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giovedì 24 giugno 2021

EL DORADO

 di Matteo Marescalco


*recensione pubblicata su Point Blankhttps://www.pointblank.it/recensione-film/howard-hakws/ierioggi-speciale-howard-hawks-el-dorado

È il 1966. Qualche anno prima, la morte di John Fitzgerald Kennedy abbatteva il mito di Camelot. La New Hollywood sta per salvare il cinema americano dal più drastico calo di spettatori della sua ancor breve esistenza, Sam Peckinpah ha appena compiuto i primi assalti al mito con Sfida nell’Alta Sierra e Sierra Charriba e, tra la Spagna e Roma, Sergio Leone pone fine alla sua trilogia del dollaro dirigendo Il buono, il brutto, il cattivo.

Più di ogni altra cosa, il 1966 segna la realizzazione di El Dorado, penultimo film diretto da Howard Hawks, scritto da Leigh Brackett e interpretato da John Wayne, Robert Mitchum e James Caan. A questo punto della sua carriera, Hawks è uno dei grandi prestigiatori invisibili del cinema classico americano, alla cui storia ha contribuito in maniera determinante attraverso le corse tra le praterie aride di un western fondato sull’amicizia virile, l’orgoglio, il senso dell’onore e i sentimenti di giustizia e solidarietà, le detonazioni anarchiche tra le fitte maglie della screwball comedy e le ombre magnetiche e silenziose del noir. Ma, rispetto al passato, i tempi stanno cambiando, il cammino sul viale del tramonto è più che avviato e gli idoli sono giunti al loro crepuscolo: protagonisti di El Dorado, infatti, sono il vecchio pistolero Cole Thornton che, per sbarcare il lunario, vende i suoi servigi al miglior offerente, lo sceriffo alcolizzato J.P. Harrah, superstite acciaccato di un mondo ormai al tramonto, e Mississippi, un giovane che non vede l’ora di tuffarsi a capofitto in un mondo così archetipico ma irrimediabilmente vecchio.

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mercoledì 16 giugno 2021

JORDAN PEELE - GLI INCUBI DELLA SOCIETA' AMERICANA CONTEMPORANEA

 di Matteo Marescalco

*approfondimento pubblicato per Birdmen Magazinehttps://birdmenmagazine.com/2020/08/08/jordan-peele-gli-incubi-della-societa-americana-contemporanea/

Durante l’ultimo decennio, qualsiasi risultato positivo al box-office e svariati approfondimenti critici hanno avuto Blumhouse Productions come protagonista. Lo studio di produzione fondato da Jason Blum ha visto la luce nel 2000 ma ha iniziato ad imporsi nel mercato cinematografico soltanto nel 2009, in seguito al clamoroso successo di pubblico di Paranormal Activity. In quel caso, memore del fallimento dell’operazione di acquisizione di The Blair Witch Project-Il mistero della strega di Blair, Jason Blum si è mosso come un cercatore di gemme e ha preso sotto la sua ala protettiva il progetto low-budget (o, probabilmente, sarebbe meglio definire zero-budget) di Oren Peli. 

Da quel momento ad oggi, Blumhouse Productions si è innestata fortemente nel tessuto di uno dei generi più fortemente radicati nell’immaginario americano post-9/11, ha lanciato nuovi autori – su tutti appunto Jordan Peele – che hanno conquistato i nostri cuori e ha riscoperto una serie di registi la cui carriera sembrava ormai destinata a progetti di poco conto e a clamorose debacle. In modo particolare, il 2017 ha rappresentato un’annata di fondamentale importanza per il mondo del cinema horror che, grazie al successo di IT – Capitolo uno, ha fatto registrare la stagione più redditizia di tutti i tempi per il genere. Il film di Andrès Muschietti, poi, si sarebbe anche imposto come l’horror in grado di incassare la cifra più alta nella storia del genere. Tuttavia, il successo dell’adattamento del romanzo di Stephen King è stato accompagnato da quello di titoli che hanno generato strilloni più contenuti ma hanno comunque segnato importanti traguardi. Nel 2017, ad esempio, Blumhouse ha distribuito Split (e ha prodotto anche Glass, insieme a M. Night Shyamalan), Auguri per la tua morte e Scappa-Get Out. Tutti e tre i titoli hanno raggiunto eccellenti incassi globali e il terzo è stato il soggetto di un case-study da parte di Anita Elberse per Harvard Business School. In effetti, sebbene i successi della compagnia di produzione di Jason Blum siano stati molteplici, è innegabile che il titolo di riferimento (dell’horror e dello studio) dell’ultimo decennio sia proprio quello diretto da Jordan Peele. Prodotto con soli 4 milioni e mezzo di budget e distribuito a livello globale da Universal Pictures, Scappa-Get Out ha lanciato il talento cristallino di Peele, ha guadagnato più di 250 milioni di dollari nel mondo, ha fruttato il Premio Oscar alla Miglior Sceneggiatura Originale al suo autore e ha affermato il nome di Blumhouse al di fuori della cerchia di affezionati cui è solito rivolgersi il genere. A livello produttivo e di immagine, il progetto ha un’importanza capitale. 

Secondo Charles Layton, Scappa-Get Out è il film che, meglio di tutti, ha diffuso presso il pubblico il brand Blumhouse. In effetti, basta dare un’occhiata ai risultati conseguiti al box-office nel 2017 da titoli quali i già citati IT-Capitolo Uno, Split, Auguri per la tua morte per comprendere quanto il film di Peele rappresenti il perfezionamento della formula Blum. Il paradigma del low budget-high concept innerva la produzione Blumhouse e consente allo studio di realizzare utili superiori a quelli conseguiti dai grandi studios. Non è un caso che, annualmente, i titoli prodotti da Jason Blum compaiano tra le prime posizioni per profitti realizzati e per rapporto tra costi di produzione e utili. Infine, secondo quanto dichiarato in una ricerca condotta da David Ehrlich per IndieWire, insieme ad Auguri per la tua morte e a Noi, Scappa-Get Out è stato uno degli otto film originali (non basati, cioè, su sequel, spin-off, adattamenti o remake – quindi, su proprietà intellettuali preesistenti) ad aver vinto almeno un week-end al box-office a partire dal 2017. A questo punto, spostiamo la nostra focalizzazione da Blumhouse Productions al regista più importante nella scuderia degli autori lanciati da Jason Blum.

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