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mercoledì 30 settembre 2015

FESTA DEL CINEMA DI ROMA: IL PROGRAMMA UFFICIALE!

di Matteo Marescalco

«Negli ultimi anni, in ogni parte del mondo, si è assistito ad un aumento incontrollato di festival cinematografici, che si sono sovrapposti, a volte in maniera irragionevole e inappropriata, a quelli con una storia consolidata e gloriosa. Ce ne sono di ogni tipo e qualità, e nel momento in cui sono stato chiamato ad assumere il ruolo di direttore artistico dell’evento che si terrà a Roma dal 16 al 24 ottobre, mi sono immediatamente detto che non avrei contribuito a rafforzare questa tendenza, che ritengo sterile e nociva.
La mia prima decisione è stata quella di trasformare il Festival in Festa, come peraltro era stata concepita quando fu fondata, dieci anni fa. Può apparire un gioco formale e lessicale, ma in realtà si tratta di una differenza sostanziale: intendo la Festa non solo come un momento di gioia e aggregazione, ma soprattutto di celebrazione del cinema».

Le parole di Antonio Monda, neo-direttore artistico della 10a edizione della Festa del Cinema di Roma, tratte dalla sua introduzione al catalogo ufficiale, la dicono lunga sullo spirito che caratterizza la prossima edizione del festival capitolino, giunto quest'anno alla doppia cifra, e che, nel corso della sua vita, si è ritrovato, più volte, a cambiare epidermide, in corrispondenza della gestione Veltroni, Detassis, Rondi-Detassis, Muller e Detassis-Monda. Ed ecco, puntuale, il dibattito sulla denominazione Festival/Festa, con un termine a delineare l'identità autoriale di una manifestazione che mira a porsi sullo stesso livello dei ben più stabili Festival di Cannes e di Venezia, e l'altro a sottolineare lo spirito goliardico di una festa che sa di momento aggregativo.

Antonio Monda è stato chiaro. La Festa del Cinema di Roma non mira alle sole anteprime mondiali
perché privare il pubblico della possibilità di vedere film presentati in anteprima in altri Festival sarebbe un vero suicidio. Da qui, la collaborazione con un Festival prestigioso come quello di Londra. La scelta di cancellare la presenza di una giuria e di un concorso perché «si tratta di rituali ingessati e impropri rispetto a quelli che ho in mente. Nella Festa che ho l'onore di dirigere, ogni film ed ogni ospite è un vincitore nel momento in cui viene invitato». Ed, infine, un'ampia presenza di film di genere perché «credo fermamente nei generi e ritengo che non ce ne siano di più o meno nobili: esistono semplicemente film belli e brutti».

Il programma, in effetti, non ha un baricentro, è variegato, volitivo e stimolante e attesta un'attenzione a 360 gradi nei vari panorami cinematografici nazionali, sull'orlo di un omaggio al passato mediato dalla costante presenza di sprazzi indipendenti che attestano le ultime tendenze del cinema mondiale. La mano di Monda, cosmopolita per eccellenza, c'è e si sente, a partire dalla presenza di una serie di prodotti che rispecchiano il suo spirito intellettuale.

Ma, adesso, passiamo all'analisi delle singole sezioni in cui si articolerà la Festa: Selezione Ufficiale, Incontri Ravvicinati, Preaperture, Work in Progress, Hidden City e Riflessi, Gli Omaggi, Le Retrospettive, Gli Eventi Speciali e I film della nostra vita.

Nella Selezione Ufficiale trovano spazio 37 prodotti tra film/documentari/serie tv. Apertura affidata a Truth di James Vanderbilt con Cate Blanchett e Robert Redford, incentrato sui presunti favoritismi ricevuti da George W. Bush per imboscarsi nella Guardia Nazionale ed evitare il Vietnam. Altri film da non perdere? Noi attendiamo The Walk di Robert Zemeckis (che ritorna nuovamente al live-action dopo Flight), storia del funambolo francese Philippe Petit, che camminò su una fune d'acciaio tesa tra le due torri del World Trade Center. Ancora Room di Lenny Abrahamson, ispirato al caso Fritzl e vincitore dell'ultimo Festival del Film di Toronto, Legend di Brian Helgeland con Tom Hardy, nuovo volto degli action movie, nel doppio ruolo dei gemelli Reggie e Ronnie Kray, due dei gangster più famosi della storia d'Inghilterra. Office di Johnnie To e The Whispering Star di Sion Sono rappresentano le due attesissime proposte dall'Asia. Il documentario Junun di Paul Thomas Anderson (il cui Inherent Vice-Vizio di forma sbarcava pochi mesi fa nelle sale italiane), oltre ad essere distribuito dal 9 Ottobre sulla piattaforma streaming MUBI, arricchirà la proposta della sezione, insieme a Freeheld con la coppia omosessuale Julianne Moore ed Ellen Page. Dal fronte americano arriveranno anche le prime due puntate della serie-tv Fargo, Experimenter di Michael Almereyda, Eva no duerme con Gael Garcia Bernal e Denis Lavant, dedicato al corpo iconico di Eva Peron e The end of the tour incentrato su 5 giorni di vita di David Foster Wallace con Jesse Eisenberg e Jason Segal nei panni dello scrittore. Dall'Italia arrivano Claudio Cupellini, Sergio Rubini, Gabriele Mainetti e Gianni Amelio. Infine, vera perla della sezione, Mistress America di Noah Baumbach! Regista che noi amiamo alla follia e che ha da poco occupato le nostre sale con While we're Young-Giovani si diventa. A Venezia, ha presentato De Palma, doc sul regista della New Hollywood.

Passiamo alla seconda sezione, quella degli Incontri Ravvicinati. Protagonisti saranno Jude Law, principale interprete di The Young Pope, serie-tv diretta da Paolo Sorrentino e co-prodotta da Sky, HBO, e Canal+, Wes Anderson e la scrittrice Premio Pulitzer Donna Tartt che parleranno del loro amore per il cinema italiano, Paolo Sorrentino, Todd Haynes, Renzo Piano, Riccardo Muti e Paolo Villaggio. Grande interesse per i duetti tra Joel Coen e la moglie Frances McDormand e William Friedkin ed il nostro Dario Argento. Spazio anche per la commedia italiana con Carlo Verdone e Paola Cortellesi.

