo del lavoro e dei licenziamenti, orchestrati da una politica di giovani descritti come completi idioti che non conoscono il reale valore del passato. Ed è in questo che, probabilmente,  il film pecca di una lieve dose di infantilismo ed ingenuità, nell'andare ad individuare nella modernità e nel progresso digitale ed informatico, con fin troppa facilità, il seme di ogni male e nella tecnologia un ostacolo ai rapporti reali. I sogni ad occhi aperti vengono quasi sempre trattati da Ben Stiller come la base da cui partire, elementi che consentano l'avvio di una determinata azione, anche se sappiamo che nella realtà non sempre ciò è possibile.
A livello stilistico ed estetico, a spiccare sul resto del film, che non eccelle in raccordi di montaggio e che, man mano che va avanti si fa sempre più sfilacciato a livello diegetico, perdendo in compattezza ed organicità del corpus narrativo, è la prima mezz'ora, caratterizzata da sequenze ordinate in modo geometrico con particolare rigore nella disposizione dei corpi nel profilmico e da un'assoluta corrispondenza tra forma e contenuto: le scene ambientate in un contesto reale sono girate con camera fissa e monotone carrellate, i sogni ad occhi aperti, invece, sono ripresi in modo molto più dinamico ed esaltante e non esiste un vero e proprio elemento scatenante che fa capire allo spettatore il passaggio dalla realtà all'elemento onirico, passaggio che avviene lentamente grazie, per l'appunto, ai lievi aggiustamenti stilistici di cui detto
sopra. Con l'incedere della pellicola, aumentano a dismisura le sequenze che raffigurano meravigliosi ambientazioni paesaggistiche che sembrano uscite direttamente da Into the wild (ironia della sorte, Walter Mitty incontra il personaggio interpretato da Sean Penn nel bel mezzo delle terre selvagge) e di cui si ha la netta sensazione che sopperiscano alla mancanza di altri elementi ben più importanti e decisivi. La finale entrata in gioco della provvidenza orienta il film verso un'overdose di buonismo con una decisa virata verso un didascalismo che lascia con un filo di amaro in bocca, viste le precedenti premesse (e promesse). Ciò che colpisce maggiormente lo spettatore sono le musiche e la complessiva bellezza visiva difficile da estinguere, che proiettano immediatamente il lungometraggio di Stiller nel proprio immaginario e fanno dimenticare la debolezza diegetica in un'esaltazione del potere salvifico dei sogni. In definitiva I sogni segreti di Walter Mitty è il tipico film dai buoni sentimenti, attraversato da una serie di difetti strutturali ben visibili ma che, tuttavia, non gli impediscono di ancorarsi saldamente al cuore e di non lasciarlo per molto tempo. Perchè il mondo può apparire diverso, più bello e più autentico, se, per citare la Space Oddity di David Bowie che fa parte della soundtrack del film, lo si guarda dall'alto della propria immaginazione "stellare" con gli occhi fanciulleschi di Walter Mitty.

Voto: ★★★1/2

mercoledì 18 dicembre 2013

PIOVONO POLPETTE 2

di Matteo Marescalco

Piovono polpette 2 è un film d'animazione digitale diretto da Cody Cameron e Kris Pearn, sequel di Piovono polpette, uscito nelle sale cinematografiche nel 2009 e diretto da Phil Lord e Chris Miller.
Il film riprende da dove erano stati lasciati i medesimi personaggi del precedente episodio, ed è incentrato principalmente su Flint Lockwood che viene contattato dal suo idolo Chester V., che lo vuole arruolare nella sua The Live Corp Company, società che si muovein campo digitale ed informatico e che vanta al suo interno i migliori scienziati in circolazione. La Live Corp Company è stata incaricata di ripulire l'isola dal disastro alimentare causato da Flint e dai suoi amici, costretti ad abbandonare la città di Swallow Falls, dopo che una creazione del giovane scienziato, il Replicatore di Cibo Super Mutante Diatonico Dinamico di Flint Lockwood (abbreviato, per comodità, in R.C.S.M.D.D.F.L.) aveva trasformato l'acqua in cibo, causando una vera e propria tempesta alimentare. Quando Flint, tuttavia, scopre che la sua invenzione tecnologica è ancora attiva e sta creando strani esseri animali-alimentari senzienti, decide di tornare, in compagnia dei suoi immancabili amici, a Swallow Falls, per salvare nuovamente il mondo.
Piovono Polpette 2 è un viaggio nel mondo delle creature selvagge che è fortemente influenzato da alcuni classici dell'intrattenimento cinematografico e letterario quali Viaggio al Centro della Terra di Jules Verne, Jurassic Park di Steven Spielberg fino al più recente Avatar di James Cameron. Il mondo in cui piomba la nostra compagnia di eroi è un universo dai colori saturi ed ultra pop, caratterizzato nei minimi dettagli grazie ad un'animazione abbastanza fluida che è orientata a rendere l'aspetto caricaturale e grottesco della situazione più che ad una fedele ricostruzione mimetica dell'ambiente naturale. Su tutti i personaggi spicca l'ampia gamma della fauna alimentare locale creata dall'invenzione di Flint Lockwood, il R.C.S.M.D.D.F.L., che ha dato vita ad incroci tra cibo ed animali, tutti in grado di provare emozioni.
Il nucleo principale della narrazione è costituito da due temi fondamentali, la caduta dei propri eroi e la fine di un sogno ed il conflitto tra la wilderness degli abitanti nativi e la civilization dei rapaci coloni. Chester V., proprietario della Live Corp Company, è sempre stato una figura fondamentale per Flint, il suo mentore e punto di riferimento da cui prendere spunto per le proprie invenzioni, modello a cui ispirarsi per ambire al raggiungimento di importanti traguardi. Chester, tuttavia, non si rivela ciò che Flint pensava, è, in realtà, un uomo malvagio e avido pronto a tutto pur di rubargli la sua invenzione, così da poter creare un nuovo brand di cibo in grado di rafforzare ulteriormente la propria immagine che cura con assoluta dedizione come unica realtà fondamentale. E' indubbio che con la figura di Chester V. Piovono polpette 2 abbia preso di mira i potenti nell'epoca informatica e abbia creato uno Steve Jobs tutto dedito alla creazione e al mantenimento della propria immagine come supporto pubblicitario delle sue creazioni informatiche. La prima parte del lungometraggio

