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lunedì 27 settembre 2021

OASIS KNEBWORTH 1996

di Matteo Marescalco

Le serate del 10 e 11 agosto 1996 una ragazza baciava appassionatamente il suo ragazzo - o, magari, semplicemente uno sconosciuto appena incontrato e di cui si era innamorata sulle note di Wonderwall -; dopo aver fatto incetta di cassette, due amici si chiudevano in cameretta apprestandosi a registrare ogni singola nota della band in grado di trasformarsi in un fenomeno globale nel giro di appena due anni; un’adolescente sognava di mettere la lingua in bocca a Liam Gallagher e un’altra di regalare ai due fratelli di Manchester «(…) l’invisibilità, per farli andare in giro liberamente, come fossero persone normali».

Durante quelle due serate migliaia di ragazzi e ragazze si apprestavano a vivere la fine della giovinezza, sottratta loro dalla pioggia battente sulle note di I Am The Walrus.

25 anni fa, i due concerti degli Oasis a Knebworth rappresentavano la conclusione del coming of age degli anni Novanta e ponevano fine al periodo supersonico del gruppo in grado di colonizzare l’immaginario di tutti perché innocente, infantile, forse immaturo, sgangherato, folle, totalmente inaspettato e fuori controllo.

Oasis Knebworth 1996 consente di compiere un viaggio nel tempo di quelli che soltanto il cinema è in grado di farci vivere. Durante la visione del documentario si canta, ci si emoziona per gli occhi lucidi, fiduciosi ed euforici di 250mila ragazzi in attesa di vivere la loro vita e spaccare il mondo – ma anche, semplicemente, di trasformarsi in rock ‘n’ roll star, quanto meno per una notte, e di vedere cose che tutti gli altri non sarebbero riusciti mai nemmeno a percepire –, si piange all’idea di chi è andato a quel concerto sapendo di dover morire poco tempo dopo e per la mera esistenza di un evento comunitario così lontano dall’atmosfera del periodo storico che stiamo attraversando. È ancora possibile sognare un’enclave del genere? Siamo in grado di credere gli uni negli altri e scoprire ciò che dorme nelle profondità del nostro animo?

Andiamo al cinema a innamorarci di Oasis Knebworth 1996, in uscita il 27, 28 e 29 settembre grazie a Nexo Digital, a prolungare la naturale scadenza dei nostri sogni e a volare in alto come dei piccoli Icaro senza alcuna paura di bruciarci al sole.

venerdì 16 luglio 2021

L'ARTE INVISIBILE DEL MONTAGGIO - SCOLPIRE IL TEMPO DELL'ESISTENZA

 di Matteo Marescalco

*recensione pubblicata per Birdmen Magazinehttps://birdmenmagazine.com/2021/02/23/montaggio-intervista-torsiello-bonelli/

Secondo il parere di William Friedkin, ogni film viene creato tre volte. Innanzitutto si scrive la sceneggiatura; poi, il testo si trasforma in immagini grazie al contributo degli attori e della troupe. Infine, quanto girato acquista nuova vita grazie al montaggio e al missaggio sonoro. Qualsiasi film, quindi, si evolve e cambia forma assumendo quella definitiva soltanto alla fine di questi tre stadi. Nella sua seconda pubblicazione per Bietti Edizioni dopo Joe Wright. La danza dell’immaginazione, da Jane Austen a Winston Churchill, il critico cinematografico Elisa Torsiello prende in considerazione l’atto creativo che scolpisce definitivamente la forma del film. L’arte invisibile del montaggio. Intervista a Valerio Bonelli, infatti, focalizza la sua attenzione sul montaggio, definito da Elisa Torsiello come «il grande metronomo del cinema» in grado di dettare il tempo della sua esistenza. 

Oltre a offrire un excursus sintetico sulla sartoria laboratoriale delle immagini, questa quinta pubblicazione della nuova collana Bietti Fotogrammi offre al lettore la possibilità di lanciarsi in un percorso di apprendimento insieme a Valerio Bonelli, montatore che, dopo aver studiato presso la prestigiosa National Film and Television School di Beaconsfield, ha lavorato al montaggio di titoli quali Il Gladiatore, Black Hawk Down e Sopravvissuto di Ridley Scott, The Dreamers di Bernardo Bertolucci, Philomena, The Program e Florence di Stephen Frears (suo tutor all’università) e L’ora più buia, La donna alla finestra e Cyrano di Joe Wright. Tra l’autunno 2019 e settembre 2020, inoltre, Bonelli è stato supervising editor di SanPa. Luci e ombre di San Patrignano, docu-serie in cinque puntate diretta da Cosima Spender e distribuita su Netflix.