Tra gli omaggi, una serie di proiezioni saranno dedicate ad Ettore Scola e ai Fratelli Taviani, a Pier Paolo Pasolini e a Francesco Rosi, ad Ingrid Bergman e a Luis Bunuel, a Stanley Kubrick e all'intervista Truffaut-Hitchcock, ancora a Frank Sinatra, a Franco Rossi e Sergio Corbucci.

Tra gli eventi speciali, la proiezione di Rio, eu te amo di Paolo Sorrentino e della versione integrale da 172 minuti de La grande bellezza. Infine, tre grandi Retrospettive satureranno ulteriormente il tempo dei cinefili accorsi a Roma per godere della Festa. Spazio, quindi, ad Antonio Pietrangeli, a Pablo Larrain e alla Pixar, grande regalo degli organizzatori.

Insomma, minor budget ma maggiore apertura, Festa del Cinema di Roma che sembra abbandonare gli inutili lustrini e che si avvia, nella piena consapevolezza dell'inevitabile lacuna derivante dall'assenza di una linea progettuale ben definita, a fare del carattere onnivoro il proprio tratto peculiare.  

sabato 26 settembre 2015

IO E LEI

di Emanuele Paglialonga


Presentato in anteprima a Roma, Io e Lei di Maria Sole Tognazzi dall'1 Ottobre arriverà in più di 200 sale.
Il trailer del film fu mostrato in occasione della festa de Il Fatto Quotidiano, svoltasi sempre a Roma a fine Agosto, alla quale partecipò, intervistata per l’occasione da Marco Travaglio, anche Sabrina Ferilli, co-protagonista assieme a Margherita Buy; dalle prime immagini del film era già chiara una cosa: che l’inedita coppia Ferilli – Buy avrebbe in qualche modo funzionato.

Dichiara la regista che Io e Lei <<Nasce dal desiderio di raccontare le donne che incontro casualmente nella vita e che in genere hanno poche possibilità di diventare soggetti di racconto. E’ una riflessione cominciata con Viaggio sola e che continuo in questo film: anche Io e Lei racconta, in una declinazione differente, la possibilità di fare una scelta libera. Mi piace raccontare donne autonome, molto più forti di quanto si creda, capaci di scegliere la propria vita, senza preoccuparsi del giudizio del mondo. Io e Lei è un invito a non avere paura di scegliere di essere fino in fondo se stessi>>.

Il grande merito di questo film sta, innanzitutto, nell’aver affrontato una tematica così stringente e attuale come quella dell’omosessualità senza indugiare su passionalità estreme o sofferenze incredibili, ma in maniera serena, e nell’aver inoltre battuto un territorio finora mai esplorato particolarmente a fondo, ovvero quello dell’amore tra due donne mature, che vivono la vita di tutti i giorni senza particolari clamori: omosessualità è normalità. 
E in questo senso il film può essere considerato politico, ma non di denuncia, dal momento che con Io e Lei, come dichiara la stessa regista, si vuole offrire al pubblico niente più e niente meno di una semplice storia d’amore, con gli alti e bassi comuni a tutte le vicende sentimentali.

La Tognazzi affronta con garbo l’intimità delle due protagoniste, non quella coitale bensì la sfera del tenero, delle sincere premure, delle cene davanti alla televisione o dei viaggi in macchina: pur essendo così diverse, nel film come nella vita, la Ferilli e la Buy funzionano, e vedere la prima guidare e la seconda appoggiata con la testa sulle spalle della prima, entrambe sorridenti, non lascia del tutto freddi o indifferenti gli spettatori.
Non mancano scene comiche, sinceramente divertenti, lasciate quasi tutte all’autenticità della vis comica romanesca della Ferilli.

Ciononostante, la "normalità" che gli sceneggiatori hanno scelto per affrontare la storia di Federica e
Marina si rivela essere un’arma a doppio taglio, un boomerang per la riuscita stessa della pellicola, la quale, pur essendo in sé godibile e piacevole, un film che non mette paura, secondo quanto detto dalla regista e dalle attrici in conferenza stampa, rischia di diventare l’ennesimo prodotto dimenticabile del cinema italiano di questi anni: manca quella scintilla a livello di sceneggiatura che avrebbe potuto rendere unico un progetto potenzialmente interessante, privo però finalmente, altro merito, dei classici e stantii cliché sugli omosessuali – macchiette che abbondano o hanno abbondato nelle commediole di quart’ordine che in questi anni sono state prodotte.

La Tognazzi è ancora giovane e ha dimostrato, in questo film come nel precedente Viaggio Sola, una sensibilità che per il cinema italiano era comunque necessaria (mancava infatti un punto di vista registico femminile nel panorama contemporaneo, oltre a quello, ad esempio, di Cristina Comencini), e che si spera possa essere utilizzata per storie in grado raggiungere un pubblico ancora più vasto, senza per questo cadere in farsa o in caciara, puntando magari un po’ più sull’impatto comico che la Ferilli può avere (che porta a casa almeno quattro o cinque scene con battute calzanti e autentiche, conquistando l’intera platea) e un po’ meno su Margherita Buy, che, ultimo film di Nanni Moretti a parte, fa sempre Margherita Buy, non senza dedizione, questo è certo, ma senza riuscire a confezionare un personaggio di un suo film che fra venti o trent’anni possa essere ricordato. E' senza dubbio però una questione che riguarda anche il reparto sceneggiatura: come in ogni coppia che attraversa un momento di crisi, la colpa non è mai di uno solo.

mercoledì 23 settembre 2015

PAN, IL PICCOLO PRINCIPE E GONDRY: TUTTI AD ALICE NELLA CITTA'

di Matteo Marescalco

 
«A Leone Werth. Domando perdono ai bambini di aver dedicato questo libro a una persona grande. (...) Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano). Perciò correggo la mia dedica: A Leone Werth. Quando era un bambino». (Il Piccolo Principe-Antoine De Saint-Exupéry)

«Io adesso so cose che nessun angelo sa: lo stupore del bambino ha fatto di me un uomo». (Il cielo sopra Berlino-Wim Wenders)

«Le stelle, per quanto meravigliose, non possono in alcun modo immischiarsi nelle faccende umane, ma devono limitarsi a guardare in eterno. (...) E così, quelle più anziane sono diventate cieche e taciturne (le stelle comunicano tra loro ammiccando con gli occhi), ma quelle più giovani si meravigliano ancora di tutto». (Peter Pan di James M. Barry)

E' stato presentato questa mattina, al Cinema Eden di Roma, nel cuore del quartiere Prati, il programma ufficiale della XIII edizione di Alice nella città, sezione parallela e autonoma della Festa del Cinema di Roma, quest'ultima giunta alla sua X edizione, e modellata sulla base del più noto Giffoni Film Festival.