 

risulta più riuscita rispetto alla seconda parte perchè non si prende sul serio ed ironizza in modo ben preciso ma pur sempre goliardico e fracassone su obiettivi ben definiti: risultano molto divertenti le sequenze in cui vengono presi di mira la Silicon Valley e i tic e le fisse degli scienziati, descritti come dei bambini un po' troppo cresciuti.
Per il resto, Piovono polpette 2 risente della presenza di personaggi eccessivamente standardizzati e poco approfonditi, di situazioni già viste (il contrasto tra Flint e il bullo che lo prendeva in giro quando era bambino, ora pentitosi e facente parte della sua compagnia di amici), trovate comiche che non strappano la risata neanche ai bambini più piccoli ed animazione a tratti eccessivamente stereotipata. La riuscita del lungometraggio della Sony resta ben ancorata alle singole gag disseminate nella parte iniziale del film più che al compimento di un corpus unitario che sia stato complessivamente ben sviluppato e gestito. In definitiva, Piovono polpette 2 è il tipico film di puro intrattenimento che tenta la trattazione di alcuni temi impegnati ma di cui si ha la sensazione che sia stato organizzato a tavolino, in modo che tutto risulti assolutamente ordinario, orientato verso la piena risoluzione degli eventi, volta ad offrire allo spettatore un mondo in cui tutto è stato riportato alla tranquilla situazione iniziale.

Voto: ★★1/2

martedì 3 dicembre 2013

ONLY LOVERS LEFT ALIVE

di Matteo Marescalco
Tra gli autori americani che hanno operato distanti dalle tendenze del cinema hollywoodiano più standard ed omologato e hanno tentato di imprimere alla loro filmografia un carattere alternativo ed off-Hollywood, un ruolo di primo piano è rivestito da Jim Jarmusch, autore di pellicole quali Strangers than Paradise, Coffee and cigarettes, Daunbailò, Dead man ed Only lovers left alive, presentato in concorso alla 66esima edizione del Festival di Cannes e, di recente, all'ultimo Festival di Torino. Portavoce di uno stile moderno, antinarrativo, minimalista (la poetica dell'attenzione alla vita quotidiana) e non teleologico, incentrato su personaggi incompiuti, hipster, disfattisti, sui tempi morti, sui silenzi e sugli sguardi rivelatori delle emozioni umane, Jarmusch, come Wenders, in una perfetta coincidenza tra contenuto e forma, ha sempre dato particolare importanza all'architettura degli ambienti e degli spazi in cui sono immersi i drammi dei protagonisti dei suoi film, luoghi che sono espressione dello stato d'animo degli individui, incapaci (perchè nolenti o impotenti) di evolversi e di rinnovarsi, condannati ad un torpore cerebrale senza via d'uscita.

Only lovers left alive è una storia romantica, incentrata su Adam, musicista underground che vive a Detroit e che si nasconde dal mondo, conducendo una vita prevalentemente notturna, e su Eve, sua moglie, che vive a Tangeri. La loro storia d'amore dura da secoli, entrambi, infatti, sono vampiri che cercano nell'isolamento e nelle tenebre la salvezza da un mondo volgare che giudicano giunto al capolinea. 