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giovedì 8 luglio 2021

TAOBUK 2021: LA SICILIA E LE SUE METAMORFOSI

 di Matteo Marescalco

*approfondimento pubblicato su Master Professione Editoria e BookTellinghttps://mastereditoria.unicatt.it/taobuk-2021-sicilia-metamorfosi-letterarie/

Se è vero che, per citare Calcutta, “Pesaro è una donna intelligente”, Taormina (e la Sicilia tout court) dovrebbe essere un posto in cui non cresce mai veramente l’addio. Il 2020 ha costretto milioni di persone alla lontananza e ha affidato alla tecnologia il compito di ammortizzare il rimpianto e l’attesa.

Anche per la Sicilia, tradizionalmente abituata a una sorta di immobilità interiore, unita però a un paradossale e contraddittorio dinamismo esteriore, lo scorso anno è finito per somigliare a una lunga nottata estiva, preda di uno strano torpore che l’ha trasformata in una moderna Aurora in attesa del bacio del principe che potesse risvegliarla e amarla nel profondo, con tutte le sue contraddizioni. A caricarsi del compito di risvegliare questa terra ormai stanca di amori consumati in una notte con uomini vittime del suo fascino fantasmatico e misterioso, come tanti Ulisse in preda al canto delle Sirene, è stata l’undicesima edizione del TaoBuk.

Ideato da Antonella Ferrara, il Festival ha offerto uno dei primi eventi in presenza dell’estate 2021 e, quindi, la possibilità di prostrarsi ai piedi dell’isola, a detta di Colapesce una “femme fatale a cui perdoni sempre tutto, anche se fa la stronza e ti fa soffrire”, e della sua abbacinante e scandalosa luce che, secondo Gesualdo Bufalino, fa invidia persino agli Dei e rende incredibile e inaccettabile il pensiero della morte. 

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venerdì 2 luglio 2021

RACCONTI DI CINEMA: IN CHE MODO GLI SCRITTORI DEL NOVECENTO HANNO RACCONTATO LA SALA CINEMATOGRAFICA?

 di Matteo Marescalco


*approfondimento pubblicato per Master Professione Editoria e BookTellinghttps://mastereditoria.unicatt.it/racconti-di-cinema-scrittori-novecento-sala/

Dal primo spettacolo pubblico a pagamento del 28 dicembre 1895 fino alla visione individuale dei giorni nostri, il cinema è stato protagonista di una riarticolazione di modalità di fruizione. È soltanto negli ultimi tempi, però, che la sua rilocazione su device multifunzionali e l’ingresso nell’agone dello sfruttamento mediale di soggetti quali pay per view, transactional video on demand e subscription video on demand hanno trasformato il ruolo del consumatore e intaccato la centralità della sala cinematografica nell’immaginario collettivo. Piuttosto che pratica accessoria, il 2020, d’altronde, e la pandemia da Covid-19 hanno reso obbligatoria la visione di film in streaming.

Eppure, c’è stato un tempo in cui il cinema aveva un ruolo completamente diverso: esso, infatti, è stato una delle forme più lampanti della modernità e ha rappresentato una rivoluzione nella vita quotidiana. Definito da Francesco Casetti come l’occhio del Novecento, il cinema in sala ha mutato radicalmente il rapporto con le immagini e con le narrazioni, con lo spazio e con il tempo. Gli scrittori hanno iniziato presto a fare i conti con la settima arte: con il cinema, la letteratura non è stata più la stessa e, viceversa, il linguaggio cinematografico ha adattato ed ereditato le forme della narrativa.

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giovedì 24 giugno 2021

EL DORADO

 di Matteo Marescalco


*recensione pubblicata su Point Blankhttps://www.pointblank.it/recensione-film/howard-hakws/ierioggi-speciale-howard-hawks-el-dorado

È il 1966. Qualche anno prima, la morte di John Fitzgerald Kennedy abbatteva il mito di Camelot. La New Hollywood sta per salvare il cinema americano dal più drastico calo di spettatori della sua ancor breve esistenza, Sam Peckinpah ha appena compiuto i primi assalti al mito con Sfida nell’Alta Sierra e Sierra Charriba e, tra la Spagna e Roma, Sergio Leone pone fine alla sua trilogia del dollaro dirigendo Il buono, il brutto, il cattivo.