Si intravede, già a partire dalla scelta del luogo di presentazione del programma, la nuova linea Detassis-Monda, decisa a coinvolgere l'intera città in CityFest, una sorta di festival del cinema diffuso dal centro storico alla periferia, caratterizzato da svariate iniziative: incontri con registi e attori, rassegne, anteprime, masterclass, approfondimenti sui generi e veri e propri corsi di formazione. E' la rivoluzione cittadina che ha già visto come protagonisti Robert De Niro e Marco Giallini, Nicolas Winding Refn e Gabriele Salvatore, ancora Piefrancesco Favino ed Elio Germano, fino al duo di Dieci inverni, Michele Riondino ed Isabella Ragonese. I prossimi appuntamenti, in date ancora da stabilire, vedranno la presenza di Franco Battiato, Francesca Archibugi, Teho Teardo, Sergio Castellitto e Matteo Garrone. A fine anno, inoltre, Giancarlo De Cataldo, Giorgio Gosetti e Mario Sesti cureranno un ciclo di Lezioni Criminali, analizzando le più belle scene dei film di Alfred Hitchcock.
 
La selezione di Alice nella città si scinde in quattro sezioni: Concorso, Alice/Panorama (che vedrà il proprio cuore pulsante nel distretto del cinema dello storico quartiere Pigneto), Fuori Concorso ed Eventi Speciali.

Saranno in Concorso: Departure di Andrew Steggall, Mustang di Deniz Gamze Erguven, Returning home di Henrik Martin Dahlsbakken, Scout di Laurie Weltz, Grandma di Paul Weitz, The big day di Pascal Plisson, Microbe & Gasoline di Michel Gondry, A Childhood di Philippe Claudel, Four Kings di Theresa von Eltz, The New Classmate di Ash-winy Iyer Tiwari e Il bambino di vetro di Federico Cruciani.

Nella sezione Alice/Panorama vi saranno: The Wolpack di Crystal Moselle, Street Opera di Haider Rashid, Raging Rose di Julia Kowalski, Monitor di Alessio Lauria, Long Way North di Remi Chaye, Sleeping Giant di Andrew Cividino, Closet monster di Stephen Dunn, The boy and the beast di Mamoru Hosoda, Alias Maria di Jose Iuis Regules, The new kid di Rudi Rosenberg.

Belle e Sebastien-L'avventura continua di Christian Duguay, Il piccolo principe di Mark OsborneIqbal: bambini senza paura di Michel Fuzellier e Babak Payami saranno nella sezione Fuori Concorso.
Infine, tra gli Eventi Speciali Pan-Viaggio nell'isola che non c'è di Joe WrightGame Therapy di Ryan Travis.  

Come film di chiusura, al termine della proiezione sarà proiettata la versione restaurata in digitale 2k di Alice nelle città di Wim Wenders, primo film dell'amatissima Trilogia della strada.

domenica 20 settembre 2015

PRIMO POSTO AL CONCORSO SCRIVERE DI CINEMA 2015 PREMIO ALBERTO FARASSINO

di Matteo Marescalco

Provo vergogna ad autocelebrarmi.
E trovo fastidioso che questo blog, nato come spazio di espressione personale e di ricerca di particolari chiavi di lettura attraverso cui provare ad accostarci ai film che io e gli altri redattori vediamo, si soffermi sulle nostre vicende individuali.

Però, un lieve strappo alla regola, causato da una gioia più che lecita, non può far male.
Così, dopo aver ricevuto l'accredito stampa all'ultima Mostra del Cinema di Venezia (sintomo del buon lavoro svolto o dell'inevitabile abbassamento di livello della loro selezione. E io propenderei più per la seconda possibilità), ho appreso di aver vinto il Concorso Scrivere di Cinema 2015 Premio Alberto Farassino con la mia recensione al film Inherent Vice-Vizio di Forma di Paul Thomas Anderson, guadagnando un anno di collaborazione, in un workshop redazionale, con il blog minima&moralia e la possibilità di partecipare come accreditato all'edizione 2016 del Far East Film Festival di Udine e di seguirlo per conto di Mymovies.it e di alcune testate media partner del festival.

La motivazione è stata la seguente: «Per aver saputo destreggiarsi, con sorprendente lucidità nella trama stratificata di un film spiazzante, cogliendo pregi e gli eventuali difetti di un'opera che identifica un'epoca intera con i suoi slanci incontrollati e le sue illusioni perdute».

Che esagerati!

http://scriveredicinema.mymovies.it/

venerdì 18 settembre 2015

THE GREEN INFERNO

di Matteo Marescalco

I cannibali sono tornati!
Dopo Quentin Tarantino e Robert Rodriguez, tocca ad un altro grande amico del regista di Pulp Fiction riallacciarsi al filone italiano dei film di genere.
Già autore del bel Cabin Fever, debitore di Un tranquillo week end di paura di John Boorman, e dei terribili torture-porn Hostel ed Hostel II, Eli Roth è tornato dietro la macchina da presa per dirigere The Green Inferno, presentato all'ottava edizione del Festival del Film di Roma, durante la quale, l'allora direttore artistico Marco Muller, noto amante di prodotti di genere, aveva anche dedicato una round-table a maestri italiani del cinema di genere quali Sergio Martino, Mario e Lamberto Bava, Enzo G. Castellari e Ruggero Deodato.
E al censuratissimo Cannibal Holocaust di Deodato sorge spontaneo pensare leggendo la trama di The Green Inferno.

Protagonista della vicenda è Justine, figlia di un membro dell'ONU che, per la prima volta nella sua vita, ha la possibilità di scendere in campo unendosi all'azione di un gruppo di attivisti con cui condividere un viaggio in Perù. Obiettivo: andare nella foresta amazzonica, incatenarsi a degli alberi che stanno per essere abbattuti e riprendere tutto con dei cellulari, in modo da postare il filmato sui social network e sensibilizzare l'opinione pubblica sull'accaduto.
Ma l'immaginario legato a questo genere ci ha insegnato che non sempre le tribù autoctone sono cortesi con gli stranieri.

