di Macha Martini
Le immagini scorrono frenetiche sullo schermo. Attaccano
lo spettatore. Lì, fermo. Indifeso. Gli occhi sgranati, la bocca
spalancata. Gag inspiegabili e geniali che lasciano il pubblico
stupefatto. Il tutto shakerato a momenti di horror capovolto (non
incutono terrore, anzi, creano situazioni paradossalmente
esilaranti). Un interessante e particolare, forse a molti tratti
trash, cocktail effervescente.
I protagonisti? Pedine della
società moderna nascoste dietro clowneschi e fantastici personaggi
che scappano veloci. Streghe e disadattati cronici. Donne e
uomini.
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Dialoghi
vivi, brillanti, svegli, spumeggianti, con vari riferimenti cinefili.
Montaggio ritmicamente acceso e dinamitico. Nulla è scontato.
I personaggi, volutamente macchiette pantagrueliche e gargantuesche,
calcano sulle difficoltà incontrate dagli uomini in relazione alle
donne, che stanno assumendo sempre di più le redini nelle relazioni.
Donne hitleriane s’infuriano ed evidenziano le carenze degli
uomini, totalmente impacciati, che tentano di far risalire la propria
autostima con un furto (ironicamente un furto di anelli nuziali,
simbolo di promesse mancate). Incappano però in Zugarramurdi, legata
al mondo delle streghe (nel 1610 l’Inquisizione condannò 11
persone, che furono arse vive), le più rappresentative del bagaglio
di frustrazione che il mondo femminile ha dovuto portarsi dietro per
anni e anni di storia.
In tutto questo, gli uomini sembrano impotenti
pedine che vagano (o meglio corrono), quasi nel buio, in una
scacchiera rabelaisiana in mano a due giocatrici. In una sedia
abbiamo donne forti e potenti che vogliono solo vendicarsi sul genere
maschile che per secoli, e in parte ancora oggi, ha cercato di
sopprimerle, relegandole in casa. Megere più che streghe.
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Partendo
da una metafora quasi fantasy, nel film si mette a fuoco un
problema concreto: il
nuovo ruolo delle donne in una società su
cui si stanno abbattendo pian piano i muri maschilisti e le
difficoltà degli uomini davanti a tale cambiamento. Nel farlo, il
regista destruttura il genere horror portando in scena una
delirante commedia nera che viaggia tra derisione tanto del
genere maschile (mostrato come carente e impacciato) quanto di quello
femminile (si accentuano gli stereotipi misogini sulle donne, in modo
molto comico, e anche i luoghi comuni, spesso distorti).
Esagerando
baroccamente, si ha un eccitante mix originale di generi
commerciali. Anche se pecca nella resa degli effetti speciali
(molto “caserecci” soprattutto per un pubblico abituato ai film
delle grandi case produttrici statunitensi) e per la gestione finale
dei tempi di scrittura, Álex de la Iglesia cattura il pubblico con
una messa in scena elettrizzante, che ti colpisce passo dopo passo.
L’effetto è di un piacere quasi perverso che scorre veloce
come le immagini del film.
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