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mercoledì 1 giugno 2016

TUTTI VOGLIONO QUALCOSA

di Matteo Marescalco

Chi non ha mai visto la trilogia dedicata a Jesse e Celine, giovane coppia conosciutasi a Vienna nel lontano 1995? Chi non ha vissuto le peripezie di quei due giovani tra le mani del destino, pedine danzanti tra le note del tempo? O ancora, allargando il discorso, chi non ha sognato di passare una notte insieme ad una ragazza sconosciuta e di poter trascorrere insieme a lei i migliori attimi della propria vita? In fondo, la vita è una questione di attimi che ci colgono al volo. Questo, Richard Linklater lo sa bene. Dopo aver assottigliato il confine tra vita e cinema, lo scultore del tempo ha realizzato la sua opera più ambiziosa, per la quale ha pedinato un ragazzo dal 2002 al 2013, epoca di grandi trasformazioni sociali e di immani cambiamenti cinematografici. E, guardando Boyhood, lo spettro di Antoine Doinel si aggira furtivo all’interno della nostra mente. Si ferma e ci fissa. Il movimento si blocca nel tempo e la stasi si protrae all’infinito. La vita è una questione di attimi, per l’appunto.
Da La vita è un sogno alla trilogia di Before, da Boyhood fino a quest’ultimo Tutti vogliono qualcosa, è chiaro che Richard Linklater non è semplicemente uno dei vari autori da etichettare sotto la targhetta “indie”. C’è qualcosa di più in ballo. Il minimalismo dei suoi film, spesso caratterizzati da lunghi piani sequenza, unito alla semplicità delle situazioni drammaturgiche, restituisce un’istantanea su momenti ben precisi che sembrano spesso appartenere ad un contesto onirico. Poco importa che si tratti di una storia d’amore vissuta a Parigi, a Vienna o in Grecia. O, ancora, degli ultimi giorni prima dell’inizio delle lezioni al college per un gruppo di giovani ragazzi. Linklater è sempre andato alla ricerca del tempo perduto, trattandolo come l’essenza stessa del suo fare cinema, pedinando i tempi morti che, solitamente, non contribuiscono allo sviluppo di un film tradizionale. Al di là delle costruzioni registiche tradizionali e, per l’appunto, come già detto, degli sviluppi drammaturgici semplificati (Boyhood è quanto più in linea con l’idea americana di coming-of-age possa esistere), resta un’acuta ricostruzione del tempo filtrato attraverso gli occhi dei suoi protagonisti che ne vivono il lento incedere anche attraverso lo sviluppo dei fenomeni mass-mediali.
Insomma, guai a chi etichetta Tutti vogliono qualcosa come l’ennesimo filmetto post-adolescenziale su ragazzotti che, a pochi giorni dal college, passano il tempo a fare sesso e ad ubriacarsi. Di questo viaggio alla ricerca di un mood che non esiste più rimane la purezza dello sguardo, la chiarezza del filtro, gli interrogativi sul futuro, con una certezza. La vita è sempre una questione di attimi. Da cui farsi depredare, da cogliere al volo e di cui essere assoluti protagonisti.

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