Fin dai tempi del western e del contrasto tra wilderness dei popoli vergini e civilization dei conquistatori, si è affermato, nell'immaginario cinematografico, lo scontro tra due culture differenti. Una a far da padrona e l'altra da sottomessa. Nel corso del tempo, il cinema americano ha digerito la problematica storia del Nuovo Mondo, dal colonialismo alla conquista della Frontiera, dalla Guerra di Secessione fino ancora al fallimento del Vietnam. Cadaveri e fantasmi di un passato mai dimenticato che trovano la loro proiezione in tribù retrograde appartenenti a terre selvagge che non perdonano chi vi mette piede.

Il gruppo di giovani in vacanza (o con altri obiettivi) che si perde in una zona sconosciuta abitata da reietti umani è diventato lo standard per una determinata tipologia di prodotto che ha orientato sempre più se stesso verso la crudeltà più efferata. Il wrong turn movie ha portato in scena un'America selvaggia che riduce i propri figli che non prestano attenzione alle regole dello stato di natura in selvaggina e carne da macello.

In The Green Inferno, Eli Roth sembra mantenere una riflessione sull'avanzata del capitalismo solo superficiale che non vada ad inficiare il suo obiettivo principale: divertirsi. Mostrare i corpi martoriati, seviziare, violentare e disgustare lo spettatore. Peccato che, nonostante la cattiveria nei confronti dei personaggi occidentali, nel complesso, questo film sia stato parecchio gonfiato dalla campagna pubblicitaria e rappresenti un passo indietro rispetto ai due capitoli di Hostel.
Attendiamo, a questo punto, Knock Knock, dramma horror in cui agenti esterni malintenzionati irrompono in casa di uno sconosciuto. La tragedia, stavolta, colpisce il nostro cuore pulsante. E lo spettro irrisolto dell'11 Settembre è, ancora, dietro l'angolo.

giovedì 17 settembre 2015

EVEREST

di Matteo Marescalco

Dopo la spettacolare odissea di Gravity, ultimo episodio della trilogia del viaggio di Alfonso Cuaron, culminante nella descrizione del cammino dell'evoluzione umana, e i due piani sequenza su vizi e virtù della Hollywood contemporanea di Birdman di Alejandro Gonzalez Inarritu, è toccato ad Everest di Baltasar Kormakur aprire la 72esima edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (al link potete trovare i cinevoti dei film visti).

Tratto dal saggio Aria sottile di Jon Krakauer, già autore di Nelle terre estreme, che ha dato i natali ad Into the wild di Sean Penn, Everest vede nel grande cast un suo punto di forza. Jake Gyllenhall, Josh Brolin, John Hawkes, Jason Clarke, Robin Wright ed Emily Watson sono i protagonisti di questo dramma, ambientato sulla vetta più alta della Terra con i suoi 8848 metri di altitudine, che ripercorre la scalata del 10 Maggio 1996 gestita da Rob Hall e dalla sua società, l'Adventure Consultants.

Anche solo dando una semplice occhiata alla locandina del film, sorge spontaneo pensare al topos della montagna, tanto caro all'ambiente romantico, che ha costruito sulla sua ascensione, sull'altitudine, sull'andamento verticale e sulla sfida con le intemperie della natura, gran parte della sua poetica. Impossibile, anche, non volgere la mente alle imprese di Werner Herzog sulla natura estrema tra cui Grido di pietra e The Dark Glow of the Mountains. L'autore tedesco è stato spesso affascinato dalla natura maestosa dotata di grande bellezza ma anche di un'immane potenza in grado di distruggere l'uomo in tempi assai rapidi e che sfugge ad ogni regola. A tal proposito, Herzog ha detto: «Io credo che il denominatore comune dell'universo non sia l'armonia, ma caos, conflitto e morte. Per me, un autentico paesaggio non è solo la rappresentazione di un deserto o di una foresta. Mostra uno stato interiore della mente, letteralmente paesaggi interiori, ed è l'animo umano ad essere presente nei paesaggi dei miei film ».
 
Come in Gravity lo spazio esterno rappresentava l'oggettivazione del vuoto interiore della protagonista, donna dalle fattezze androgine impegnata in un percorso di redenzione e di rinascita individuale, e in Birdman il dedalo dei camerini e del dietro le quinte teatrali si configurava come uno spazio mentale popolato dai fantasmi della mente di Riggan Thompson, così anche lo spazio del monte Everest diventa proiezione degli spettri che offuscano le vite dei quattro scalatori protagonisti. La sfida lanciata dalla vetta e rimarcata dalla domanda di Jon Krakauer: «Perchè siete qui? Per quale ragione vi siete lanciati in questa impresa?» non fa altro che rimarcare l'esistenza di un vuoto da colmare con l'ansia di dominio nei confronti della Natura.
Natura che accoglie e abbraccia. Ma che sa essere ostile, trasformando il suo abbraccio da benevolo a mortifero.

La prima parte del lungometraggio è dedicata al racconto intimista della vita dei protagonisti in preparazione per affrontare la spedizione. Colpisce la descrizione così umana di persone che desiderano coronare il loro sogno per diversi motivi: chi per evadere dalla grigia quotidianità, chi per regalare esperienze fuori dal comune a persone ordinarie, chi per superare i propri confini e sfidare l'ignoto, chi, ancora, per una promessa fatta ad alcuni bambini d'asilo.

La seconda parte, probabilmente, spinge eccessivamente sul pedale dei sentimenti facili e sembra voler gettare lo spettatore in apnea spiattellandogli in viso, nel modo più becero possibile, la tragedia dei protagonisti. E così, tra buchi di sceneggiatura e telefonate al cardiopalma, si perde tutta la “religiosità” iniziale dello scontro con la vetta divina, in una ricattatoria discesa verso il campo base che connota come terrena l'impresa del gruppo di scalatori.

