di Matteo Marescalco
Tra suggestioni silvane e contaminazioni pittoriche si dipanano le tre vicende del film. L'atmosfera fiabesca è la stessa di Reality. Non cambia neppure il clima inquietante ed onirico. Ad impreziosire ulteriormente il racconto si aggiunge il gusto dell'orrido nel tratteggiare i corpi e la pelle dei personaggi sottoposti al terribile giudizio del Tempo e dell'Amore che, letteralmente, scorticano le proprie vittime. C'è chi insegue una bellezza perduta e, probabilmente, irraggiungibile, chi si lascia irretire dalle avances del Potere e chi vorrebbe piegare a proprio piacimento il Destino. In questo circo grottesco ed efferato che è il mistero della Vita, i personaggi si muovono come tanti equilibristi in bilico su pericolosi strapiombi da cui non riusciranno mai a salvarsi.
Tra suggestioni silvane e contaminazioni pittoriche si dipanano le tre vicende del film. L'atmosfera fiabesca è la stessa di Reality. Non cambia neppure il clima inquietante ed onirico. Ad impreziosire ulteriormente il racconto si aggiunge il gusto dell'orrido nel tratteggiare i corpi e la pelle dei personaggi sottoposti al terribile giudizio del Tempo e dell'Amore che, letteralmente, scorticano le proprie vittime. C'è chi insegue una bellezza perduta e, probabilmente, irraggiungibile, chi si lascia irretire dalle avances del Potere e chi vorrebbe piegare a proprio piacimento il Destino. In questo circo grottesco ed efferato che è il mistero della Vita, i personaggi si muovono come tanti equilibristi in bilico su pericolosi strapiombi da cui non riusciranno mai a salvarsi.
«To Nico and Marco» recita la dedica finale, prima dei titoli di coda, dell'ultimo film di Matteo Garrone. Impossibile, in effetti, non pensare ad un omaggio a Marco Onorato, fido direttore della fotografia che ha preso per mano Garrone e lo ha accompagnato durante tutta la sua carriera artistica, da Terra di Mezzo a Reality.
Ma facciamo un passo indietro, riavvolgiamo il nastro e torniamo all'inizio del film.
Una donna vestita in abiti circensi, tallonata dalla macchina a mano che parte dalla sua ombra, ci introduce nel mondo medievale di Giambattista Basile, che, con il suo Lo Cunto de li Cunti ha fornito il materiale di partenza. La raccolta è composta da 50 fiabe in lingua napoletana ed è stata pubblicata tra il 1634 e il 1636. Il Pentamerone (l'opera è nota anche con questo titolo) ha influenzato Charles Perrault, i fratelli Grimm e Christian Andersen, favorendo la genesi di fiabe quali Cenerentola, La bella addormentata nel bosco e Il gatto con gli stivali.
Il tema del doppio è subito introdotto. Le tre fiabe selezionate (la cui resa risulta però poco compatta), La cerva fatata, La vecchia scorticata e La pulce sono tutte accomunate da questo tema, dalla presenza di figure femminili di differente età e dall'ossessione di Garrone per la pelle, che trova ulteriore conferma in questo suo ultimo film.
Nel primo episodio la regina è disperata perchè non riesce ad avere figli. Su consiglio di un negromante, mangia il cuore di un drago marino cucinato da una vergine. Questa azione avrà però delle ripercussioni sulla sua vita.
Il secondo episodio è incentrato su due vecchie sorelle lavandaie. La soave voce di una delle due viene udita dal Re di Roccaforte che le chiede invano di mostrarsi ma che non conosce il suo reale aspetto. Anche in questo racconto, la magia genera conseguenze da cui non si può tornare indietro.
Infine, l'ultima fiaba racconta di un re che cattura una pulce e ne fa il suo animale domestico. Alla sua morte, è costretto a dare in sposa la propria figlia ad un orco che è stato in grado di riconoscere a quale animale appartenesse quella pelle.
Si diceva che il doppio è uno dei temi centrali del film. Le continue dicotomie tra l'ordinario e lo
straordinario, il magico e il quotidiano, l'artigianale e l'artefatto, il terribile e il soave, la luce e il buio attestano l'interesse di Garrone nei confronti della commistione tra reale e fantastico che ha sempre caratterizzato la sua ricerca artistica.
Il racconto dei racconti trova le sue radici nei sentimenti e nei desideri umani spinti all'estremo fino al famigerato punto di non ritorno. Si racconta del debole confine che separa la fiaba dalla realtà e di quanto sia ingenuo e pericoloso modificare il corso della vita perchè ad ogni azione corrisponde sempre una reazione.
Secondo Garrone: «Il racconto dei racconti rappresenta la naturale evoluzione della mia ricerca artistica. Ho sempre cercato di partire dalla realtà contemporanea e di trasfigurarla. In quest'ultimo progetto invece ho fatto esattamente l'inverso. Siamo partiti da una dimensione magica e l'abbiamo portata ad un contesto realistico».
Denso di riferimenti pittorici, si va da I capricci di Goya a suggestioni rembrandtiane e preraffaellite, ogni episodio del film è caratterizzato da tonalità cromatiche differenti che sembrano riflettere il carattere e i desideri dei suoi personaggi.
Come in Reality, anche in quest'ultimo film il regista ha posto la lente d'ingrandimento sui personaggi, osservati al microscopio con l'interesse di un entomologo. Non c'è spazio alcuno per la redenzione.
L'ultima sequenza, tanto affascinante quanto irrisolta, chiude il film con l'immagine iconica di un circense che cammina sospeso su una fune che va a fuoco. È questo il terribile gioco della vita. Le infrazioni non sono ammesse.
Ondeggiando tra realismo e finzione, con accensioni barocche e gotiche, Il racconto dei racconti è un blockbuster atipico che chiede allo spettatore un atto di fede. Dimenticate botti, esplosioni e mazzate e tenetevi pronti ad assaporare tutta la passione pittorica e cinematografica del regista.
Diversi sono i momenti in cui si sfiora l'horror, tutti quanti volti a sottolineare il fascino macabro del primitivo e il lato mostruoso dell'essere umano.
Ogni film del regista romano sembra essere un mondo a sé stante, dotato di vita propria. Reality
iniziava con un piano sequenza in cui la macchina da presa ci conduceva nel bel mezzo di una cerimonia matrimoniale dai richiami felliniani e terminava con una carrellata all'indietro da un punto di vista divino che mostrava il personaggio principale immerso nel vortice delle proprie fantasie.
iniziava con un piano sequenza in cui la macchina da presa ci conduceva nel bel mezzo di una cerimonia matrimoniale dai richiami felliniani e terminava con una carrellata all'indietro da un punto di vista divino che mostrava il personaggio principale immerso nel vortice delle proprie fantasie.
Il racconto dei racconti, allo stesso modo, conduce lo spettatore alle radici del mistero della vita, svariando tra Amore e Morte, senza mai abbandonare il tono funereo e pessimista che lo caratterizza principalmente.
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