Più di ogni altra cosa, il 1966 segna la realizzazione di El Dorado, penultimo film diretto da Howard Hawks, scritto da Leigh Brackett e interpretato da John Wayne, Robert Mitchum e James Caan. A questo punto della sua carriera, Hawks è uno dei grandi prestigiatori invisibili del cinema classico americano, alla cui storia ha contribuito in maniera determinante attraverso le corse tra le praterie aride di un western fondato sull’amicizia virile, l’orgoglio, il senso dell’onore e i sentimenti di giustizia e solidarietà, le detonazioni anarchiche tra le fitte maglie della screwball comedy e le ombre magnetiche e silenziose del noir. Ma, rispetto al passato, i tempi stanno cambiando, il cammino sul viale del tramonto è più che avviato e gli idoli sono giunti al loro crepuscolo: protagonisti di El Dorado, infatti, sono il vecchio pistolero Cole Thornton che, per sbarcare il lunario, vende i suoi servigi al miglior offerente, lo sceriffo alcolizzato J.P. Harrah, superstite acciaccato di un mondo ormai al tramonto, e Mississippi, un giovane che non vede l’ora di tuffarsi a capofitto in un mondo così archetipico ma irrimediabilmente vecchio.

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mercoledì 16 giugno 2021

JORDAN PEELE - GLI INCUBI DELLA SOCIETA' AMERICANA CONTEMPORANEA

 di Matteo Marescalco

*approfondimento pubblicato per Birdmen Magazinehttps://birdmenmagazine.com/2020/08/08/jordan-peele-gli-incubi-della-societa-americana-contemporanea/

Durante l’ultimo decennio, qualsiasi risultato positivo al box-office e svariati approfondimenti critici hanno avuto Blumhouse Productions come protagonista. Lo studio di produzione fondato da Jason Blum ha visto la luce nel 2000 ma ha iniziato ad imporsi nel mercato cinematografico soltanto nel 2009, in seguito al clamoroso successo di pubblico di Paranormal Activity. In quel caso, memore del fallimento dell’operazione di acquisizione di The Blair Witch Project-Il mistero della strega di Blair, Jason Blum si è mosso come un cercatore di gemme e ha preso sotto la sua ala protettiva il progetto low-budget (o, probabilmente, sarebbe meglio definire zero-budget) di Oren Peli. 

Da quel momento ad oggi, Blumhouse Productions si è innestata fortemente nel tessuto di uno dei generi più fortemente radicati nell’immaginario americano post-9/11, ha lanciato nuovi autori – su tutti appunto Jordan Peele – che hanno conquistato i nostri cuori e ha riscoperto una serie di registi la cui carriera sembrava ormai destinata a progetti di poco conto e a clamorose debacle. In modo particolare, il 2017 ha rappresentato un’annata di fondamentale importanza per il mondo del cinema horror che, grazie al successo di IT – Capitolo uno, ha fatto registrare la stagione più redditizia di tutti i tempi per il genere. Il film di Andrès Muschietti, poi, si sarebbe anche imposto come l’horror in grado di incassare la cifra più alta nella storia del genere. Tuttavia, il successo dell’adattamento del romanzo di Stephen King è stato accompagnato da quello di titoli che hanno generato strilloni più contenuti ma hanno comunque segnato importanti traguardi. Nel 2017, ad esempio, Blumhouse ha distribuito Split (e ha prodotto anche Glass, insieme a M. Night Shyamalan), Auguri per la tua morte e Scappa-Get Out. Tutti e tre i titoli hanno raggiunto eccellenti incassi globali e il terzo è stato il soggetto di un case-study da parte di Anita Elberse per Harvard Business School. In effetti, sebbene i successi della compagnia di produzione di Jason Blum siano stati molteplici, è innegabile che il titolo di riferimento (dell’horror e dello studio) dell’ultimo decennio sia proprio quello diretto da Jordan Peele. Prodotto con soli 4 milioni e mezzo di budget e distribuito a livello globale da Universal Pictures, Scappa-Get Out ha lanciato il talento cristallino di Peele, ha guadagnato più di 250 milioni di dollari nel mondo, ha fruttato il Premio Oscar alla Miglior Sceneggiatura Originale al suo autore e ha affermato il nome di Blumhouse al di fuori della cerchia di affezionati cui è solito rivolgersi il genere. A livello produttivo e di immagine, il progetto ha un’importanza capitale. 