C'è, tuttavia, da prendere atto del carattere fortemente umanistico della vicenda. Nell'epoca dei blockbuster dove regna un tripudio di effetti speciali, film quali Avatar, Gravity, Everest e persino Avengers: Age of Ultron, non perdono di mira l'assoluto protagonista di ogni miracolo (e di ogni pixel) digitale: l'Uomo. Segno di un cinema (quello hollywoodiano) che, nel bel mezzo del cambiamento del proprio statuto, continua ancora ad affidarsi all'artefice concreto che gli ha dato i natali.

martedì 15 settembre 2015

BEASTS OF NO NATION

di Matteo Marescalco

Primo film distribuito dalla piattaforma di Video on Demand Netflix a partire dal 16 Ottobre, Beasts of No Nation, è il terzo lungometraggio di Cary Joji Fukunaga, reduce dal successo planetario alla regia della prima stagione di True Detective, serie tv che ha rivoluzionato i canoni televisivi, e come produttore della seconda stagione.

La storia del film è semplice e, in effetti, anche parecchio inflazionata. Protagonista della vicenda ambientata in Africa è un ragazzino che viene sradicato dal villaggio natale e che capita tra le grinfie di un soldato assoldato (scusate il gioco di parole) da un gruppo di politici locali. Il colonnello (così si fa chiamare il soldato), interpretato da un perturbante Idris Elba, la cui presenza fisica basta ad incutere timore, lo sfama e lo educa alla violenza della guerra. Tra i due si viene a creare uno strano rapporto, come quello tra un maestro ed il suo discepolo prediletto.

La struttura narrativa ricalca quella di alcuni cult di guerra quali Il cacciatore di Michael Cimino e Full Metal Jacket di Stanley Kubrick. Anche in Beasts of No Nation, difatti, vi è un prima ed un dopo guerra. E se nel film di Cimino la prima parte scorre lenta e dilatata, instillando nello spettatore la paura di tutto ciò che, da là a poco, è destinato ad accadere, Fukunaga contrae il ritmo. Dopo un necessario prologo che illustra la tranquilla vita del villaggio, con i bambini protagonisti di voli pindarici immaginativi (geniale la trovata della tv dell'immaginazione che consente ai piccoli protagonisti di mettere in atto dei veri e propri spettacoli. Inevitabile pensare ai film maroccati di Be kind rewind di Michel Gondry), entra in scena un gruppo di bestie senza nazione, soldati mercenari che combattono in nome di ideali alquanto confusi.
Lo scenario cambia, la quiete è interrotta, la famiglia del bambino protagonista viene massacrata e si assiste ad una progressiva educazione all'omicidio. Il regista di True Detective non ci risparmia niente, evita di addolcire la scena mostrando il vero volto dell'orrore e si serve dei più tradizionali topoi narrativi del genere aggiornandoli all'epoca della contaminazione intermediale ed evitando di cadere nella banale retorica derivante dall'assunzione dello sguardo del giovane protagonista. E la Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia si svecchia e si aggiorna ai prodotti nati e pensati per il Web.

Il viaggio di formazione di questa Odissea al contrario ricorda, in parte, gli scenari dei romanzi di Stephen King e di H.P. Lovecraft. Dopo essere stato estirpato dalla Madre terra cui apparteneva, il bambino protagonista entra in contatto, come abbiamo già detto, con il vero volto dell'orrore, con il lato oscuro di una Natura ostile che costringe gli uomini ad uccidersi gli uni gli altri per accaparrarsi il potere sul mondo. Non poche volte, entra in scena la voce narrante di Agu, a tratti eccessivamente ridondante, foriera di considerazioni su Dio e sulla natura umana. Non a caso, Cary Fukunaga era stato indicato come prossimo regista del nuovo adattamento di It di King, progetto poi fallito all'ultimo momento.

Ma Agu non è rimasto vittima del processo di trasformazione cui è stato sottoposto dal colonnello.
E' ancora in grado di vedere con i suoi occhi, a differenza del personaggio di Idris Elba che, la maggior parte delle volte, indossa un paio di occhiali da sole, che fungono da filtro attraverso cui guardare alla realtà.
La salvezza è ancora possibile, non tutto è perduto.
Basta una semplice corsa insieme a dei coetanei, su una spiaggia al tramonto, a donare un ultimo raggio di speranza alle vittime di queste bestie senza nazione. 

VENEZIA72: L'AMORE (E L'ODIO) CHE RESTA seconda parte

di Matteo Marescalco

Si continua con le opinioni sui migliori e i peggiori film della 72esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Al link, potete trovare la prima parte dell'articolo. Stavolta, tocca ai due redattori Egidio Matinata e Mara Siviero.

EGIDIO MATINATA

PARADISO.
FRANCOFONIA di Aleksandr Sokurov
Semplicemente una spanna su tutti gli altri. Sokurov gioca in una categoria a parte e firma il capolavoro del festival a quattro anni dal Leone d'Oro vinto con Faust. L'ambientazione principale è di nuovo, come in Arca Russa, un museo: il Louvre. Ma non siamo più accompagnati da un sinuoso piano sequenza, bensì da una totale frammentazione (ricostruzioni storiche, filmati di repertorio, opere d'arte) in cui la voce narrante (Sokurov stesso) interagisce con i personaggi del passato per raccontarci quanto l'arte sia legata indissolubilmente con il Potere, la Storia, l'Umanità.
 
Ex aequo: 11 MINUTI di Jerzy Skolimovski ed EL CLAN di Pablo Trapero
Il film di Skolimovski racconta gli undici minuti in cui si intrecciano le vite di diversi personaggi. Si ha sempre la sensazione di assistere ad una vicenda che si svolge in un mondo "altro", probabilmente un mondo virtuale smascherato da un unico pixel, forse una lontana (o impossibile) via di fuga.
Trapero narra la storia vera del clan Puccio, autore di vari sequestri di persone facoltose nell'Argentina degli anni '80 post dittatura. Il film riesce ad unire ricostruzione storica e tematiche sociali rimanendo un puro gangster movie, guidato da un cast superlativo e da una regia debitrice dei maestri del genere (Scorsese su tutti). Leone d'Argento.
 
INFERNO.
A BIGGER SPLASH di Luca Guadagnino
Durante una vacanza a Pantelleria, riemergono dissapori e ricordi del passato che portano i quattro protagonisti (una coppia, un padre e una figlia) al conflitto. Guadagnino spreca un grande cast (sulla carta) gestendo il film con presunzione e superficialità. Un lungometraggio squilibrato che tenta anche di inserire delle riflessioni (in realtà, sembrano più piovere dal cielo) sul comunismo e sulla questione degli immigrati. Con una mezz'ora finale che vorrebbe essere thriller ma che risulta soltanto ridicola, con il povero Corrado Guzzanti vittima assoluta. Esempio perfetto di falso cinema d'autore.