Jarmusch, qui al suo dodicesimo lungometraggio, rilegge e rielabora il genere horror-sentimentale (come aveva fatto con il western in Dead man e con il gangster movie in Ghost dog), sfruttando una delle figure più icastiche ed inflazionate del cinema di questo genere, il vampiro, che, sul grande schermo e nella letteratura, ha sempre assurto al ruolo di entità corporea dotata di una particolare carica perturbante ed erotica, ed utilizzando il vampirismo come mero pretesto per accostarsi alla decadenza della civiltà contemporanea. A differenza del primo vampiro della storia del Cinema, il Conte Orlok, protagonista del Nosferatu di Murnau, individuo macchinico e statico, dall'aspetto privo di grazia, in preda ad una vera e propria regressione maligna, i vampiri di Jarmusch sono delle creature bellissime, eleganti, gli ultimi veri bohémienne, amanti, dell'arte, della letteratura, della musica, e, paradossalmente, soprattutto della vita. Il regista statunitense assegna al vampiro il ruolo di ultimo faro protettore della bellezza e della carica emotiva nel mondo, in un'umanità giunta alla fine, persa in una routine quotidiana omologante e standardizzata.
Fin dalla prima macrosequenza, lo spettatore è gettato nel vortice sinfonico seducente ed ipnotico del film. Only lovers left alive inizia con l'inquadratura del cielo stellato che, lentamente, comincia a ruotare (in pieno accordo alla teoria dell'entanglement quantistico che viene citata da Adam) e a lasciare il posto, grazie ad un'abile operazione di montaggio delle attrazioni e di dissolvenza incrociata, ad un vinile che gira, il cui movimento, infine, sfocia nel moto rotatorio della macchina da presa che presenta, tramite montaggio alternato, i due amanti, le due particelle che, anche se distanti, reagiscono entrambe a qualsiasi 

fenomeno fisico che abbia colpito una di esse, postulando il fenomeno della relazione a distanza. Ad innalzare ulteriormente il livello di perfezione formale del lavoro sull'immagine filmica concorrono l'attenzione plastica ai corpi dei vampiri che vengono, in genere, inquadrati in pose scultoree, e le differenti tonalità cromatiche della fotografia: si va dal melanconico giallo ocra che viene irradiato dall'atmosfera di Tangeri, ai colori più freddi e scuri di Detroit, in cui, comunque, permane una nota ocrata che destabilizza lo spettatore e contribuisce ad alimentare l'incubo onirico e regressivo in cui sembrano essere precipitate le due città. In tutto ciò vi è una piena identità tra forma e contenuto: alla figura perturbante e tradizionalmente "equivoca" del vampiro corrispondono, infatti, una serie di inquadrature ricercate e particolari, con l'occhio meccanico della macchina da presa che non si accosta mai al visibile da posizioni scontate ma lo fa scegliendo di relazionarsi con la realtà tramite una serie di piani a strapiombo e sequenze riprese dall'alto, come fosse un osservatore che commisera con pessimismo ed una punta di tenerezza la decadenza del mondo, insita nell'umana condizione. Fondamentale è il trattamento dei luoghi, siano essi esterni o interni. Il mondo esterno è in piena decadenza, Detroit è una città fantasma ripresa unicamente di notte (l'oscurità come supporto fantasmatico della luce, notte in contrapposizione al giorno, allegoria del periodo di massimo splendore e slancio culturale dell'umanità), popolata da zombie (con tale appellativo i vampiri definiscono gli umani, statici morti viventi in preda all'omologazione societaria romeriana, capaci di far decadere ciò che sono stati in grado di realizzare lungo i secoli); in questo contesto, gli unici mondi veramente vivibili sono le case in cui abitano Adam ed Eve (fari luminosi e numi tutelari nel

buio della notte), luoghi in cui collezionare le reliquie della Storia, oggetti fondamentali per chi ha vissuto (e, soprattutto, amato) attraverso i secoli. 

Persino il sangue umano non è più puro come una volta, rendendo quasi impossibile l'esistenza dei vampiri freaks e borderline rimasti in vita, in una corrispondenza tra vampirismo e arte, in cui gli esseri della notte si nutrono di cultura, linfa vitale (una volta) anche per l'essere umano. E non è assolutamente un caso che i due vampiri si chiamino Adam ed Eve: nonostante il nome che portano, tuttavia, è impossibile persino l'ipotesi di una redenzione da compiere per l'umanità, di una catarsi che restituisca a tutti l'age d'or del mondo. Vi è più vita nei vampiri che negli esseri umani, perchè i primi sono mossi da interesse, da furor erotico (nei confronti di qualcuno, dell'arte, della letteratura, della musica) che fa loro amare la vita. Ed è talmente forte l' attaccamento alla vita, da far loro subsumere la razionalità all'istinto (non per disinteresse, come per gli umani) e a spingerli a regredire e a compiere un'azione che verrà definita da XV secolo, pur di continuare a vivere. 
In nome dell'amore.

Voto: ★★★★★