A Gennaio parlavamo di Steven Spielberg e del suo The Post, in occasione della presentazione stampa tenutasi a Milano, con un occhio verso Ready Player One, che sarebbe uscito qualche mese dopo. Il tanto atteso momento è arrivato. L'ultimo film del più grande affabulatore per immagini dei giorni nostri approderà al cinema tra una settimana. A 70 anni suonati, età in cui, in genere, anche i più grandi perdono parte della loro lucidità artistica e tendono a ripetersi, Spielberg dimostra una piena maturità stilistica e narrativa ed una giovinezza nel suo sguardo da far invidia alla maggior parte dei suoi colleghi.
Ready Player One nasce dal romanzo omonimo scritto nel 2010 da Ernest Cline, diventato in breve tempo un must per ogni appassionato di cultura virtuale e di immaginario anni '80. A causa del larghissimo numero di riferimenti a quell'epoca, la trasposizione del libro è stata problematica. Il racconto ha inizio nel 2045. Il mondo reale è un luogo impervio ed ostile. Gli Stati Uniti hanno smesso di lottare per ciò che davvero conta ed appaiono come un Paese sull'orlo del baratro, in cui le persone vivono in grigie baraccopoli sviluppate in verticale. Ponteggi, camper e discariche di automobili segnano l'orizzonte visivo. A spopolare in un contesto del genere è OASIS, un intero universo virtuale all'interno del quale l'umanità evade e trascorre gran parte della giornata. Gli unici limiti di OASIS risiedono nella propria immaginazione. L'universo del sistema creato da James Halliday funziona come un videogioco in multiplayer, con una serie di ricompense virtuali spedite a chi vi trascorre più tempo. Inforcando il visore per la VR ed indossando una tutina che rende reali le sensazioni provate in OASIS, ogni giocatore trasferisce la propria identità in un avatar che compie il tradizionale viaggio dell'eroe (siamo dalle parti di Avatar). Alla sua morte, Halliday lascia la sua immensa fortuna e il controllo totale del sistema al vincitore di una competizione in tre round che aveva progettato per trovare un degno erede. Wade vince la prima sfida di questa caccia al tesoro e, insieme ai suoi amici virtuali, viene catapultato in un universo fatto di pericoli e scoperte per salvare OASIS ed il vecchio mondo reale. Ha inizio una meravigliosa corsa per un ragazzo ordinario immerso in un contesto straordinario.
Negli anni, i film di Steven Spielberg hanno costruito un'emozione di massa ed un'empatia planetaria con il pubblico che è riuscita ad andare oltre ogni possibile definizione. Il regista che, più di ogni altro, ha contribuito all'edificazione delle fondamenta della nostra immaginazione condivisa, a 71 anni ha probabilmente diretto uno testi filmici che meglio contribuiranno alla riflessione sul rapporto tra cinema, realtà virtuale ed immaginario collettivo. Intrattenimento partecipato, liquidità del reale, pratiche affettive e quotidiane che affidiamo ai dispositivi mediali, archeologia della visione sono solo alcuni dei concetti trattati da Ready Player One. Conditi da un numero incredibile di easter-egg e di citazioni, senza che epica e stupore (che sono sempre stati tratti distintivi del cinema spielberghiano) ne risentano minimamente.
Sembrerà ripetitivo ma gran parte dello stupore dettato dal film è generato dal rapido passaggio da un film classico giocato su campi e controcampi come The Post ad un prodotto ipercinetico e totalmente costruito in CGI come questo. Eppure, la chiave di volta (il famigerato easter-egg di cui Wade e i suoi amici vanno alla ricerca) giace proprio nelle pieghe che accomunano i due film citati. Perchè anima vintage, intrattenimento emotivo e sensoriale, gigantesca sintesi del senso di spettacolo del cinema di Steven Spielberg, realtà virtuale e CGI sono caratterizzati da un profondo umanesimo che segna ogni film del regista americano e la “politica” di James Halliday, industriale ma prima di tutto nerd appassionato di ogni sua creazione (ça va sans dire che la proiezione di Spielberg è presente sia in Halliday, creatore appassionato ed orchestratore di emozioni, sia in Wade, pubblico che crede nel potere della propria immaginazione). «È stato bello giocare al mio gioco?».
Che Ready Player One possa essere il testamento spirituale del ramo fantascientifico e bigger than life del cinema di Spielberg? Questo è difficile da dire. L'affresco dipinto è una vastissima tela da riempire a piacimento, una fuga dalla realtà in cui non dimenticare mai l'importanza dei rapporti reali ed il cuore umano ed ingenuo di ogni narrazione condivisa.
Film davvero esaltante e ben fatto, solo a Spielberg poteva venire affidato un progetto che a lui deve tantissimo.
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