REMEMBER di Atom Egoyan
Christopher Plummer tenta invano di reggere il film sulle proprie spalle interpretando un anziano affetto da demenza senile in cerca dei criminali nazisti responsabili della morte della sua famiglia. "Non basta chiedere scusa per quello che avete fatto"; settant'anni (di cinema) dopo l'Olocausto ci si aspetterebbe qualcosa di meno banale rispetto a concetti del genere, di cui, invece, Remember è colmo. Egoyan impacchetta l'ennesimo film scialbo. Un mistero la presenza in concorso.

MARA SIVIERO

PARADISO
NON ESSERE CATTIVO di Claudio Caligari
Non essere cattivo è l’ultima opera di Claudio Caligari, scomparso prematuramente pochi mesi fa.
La storia è una di quelle più usate cinematograficamente: è incentrata, infatti, sull’assunzione e l'abuso di droga. Tuttavia, in questo film, il contesto è dotato di nuova linfa vitale. Perché come il regista ha già dimostrato nella sue pellicole precedenti, in documentari e nel lungometraggio Amore Tossico, il mondo della droga non coinvolge solo chi la assume, ma anche chi prova a non farne parte.
Non essere cattivo abbandona i luoghi comuni; le persone che fanno parte di questo mondo sono, per la maggior parte, disperate a causa di vicende prevalentemente economiche e, spinte dall'impossibilità di trovare un lavoro onesto, si accontentano di far parte di questo circolo vizioso. Chi sceglie questa strada, facendo male prevalentemente a se stesso, cerca di rendere meno gravosi i problemi agli altri componenti familiari. Peccato che poi, chi fa parte di questo mondo, venga catapultato nell’inferno dell’autodistruzione, e in assenza di un Virgilio pronto a sacrificare se stesso ed i propri interessi, l’inevitabile fine è l’implosione.
Vittorio e Cesare, i protagonisti della pellicola, sono più che fratelli, e, al contempo, non sono altro che due facce della stessa medaglia. Solo che un risvolto rimarrà sfregiato, mentre l’altro cadrà nel vuoto, senza un biglietto di ritorno.
 
ANOMALISA di Charlie Kaufman e Duke Johnson
Tra tutti i film presentati a Venezia, il film di animazione rimane sempre cosa gradita.
Anomalisa di Charlie Kaufman (sceneggiatore di Eternal Sunshine of the Spotless Mind) e di Duke Johnson, è stato presentato nella sezione in Concorso; il film in stop-motion è originale ed apprezzabile perché varia dagli istinti fisici ai più profondi pensieri dell’animo umano.
La storia potrebbe essere delle più comuni: due entità, ognuno con i suoi problemi, l’incontro di una notte che può far prendere strade diverse, nemmeno immaginate, ai protagonisti.
Pupazzi dotati di bisogni fisici ed i pensieri che in fondo tutti facciamo nell’arco della nostra vita. Chi non ha mai pensato: "Chi siamo noi? Perché soffriamo?".
Nulla è imbarazzante, casto o puro, anche i pupazzi fanno l’amore ed hanno problemi personali. Temi raccontati con maestria, naturalezza e profondità. Doti che continuano ad emergere da quel piccolo grande uomo di Kaufman.

INFERNO
L'ATTESA di Piero Messina
Tra le opere prime, L'attesa di Piero Messina è quella che più risalta all’occhio, per la performance soporifera più che per altro.
Già assistente alla regia di Paolo Sorrentino, Messina cerca di far confluire nella sua pellicola tutte le lezioni che ha appuntato nel corso della sua carriera, creando una gran minestrone insipido.
Protagoniste sono due donne che si trovano insieme ad elaborare il lutto della perdita del figlio della prima nonché fidanzato della seconda.
Passi che i silenzi evocano più di mille parole ma quando diventano troppi è inevitabile che la palpebra inizi a calare. Messina non riesce a non fare a meno degli insegnamenti sorrentiniani ricevuti, immettendone nella pellicola una gran quantità, facendo praticamente a meno di impegnarsi ad assumere un proprio profilo registico. Anche le interpretazioni delle due protagoniste (Juliette Binoche in primis) vanno sprecate sotto il peso di un'opera di debutto che muore nell'eccesso derivativo.

MAN DOWN di Dito Montiel
"Man down" è un codice tra padre e figlio, un "ti voglio bene" criptato con l'obiettivo di renderlo riconoscibile solo a loro e a nessun’altro, per l’affetto esclusivo che li lega e per evitare imbarazzi di fronte ad altre persone.
Il film, diretto da Dito Montiel, parla dei concreti e permanenti traumi post-missione di guerra. Gabriel Dummer è un ex marine, che si ritrova a dover fare i conti con il proprio passato per poter aggiustare il presente, perdendosi nei fastosi ricordi della sua famiglia e dell’ottimo rapporto con il suo migliore amico; momenti, che dopo la guerra, non torneranno più.
Il è film pieno di buoni propositi, tra cui quello di porre sul piano visivo la doppia visione di chi ha subito traumi irreversibili; come è il mondo reale, e com’è quello da essi percepito. Una guerra continua.
Le premesse si perdono per strada, tra riferimenti, più o meno voluti, ad American Sniper, collocazioni scenografiche pseudo post-apocalittiche, ed interpretazioni non proprio eccellenti; se quella di Shia LaBeouf riesce quasi ad essere credibile, Kate Mara è decisamente non pervenuta.

