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sabato 26 maggio 2018

LAZZARO FELICE

di Matteo Marescalco

Chi è questo fantomatico Lazzaro felice che dà il titolo all'ultimo film di Alice Rohrwacher? Lazzaro è un giovane dall'animo gentile che vive nell'ambito di una piccola comunità di braccianti in una sperduta zona rurale, sotto il controllo della Marchesa Alfonsina de Luna, nota come “la regina delle sigarette”. I mezzadri sono sfruttati dalla Marchesa e sono tenuti lontano da ogni forma di cultura e di contatto con la società che li circonda. L'incontro tra Tancredi, il figlio della de Luna, e Lazzaro sancirà l'avvio di una incredibile avventura, continuamente in bilico tra realtà e finzione.

Non c'è dubbio che Lazzaro felice sia un prodotto sui generis ed incatalogabile nell'ambito del cinema italiano contemporaneo, fuori dagli schemi produttivi più tradizionali ed “industriali”, ammesso che sia lecito utilizzare questo termine. Il rapporto delineato con lo spettatore è totalmente contemplativo e richiede un tempo di fruizione particolare e più approfondito. Il film è un'opera a cavallo tra realismo e sovrannaturale. I due ambiti cozzano nello scontro tra prima parte e seconda parte del film all'interno delle quali, comunque, echi misterici e restituzione naturalistica si intrecciano continuamente. Siamo dalle parti di un fantasy spirituale, nelle zone di Miracolo a Milano di De Sica e di Totò il buono di Zavattini: è un cinema che cerca sempre l'astrazione attraverso un volo pindarico e un continuo scarto. Le epoche di entrambi i capitoli del film, attraversati e “interlacciati” da un personaggio che attraverso il tempo e gli spazi, appartengono ad una modernità sospesa: quella negata agli abitanti di un villaggio, obnubilati e privati della verità, e quella mostrata agli abitanti di una metropoli che si pone in totale contrasto morale rispetto alla comunità primigenia e che accoglie la povertà dei trapiantati.

Lazzaro somiglia al suonatore cieco/Edipo di Franco Citti che vaga nel finale di Edipo re di Pasolini: è una sorta di resistenza del tempo, un miracolo che va alla ricerca di un sogno impossibile da realizzare. Nonostante la divisione netta che coincide anche con uno spartiacque relativo al livello qualitativo del film, Lazzaro felice riesce a mantenere inalterata, lungo tutto la sua durata, una libertà ed una frenesia dai tratti fanciulleschi. Si avverte il piacere di una danza sacra impossessatasi dello spirito del film, un viaggio in un mondo di fantasmi e di immagini fuori fuoco. Al netto di cadute di stile e di un finale che ruota troppo su sé stesso e che punta con eccessiva veemenza il dito sui presunti cattivi della vicenda, Lazzaro felice funziona chiedendo un atto di fede agli spettatori. Fede nei confronti di un realismo magico rappresentato da uno sguardo innocente che si confronta con un mondo ostile, i cui abitanti hanno superato male l'esame del tempo.

In tal senso, la regista è molto simile al personaggio di Lazzaro, sempre in bilico tra santità e follia ma altrettanto costantemente fedele all'ideale di una luna giusta, che osserva tutti con il medesimo candore. 

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