Secondo Charles Layton, Scappa-Get Out è il film che, meglio di tutti, ha diffuso presso il pubblico il brand Blumhouse. In effetti, basta dare un’occhiata ai risultati conseguiti al box-office nel 2017 da titoli quali i già citati IT-Capitolo Uno, Split, Auguri per la tua morte per comprendere quanto il film di Peele rappresenti il perfezionamento della formula Blum. Il paradigma del low budget-high concept innerva la produzione Blumhouse e consente allo studio di realizzare utili superiori a quelli conseguiti dai grandi studios. Non è un caso che, annualmente, i titoli prodotti da Jason Blum compaiano tra le prime posizioni per profitti realizzati e per rapporto tra costi di produzione e utili. Infine, secondo quanto dichiarato in una ricerca condotta da David Ehrlich per IndieWire, insieme ad Auguri per la tua morte e a Noi, Scappa-Get Out è stato uno degli otto film originali (non basati, cioè, su sequel, spin-off, adattamenti o remake – quindi, su proprietà intellettuali preesistenti) ad aver vinto almeno un week-end al box-office a partire dal 2017. A questo punto, spostiamo la nostra focalizzazione da Blumhouse Productions al regista più importante nella scuderia degli autori lanciati da Jason Blum.

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mercoledì 12 maggio 2021

DA 5 BLOODS - IL JAZZ DI SPIKE LEE

 di Matteo Marescalco


*recensione pubblicata per Birdmen Magazine: https://birdmenmagazine.com/2020/06/22/da-5-bloods-jazz-spike-lee/

Reduce dalla cura Blumhouse in ambito mainstream con il successo di pubblico di BlacKkKlansman e dalla vittoria del primo Premio Oscar nella sua carriera (quello alla Miglior Sceneggiatura non originale), con Da 5 Bloods, Spike Lee ha dato vita ad una ricchissima tessitura mediale in grado di aggredire visivamente lo spettatore e di metterlo più volte con le spalle al muro. Prima di addentrarci nella costruzione di un discorso su questo suo ultimo film, da poco disponibile su Netflix, urge sottolineare quanto Da 5 Bloods compia il percorso inverso rispetto a BlacKkKlansman. Questo titolo – prodotto da Jason Blum e da Jordan Peele, alfiere del new black cinema – prendeva in considerazione il tentativo di un uomo di colore di camuffarsi e di negare sé stesso per inserirsi nel sistema e combatterlo dall’interno; al contrario, i protagonisti di Da 5 Bloods partono dalla metropoli, ritornano al cuore di tenebra della giungla vietnamita con la speranza che questo viaggio nel passato possa illuminare il (loro) presente e futuro. 

Impossibile, a tal proposito, non pensare al binomio circolare edificato da Scappa – Get Out e da Noi. Nel primo, l’aspirazione dei bianchi era quella di rifugiarsi in un cabin in the woods per possedere il corpo nero e dare vita ad un nuovo incubo neocolonialista; in Noi, tale aspirazione sarebbe stata capovolta a partire dalla prima emblematica scena che vede la giovane protagonista indossare una t-shirt raffigurante Michael Jackson e con i black people intenti in una lotta con l’obiettivo di trasformarsi in bianchi e capovolgere l’intero sistema sociale. Allo stesso modo, le due recenti incursioni di Spike Lee nel cinema in live-action vivono percorsi speculari, costruendo un simile itinerario.

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martedì 20 aprile 2021

BASTARDO SENZA GLORIA - RITRATTO DI ELI ROTH

 di Matteo Marescalco


*approfondimento pubblicato su Birdmen Magazinehttps://birdmenmagazine.com/2021/04/17/eli-roth-cinema-americano/

«Vedere che Sam Raimi ce l’aveva fatta rese possibile, ai miei occhi, che una persona come me, appassionata di horror, potesse prendere una cinepresa, andare in un bosco e fare il film più sanguinario e disgustoso possibile». Prima ancora che uno dei più apprezzati enfant terrible del cinema di genere degli anni Duemila, Eli Roth è stato un bambino appassionato di cinema che sognava di dare vita a quegli incubi che tanto popolavano il suo inconscio e le sue visioni quotidiane. Nato a Newton da una famiglia ebraica il 18 aprile 1972, il giovane Eli è cresciuto con un padre psichiatra e docente all’Università di Harvard e con una madre pittrice. Considerata la sua ammirazione nei confronti di Ridley Scott e del suo Alien e l’ambiente familiare propizio al fertile dialogo tra semiosfera della cultura e del genere, col senno di poi lo sviluppo che la carriera di Roth avrebbe attraversato negli anni a venire sembrerebbe rispettare l’idea di una qualsivoglia predestinazione. 