DESDE ALLÁ (FROM AFAR) di Lorenzo Vigas

Nel centro dell'affollata Caracas, un uomo solo, di mezza età di nome Armando, adesca ragazzi per la città dando loro denaro. Li invita a casa, li fa spogliare ed osserva le loro grazie. Ma quando incontra Elder, giovane teppistello di città, il rapporto che nasce, dapprima tempestoso, comincerà a diventare più profondo, tale da modificare il percorso delle loro vite.
Di questa pellicola è apprezzabile il fatto di aver trattato un tema delicato come quello delle sfumature che derivano dall’amore, in un mondo difficile e irto di ostacoli come quello di Caracas (che potrebbe comunque essere ovunque); tuttavia, il film pecca di originalità nello sviluppo della trama.
La vicenda sembra la stessa del film Eastern Boys di Robin Campillo, che vinse come Miglior Film in Orizzonti due anni fa a Venezia, e che racconta, alla stessa maniera, l’ambiguità dell’amore, con gesti espliciti e tensione che continua a crescere. 

lunedì 14 settembre 2015

VENEZIA '72: L'AMORE (E L'ODIO) CHE RESTA prima parte

di Matteo Marescalco

Un'altra Mostra del Cinema se n'è andata (la prima per cui questo blog è stato ufficialmente accreditato) e, adesso, dalla mia stanzetta e con estrema malinconia, non posso far altro che ripassare ogni singolo momento trascorso con tutte le persone che hanno contribuito a rendere speciali questi giorni. Scusatemi le parole di circostanza ma grazie a chi c'è stato, a chi non c'è stato, e a chi, pur essendo presente, è come se non ci fosse stato. Mi capita spesso di pensare in che modo tutte quante le persone con cui sono entrato in contatto in questo periodo, anche quelle che non conosco e con cui ho scambiato solo qualche parolina, trascorreranno l'anno che ci separa dalla prossima Mostra. Le vedo immerse nelle loro piccole attività quotidiane, a darsi da fare per costruirsi un futuro migliore, a studiare, etc., sperando che, ogni tanto, anche io baleni nella loro testa. Ma il vero Cinema annulla sempre le distanze. Per questo non vedo l'ora di tornare a dormire 4 ore a notte, di alzarmi all'alba e fare code chilometriche per ritirare un semplice biglietto, di emozionarmi di fronte ad uno schermo insieme a chi quei sogna li crea e li anima. Si chiude il sipario. All'anno prossimo!
Noi di Diario di un cinefilo che abbiamo seguito la Mostra (io, Egidio Matinata e Mara Siviero) vi forniamo, oltre ai cinevoti, anche una breve opinione sui film che ci hanno maggiormente deluso e su quelli che, più di tutti, ci hanno riscaldato il cuore.

MATTEO MARESCALCO
PARADISO

THE CHILDHOOD OF A LEADER di Brady Corbet
Debutto alla regia per Brady Corbet, uno dei due virginali figli di papà che, nel remake americano shot-for-shot di Funny Games di Michael Haneke, si divertivano a seviziare famiglie borghesi in vacanza. E la mano del regista tedesco si sente tutta, a partire dall'inevitabile paragone che The childhood of a leader incoraggia nei confronti de Il nastro bianco. Il film di Haneke indagava con sguardo entomologico un villaggio nella Germania pre-nazista andando ad individuare i germi della futura generazione dittatoriale. Brady Corbet, qui, si concentra su una famiglia aristocratica che vive nei pressi di Versailles. Il film, in tre atti scanditi dagli attacchi di rabbia del giovane figlio della coppia, analizza in termini freudiani il rapporto tra i tre membri familiari e i primi sintomi di ribellione nei confronti dell'ancien regime. Algido, teso e raggelante, The childhood of a leader convince fino al disturbante epilogo in cui il personaggio di Robert Pattinson assume una luce diversa. La rivelazione della Mostra.

BEASTS OF NO NATION di Cary Fukunaga
Primo film distribuito dalla piattaforma di VoD Netflix a partire dal 16 Ottobre. Diretto da Cary Joji Fukunaga, regista dell'acclamata prima stagione della serie tv True Detective e produttore della seconda. La storia è semplice e, in effetti, anche parecchio inflazionata. Il protagonista è un ragazzino che viene sradicato dal villaggio natale e capita tra le grinfie di un soldato che lo sfama e lo educa alla violenza della guerra. Come al solito, c'è un prima e un dopo guerra. La prima parte del film è dedicata alla vita nel villaggio, con i ragazzini che sorridono e che giocano con un televisore trovato per puro caso, inscenando la tv dell'immaginazione. Giungono alla memoria i voli pindarici immaginativi di Be kind rewind di Michel Gondry. La seconda parte è tesa, con la figura ferina di Idris Elba a dominare la scena. Fukunaga si serve dei più tradizionali topoi narrativi del genere, aggiornandoli all'epoca della contaminazione intermediale ed evitando di cadere nella banale retorica derivante dall'assunzione dello sguardo del giovane protagonista. E la Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia si aggiorna ai prodotti nati e pensati per il web.

NON ESSERE CATTIVO di Claudio Caligari
Nel mare magnum dei film italiani presentati a quest'ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia svetta Non essere cattivo di Claudio Caligari, misconosciuto autore dei cult L'odore della notte ed Amore tossico. Cantore di un'umanità ai limiti, erede dei ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini, in questo suo ultimo film, Caligari si trasferisce nella Ostia degli anni '90. Protagonisti sono due ragazzi, Vittorio e Cesare, amici da una vita, praticamente fratelli. I due vivono di espedienti, si azzuffano, si fanno di cocaina e bevono insieme ad un gruppo di sbandati che ondeggia nella vita. «Quando guardi a lungo nell'abisso, l'abisso ti guarda dentro». Non essere cattivo è la fine del sogno pasoliniano che cozza contro le brutture della squallida periferia romana che offre poche possibilità di redenzione. Ma, nel finale, un raggio di sole riesce a trapassare il fitto horror vacui che divora i suoi personaggi. Basta uno sguardo, un ultimo sorriso, una nuova famiglia ad assestare una vita che si appresta, sofferente, verso un finale tutt'altro che scontato.

INFERNO.
L'ATTESA di Piero Messina
Lungometraggio di debutto per Piero Messina, assistente alla regia di Paolo Sorrentino in This must be the place e ne La grande bellezza, e che può contare su un cast che vede in Juliette Binoche la propria front-runner. Ambientato a Caltagirone, il film narra il dramma di due donne che affrontano un lutto: la morte del figlio e del proprio fidanzato. Il viaggio in Sicilia diventa, quindi, il pretesto per effettuare un'esplorazione nella solitudine e nell'incomunicabilità della morte. Peccato, però, che L'attesa riveli, nel costante desiderio di creare una forma perfetta, la totale incapacità di suscitare emozioni. Il dolore stenta a trasparire probabilmente anche a causa di performance attoriali non all'altezza delle aspettative. Un vero peccato che forma e contenuto non convergano mai e che il secondo muoia sotto il peso eccessivo delle belle immagini.

