La prima sequenza del nuovo film di Abdellatif Kechiche, che reca il destino nel proprio titolo, funge da manifesto programmatico del cinema del regista tunisino e dei successivi 170 minuti circa. Amin è un aspirante sceneggiatore, nonché appassionato di fotografia, che vive a Parigi e torna per l'estate nella sua città natale, una piccola comunità nel sud della Francia. L'occasione è perfetta per incontrare parenti, amici e amori mai sopiti. Amin trascorre la maggior parte del suo tempo con Ophelie, la migliore amica per cui prova un segreto amore, e Tony, il cugino che piace tanto alle donne. Il ristorante di specialità tunisine, il bar del quartiere, la discoteca e l'assolata spiaggia sono i luoghi più frequentati da ragazzi e ragazze in estate. Amin è totalmente incantato dalle numerose figure femminili che lo circondano e lo avvinghiano, sirene estive che stordiscono i sensi e gettano nell'euforia i corpi maschili. Tuttavia, il ragazzo sembra essere privo della forza di seduzione che caratterizza suo cugino Tony.
Si diceva della prima sequenza: Amin arriva a casa di Ophelie e trova l'amica impegnata in atti sessuali (restituiti dal regista in modo molto naturalistico) con Tony. Il ragazzo non va via ma, dalla finestra, osserva lo spettacolo con interesse e curiosità. E si tratta di ciò che farà per l'intero corso del lungometraggio. Tutti si sfiorano e si toccano, i corpi sudano ed emanano feromoni ma Amin si manterrà sempre ai margini della pista, punto di vista privilegiato sulle vicende e sul fluire della vita su schermo. I pedinamenti della macchina da presa provano a replicare il tempo della vita, le azioni non sono mai interrotte ma vengono seguite, tempi morti compresi, allontanando l'assunto del loro potenziale narrativo. Tutto è vissuto (o, comunque, portato in scena?) con l'obiettivo di esaltare la carica e la vitalità dei corpi femminili, veneri vittime dell'invadenza voyeuristica di Amin (e di noi spettatori) che diventa presto insopportabile.
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Qual è l'effetto collaterale? Il venir meno della loro erotizzazione. L'esposizione frontale e sfacciata, le danze disinibite e dai ritmi frenetici azzerano i margini di movimento e la curiosità suscitata da un occultamento che avrebbe evitato la perversione dello sguardo del protagonista (e del suo regista). Attenzione: il problema non consiste in ciò che si mostra ma nel modo in cui lo si porta in scena. La forma estremamente scopica scelta da Amin ne suggella lo sguardo perverso e restituisce l'impressione di un film simulato che vive dei propri limiti e, per di più, li mostra con orgoglio.
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