Leggenda vuole che, prima di diplomarsi alla Newton South High School, Eli abbia girato più di cinquanta cortometraggi insieme ai suoi due fratelli. La laurea alla New York University, poi, e l’ingresso nel mondo del lavoro a Hollywood lo trasformarono nel pupillo di Frederick Zollo, produttore che lo mise in contatto con David Lynch, per cui Eli ha curato il suo sito Internet. Ebbene sì, prima di attrarre l’interesse di Quentin Tarantino, il bastardo senza gloria di Newton è riuscito a convogliare su di sé l’ammirazione del regista di Mulholland Drive che ha offerto al debutto cinematografico alla regia del ragazzo allora trentenne la sua produzione esecutiva e la colonna sonora firmata da Angelo Badalamenti. Dopo questo breve e rapido prologo, siete pronti a immergervi nel primo atto di quel mondo ricco di ombre e privo di luci che ha dato la fama ad Eli Roth?

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martedì 6 aprile 2021

HELGOLAND DI CARLO ROVELLI

 di Matteo Marescalco


*recensione pubblicata su Master Professione Editoria e BookTellinghttps://mastereditoria.unicatt.it/helgoland-carlo-rovelli/

“Il fatto che noi viviamo sul fondo di un profondo pozzo di potenziale gravitazionale, sulla superficie di un pianeta ricoperto di gas che gira intorno a una palla di fuoco nucleare appena 90 milioni di miglia più in là, e pensiamo che questo sia normale, è una certa indicazione di quanto distorte tendano a essere le nostre prospettive.”

Cosa accomuna Carlo Rovelli e Doctor Strange? È il mondo della fisica quantistica a consentire l’incontro tra l’accademico italiano inserito nella lista dei 100 migliori pensatori del mondo dalla rivista “Foreign Policy” nel 2019 e il più potente mago della Terra, partorito dalla fantasia di Stan Lee e Steve Ditko e più volte celebrato al Lucca Comics & Games. Nel suo Helgoland (edito nel 2020 da Adelphi), Carlo Rovelli prende per mano il lettore e lo conduce in un viaggio ai confini del mondo. L’isola che dà il titolo al libro ha ospitato i germi di una delle due più radicali rivoluzioni scientifiche del Novecento: la fisica quantistica. Nel mondo parallelo e isolato di Helgoland, nel giugno 1925 il giovane Werner Heisenberg ha elaborato una teoria misteriosa, paradossale e contraddittoria che ha entusiasmato Albert Einstein, Niels Bohr, Erwin Schrödinger e Max Born, accademici di caratura mondiale che hanno provato in tutti i modi a sistematizzare le sue conquiste.

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giovedì 18 marzo 2021

BOUND - TORBIDO INGANNO

 di Matteo Marescalco


*approfondimento scritto per Point Blankhttps://www.pointblank.it/recensione-film/lana-wachowski/erotic-thrills-bound-torbido-inganno

[Questo articolo apre uno speciale monografico dedicato alla figura eversiva, politica, erotica della femme fatale, nato dalla convinzione che «l’immagine, ancor più se sessuale, è sufficiente a creare una narrazione (dei generi, del pensiero, della cultura, del mercato)». L’immagine crea, e il cinema «fa ancora la differenza», nonostante tanta parte del contemporaneo sia volta oggi alla produzione di immagini-corpo depotenziate, depauperate, inviluppate di teoria e rivendicazione intellettuale desessualizzata. Incentrato sul neo-noir (dal revival postmoderno di Brivido caldo all’eccesso parodico di Sex Crimes), questo speciale nasce come risposta a tale condizione imperante e prende corpo da un testo specifico, Brivido caldo – Una storia contemporanea del neo-noir, di Pier Maria Bocchi. A lui abbiamo chiesto quest’introduzione, in cui vengono tracciate le linee guida del nostro lavoro per una riscoperta del potere eversivo del desiderio].