A BIGGER SPLASH di Luca Guadagnino
Il sopravvalutato Guadagnino torna al cinema con A bigger splash, dramma siciliano con Ralph Fiennes, Tilda Swinton, Matthias Schoenaerts e Dakota Johnson. Il film inizia come una commedia sentimentale e termina svoltando verso il thriller, non abbandonando mai il tono grottesco di fondo. Probabilmente, in maniera involontaria. Abbondano, infatti, i luoghi comuni, incarnati da un Corrado Guzzanti ai suoi minimi storici. L'etica patinata di Guadagnino si nutre di seni e di fondoschiena femminili, con l'obiettivo di raggiungere una presunta autorialità che spinge lo spettatore alle risate più grasse. L'innesto, poi, del tema dell'immigrazione risulta indigeribile e posticcio. Le indagini svolte in maniera approssimativa e portate a termine a tarallucci e vino affondano ulteriormente il film. Da dimenticare.

DE PALMA di Noah Baumbach e Jake Paltrow
Baumbach si è prepotentemente affermato negli ultimi anni dirigendo e scrivendo film quali Il calamaro e la balena, Greenberg, Frances Ha e, per ultimo, While we're Young, saggio sulla generazione digitale e su due epoche storiche in netta collisione tra loro. Ha anche collaborato alla sceneggiatura di Le avventure acquatiche di Steve Zissou e Fantastic Mr. Fox, entrambi diretti da Wes Anderson. Le aspettative su questo film, diretto da un regista cinefilo, amante di Nouvelle Vague e New Hollywood e dedicato ad un pilastro della rivoluzione del cinema americano degli anni '70, erano assai elevate. Peccato però che la mano di Baumbach stenti a vedersi e che De Palma si trasformi presto in una smorta e sonnacchiosa sequenza di pillole raccontate in prima persona dal regista de Gli intoccabili. Il film non è male ma ferisce assistere semplicemente ad un compitino portato a termine senza particolari guizzi di creatività.

domenica 13 settembre 2015

CINEVOTI 72ESIMA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA

di Matteo Marescalco


Come ogni anno, non può mancare, nella rubrica Cinevoti, una pratica guida ai film della Mostra. Ecco a voi le nostre preferenze. 
I migliori: Francofonia di Aleksandr Sokurov, 11 minut di Jerzy Skolimovski e Non essere cattivo di Claudio Caligari.
I peggiori: L'attesa di Piero Messina, A bigger splash di Luca Guadagnino e Interruption di Yorgos Zois.



Matteo Marescalco Egidio Matinata Mara Siviero
Everest di Baltasar Kormakur
★★1/2


★1/2
Un monstruo de mil cabezas di Rodrigo Pla ★★1/2 ★★1/2 ★★
Spotlight di Thomas McCarthy ★★★ ★★★ ★★1/2
De Djess di Alice Rohrwacher ★★1/2

Les 3 Boutons di Agnes Varda ★★

Lolo di Julie Delpy ★★★1/2 ★★★1/2 ★★1/2
Beasts of no nation di Cary Joji Fukunaga ★★★★ ★★★1/2 ★★★
Black Mass di Scott Cooper ★★★ ★★★ ★★1/2
Francofonia di Aleksandr Sokurov ★★★1/2 ★★★★★ ★★★1/2
The childhood of a leader di Brady Corbet ★★★★



L'attesa di Piero Messina

Equals di Drake Doremus ★★1/2

A bigger splash di Luca Guadagnino ★1/2 ★★1/2
The Danish girl di Tom Hooper



★★★
Looking for Grace di Sue Brooks

★★1/2

Marguerite di Xavier Giannoli

★★★

Man down di Dito Montiel ★★ ★★ ★★
El clan di Pablo Trapero ★★★ ★★★★ ★★★
L'hermine di Christian Vincent ★★★1/2

★★1/2
Non essere cattivo di Claudio Caligari ★★★1/2 ★★★★ ★★★1/2
Sangue del mio sangue di Marco Bellocchio ★★★ ★★★ ★★
Anomalisa di Charlie Kaufman e Duke Johnson ★★★ ★★★1/2 ★★★
Interruption di Yorgos Zois

★1/2 ★1/2
Abluka (Frenzy) di Emin Alper

★★★1/2

11 minut di Jerzy Skolimovski ★★★★ ★★★★ ★★★1/2
Heart of a dog di Laurie Anderson ★★★ ★★★1/2 ★★
De Palma di Noah Baumbach e Jake Paltrow★★ ★★★ ★★
Desde allà (From Afar) di Lorenzo Vigas



★1/2
Remember di Atom Egoyan ★★1/2 ★★ ★★★
L'esercito più piccolo del mondo di Gianfranco Pannone ★★★

★★★
Milano 2015 di Elio, Bolle, Soldini, Veltroni, Capotondi, Diritti



★★1/2
Il paradiso può attendere di Ernst Lubitsch

★★★★★

A matter of life and death di Michael Powell e Emeric Pressburger

★★★★

Viva la sposa di Ascanio Celestini

★★

La vie et rien d'autre

★★★1/2

SCRIVERE DI CINEMA 2015: SI VOLA IN FINALE!

di Matteo Marescalco
 
Sono stati annunciati ieri i 7 finalisti (su 850 partecipanti) del concorso Scrivere di Cinema-Premio Alberto Farassino 2015, promosso da Cinemazero, Fondazione Pordenonelegge.it, Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani e Mymovies.it con il sostegno di Minima&Moralia e del Far East Film Fest di Udine.
Ho appreso, con tanta felicità, di essere stato selezionato tra i 7 finalisti con la mia recensione di Inherent Vice-Vizio di forma di Paul Thomas Anderson.
 
In palio, per i primi tre classificati di ogni sezione, la collaborazione annuale con la redazione di Scrivere di Cinema, un workshop redazionale con il blog Minima&Moralia, un carnet del valore di 200 euro per l'acquisto di ingressi al cinema e la possibilità di partecipare come accreditati all'edizione 2016 del Far East Film Festival di Udine e di seguirlo per Mymovies.it e per altre testate media partner del festival.
 
Ai seguenti link trovate il verdetto e la mia recensione, con il nickname di Matteonight, nella sezione Under 25: