Powered By Blogger

giovedì 12 maggio 2016

MONEY MONSTER

di Emanuele Paglialonga

Sostenendo con la forza della ragione
che una bomba possa essere intelligente
le potresti domandare, poco prima dell’esplosione,
la descrizione di un tramonto, o se ha fatto già l’amore oppure no
.

Così cantava Francesco di Giacomo, voce solista del Banco del Mutuo Soccorso in un brano, Bomba Intelligente, che non ha avuto in vita il tempo di completare, cosa che invece hanno provato a fare gli Elio e le Storie Tese, pubblicandola anche nel loro ultimo album, partendo proprio dal testo di di Giacomo e dall’arrangiamento musicale di Paolo Sentinelli. 
Ma che ha a che vedere un brano contenuto in Figgatta de Blanc con Money Monster, l’ultimo film di Jodie Foster presentato in anteprima al Festival di Cannes? La bomba, per l'appunto: quella contenuta in giubbotto che Kyle Budwell, un giovane e disperato interpretato da  Jack O'Connell fa indossare al conduttore televisivo ed esperto di finanza Lee Gates, George Clooney.
Seguendo i consigli di Gates, infatti, Budwell ha fatto un cattivo affare, investendo i suoi 60.000 dollari in una società che, da un giorno all’altro, si è ritrovata misteriosamente ad avere 800 milioni di buco, senza che nessuno, fra gli investitori o gli stessi addetti ai lavori, abbia capito niente. Così, presa la pistola e il giubbotto con l’esplosivo, Budwell irrompe nella trasmissione di Gates, Money Monster, minacciando di far saltare in aria il conduttore e tutto lo studio se non otterrà una risposta su quale fine abbiano fatto i suoi soldi e quelli di tutti gli investitori e perché. Tutto questo, in diretta televisiva. Gates dovrà gestire quindi questa delicata situazione, coadiuvato dai preziosi consigli che la regista della trasmissione, Julia Roberts, gli fornirà nel corso della vicenda.
Un primo punto, importante: Budwell non rivuole indietro i suoi soldi. Sa di non uscire con le proprie gambe dalla situazione in cui si è andato a infilare. Vuole solo venire a conoscenza della ragione di quel buco. Tutti giustificano infatti l’improvvisa perdita del capitale con un tecnicismo, glitch, riguardante il malfunzionamento di un algoritmo che la società in questione utilizzava, che a ben vedere nessuno era stato in grado di spiegare.

E si ritorna a di Giacomo: può una bomba essere intelligente? E un algoritmo? Entrambi, evidentemente, non godono di vita propria: tutto dipende dall’utilizzo che ne viene fatto da parte degli uomini. Dell’impronta umana, come si dice a un certo punto, a proposito delle tracce che si lasciano anche in un sistema all’apparenza così evanescente e poco fisico come quello della finanza e della rete in genere. E lo si spiega fin dall’inizio: oggi il denaro viaggia alla velocità della luce, attraverso sistemi e algoritmi. Solo che qualche volta, per la troppa velocità, è facile che si possa bucare una gomma.
Se La grande scommessa affrontava forse troppo tecnicamente il tema della crisi e delle speculazioni borsistiche, rendendosi di non facile o perlomeno non immediata comprensione, il film della Foster va dritto al cuore del problema senza perdersi troppo in chiacchiere: responsabili di sfaceli economici come quello del film sono quel pugno di ricchi e di potenti che tiene in scacco i destini del mondo, mentre il resto del pianeta rimane lì impalato a guardarsi scippare il futuro da sotto gli occhi.

L’intelligenza degli sceneggiatori (Alan DiFiore, Jim Kouf e Jamie Linden) è stata di prendere questo contesto, questo ambiente, il mondo del secondo decennio del ventunesimo secolo, e di costruirci sopra un thriller ad alta tensione, in grado di catturare l’attenzione dello spettatore, sia, evidentemente, per la presenza di due star come Clooney e la Roberts, sia per delle tematiche bene o male comuni a tutti i cittadini del mondo, perlomeno occidentale, sia, infine, per uno stile di scrittura filmica agile, dinamico, moderno ma mai superficiale.
Il film si presenta infatti come un Truman Show dal sapore hitchcockiano, fluido, perfetto, potente, che commette però un grave errore nell’atto finale che fa precipitare il pathos e la suspense fino a quel momento creati. Una rivelazione arrivata anzitempo, infatti, anticipa l'apice del climax narrativo, finendo per indebolirlo.

A questo punto, è necessario fare un paio di riflessioni:
La prima è di carattere cinematografico: ancora una volta, dopo il recente Ave Cesare!, Clooney diventa un simbolo: nel film dei Coen, il suo allocco Baird Whitlock incarnava un Sistema, quello di Hollywood, che non doveva e non poteva fermarsi per nessuna ragione al mondo: un treno in corsa che nessuno aveva il diritto di arrestare.
Veniva preso a schiaffi Clooney, quando il suo Whitlock provava a riferire quello che aveva sentito dire da un gruppo di intellettuali comunisti: Mannix prendeva a schiaffi una Hollywood che è così e che non può permettersi il lusso di fermarsi a pensare ed eventualmente di modificarsi: una grande fabbrica di sogni e di emozioni è inevitabile che perda per strada qualche diritto.
In Money Monster il discorso è diverso: qui Clooney incarna lo show becero e misero di un capitalismo che ripropone ogni giorno il suo dominio attraverso i media e la rete. -Quanto vale la mia vita?- si domanda ad un certo punto, rivolgendosi ai telespettatori di tutto il mondo che potrebbero salvargli la pelle se solo decidessero di acquistare dei titoli per far risalire le quotazioni della società col buco da 800 milioni. Belloccio, gigione, cicisbeo, il suo Lee Gates prima che Budwell irrompa in studio è un’incosciente faccia da prendere a schiaffi, con cui però lo spettatore si troverà inevitabilmente a empatizzare.
Caricare di questi significati, o di altri neanche così dissimili come nel caso di Ave, Cesare!, la figura di un belloccio come Clooney è un discorso che sarebbe molto interessante portare avanti nei prossimi film in cui sarà impegnato.

La seconda riflessione il film la porta avanti sul versante antropologico, e qui la si può fare anche breve, per quanto pungente sia la questione, che riguarda tutti noi: Budwell avrebbe fatto quello che ha fatto se non avesse perso sessantamila dollari? Le manovre oscure in borsa ci sono sempre state. Quando portano buoni risultati, gli investitori stanno zitti, quando vanno male allora si ribellano.
Insomma: prendi George Clooney e Julia Roberts, rimettili insieme dopo la saga di Ocean’s Eleven e Confessioni di una mente pericolosa e separali per tutto il film (hanno solo due scene insieme, all’inizio e alla fine: il loro unico contatto è via auricolare), e otterrai...Money Monster: un ottimo film (nonostante un grosso difetto), una riflessione necessaria sui tempi moderni. Una bomba intelligente.

Nessun commento:

Posta un commento