Tre anni prima di rivelare l’essenza metamorfica del mondo-cinema e di s-velarne il carattere simulacrale, le sorelle Lana e Lilly Wachowski sancivano il definitivo ingresso del (Neo)-noir nell’orizzonte postmoderno. Il nuovo millennio è a un passo, il topos della femme fatale è in via di ridefinizione e il cinema abbraccia una tessitura artefatta e pop che rispecchia l’incerta contemporaneità.  

Bound-Torbido inganno basa il suo intreccio sulla classica relazione tra tre personaggi che determina l’ossatura di un racconto in grado di far convivere orizzonte classico e postmoderno del genere. Corky è una giovane appena uscita di prigione. Per guadagnarsi da vivere, la ragazza inizia a fare l’idraulico e il suo luogo di lavoro è l’appartamento adiacente a quello in cui abita Violet, sposata con Caesar, delinquente che si occupa del riciclaggio di denaro per la malavita locale. L’incontro imprevisto tra i tre personaggi sconvolge improvvisamente le loro esistenze. Animate da una furiosa passione fisica, Violet e Corky escogitano un piano per fuggire dalla città e lasciarsi alle spalle il passato. 

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venerdì 8 gennaio 2021

LOVECRAFT COUNTRY - DECOSTRUIRE GLI USA ATTRAVERSO L'HORROR

 di Matteo Marescalco

*recensione pubblicata su Birdmen Magazine: https://birdmenmagazine.com/2020/12/20/lovecraft-country-hbo-peele/

Basterebbero i primi minuti di Lovecraft Country – La Terra dei Demoni per suggerire quanto le notevoli aspettative nutrite nei confronti della serie horror HBO prodotta da Jordan Peele e J.J. Abrams trovino un riscontro con la realtà dei fatti. I momenti iniziali della serie prodotta da HBO, infatti, sintetizzano l’orgia cacofonica di immagini e suoni che martellerà le vostre pupille nel corso dei dici episodi che compongono lo show: Atticus (Jonathan Majors) è un soldato afroamericano che combatte in mezzo alle trincee, oltrepassa cadaveri sparsi tutt’intorno ed evita abilmente proiettili che lo sfiorano e lo mancano per un pelo; mentre il ragazzo continua a marciare, la scena esplode di colori (venuti dallo spazio), un drago attraverso lo schermo, alieni fluorescenti librano nel cielo, Tripodi marziani sparano raggi laser e annientano ogni cosa e legionari romani combattono soldati di fanteria americana della prima guerra mondiale. Come se non bastasse, un gigantesco mostro tentacolare prova ad ingurgitare Atticus ma viene colpito a morte nientemeno che da Jackie Robinson, che inizia ad agitare la sua mazza e atterra la creatura lovecraftiana. Per fortuna, questa introduzione a effetto è semplicemente un sogno di Atticus che, in preda al terrore, si sveglia in fondo ad un autobus mentre tiene in mano una copia di Sotto le lune di Marte di Edgar Rice Burroughs. 

Questa prima e brevissima sequenza mette tanta carne al fuoco e lascia presagire quanto Lovecraft Country possa essere una serie rabbiosa, orgogliosa, impetuosa e decisamente imperfetta. Eppure, è proprio in un contesto a tal punto magmatico e feroce che si agita un cuore selvaggio dalla forza sorprendente. Tratta dall’omonimo romanzo di Matt Ruff, Lovecraft Country racconta il ritorno di Atticus Turner dalla Guerra di Corea. Il ragazzo viene accolto da un’America razzista, mostruosa e segnata dalle leggi Jim Crow, in cui l’orizzonte reale è molto più terrificante di quello onirico: nel suo viaggio alla ricerca del padre Montrose (Michael Kenneth Williams), misteriosamente scomparso, infatti, Atticus si imbatte in pregiudizi, residui colonialisti, società segrete, suprematisti bianchi in grado di evocare incantesimi e in creature mostruose dotate di centinaia di occhi. Con lo sviluppo della narrazione, si fa sempre più chiaro quanto l’obiettivo segreto di Montrose fosse quello di indagare sulla sua vera discendenza. Questo percorso – reale e immaginario – condurrà i protagonisti della serie alla volta di Ardham – città fittizia al confine con il New Hampshire – nel cuore di quella porzione degli Stati Uniti in cui H.P. Lovecraft ha ambientato gran parte della sua mitologia e ribattezzata, proprio per questo motivo, Lovecraft Country.

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