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giovedì 8 febbraio 2018

A CASA TUTTI BENE

di Matteo Marescalco

Pietro e Alba festeggiano i cinquant'anni di matrimonio nella villa familiare in cui hanno trascorso tanti bei momenti insieme. Per l'occasione, l'isola di Ischia (sospesa in un tempo altro) ospita i tre figli della coppia (Carlo, Paolo e Sara) con le rispettive famiglie. Un'improvvisa mareggiata, tuttavia, blocca l'arrivo dei traghetti e fa saltare il rientro previsto in serata, costringendo tutti a rimanere sull'isola e a fare i conti con loro stessi, con il loro passato, con gelosie mai sopite, inquietudini, tradimenti, paure ed inaspettati colpi di fulmine. E la tempesta mucciniana, anche con un fin troppo esplicito richiamo alla mareggiata che blocca i personaggi sull'isola, esplode con tutta la sua veemenza.

Dopo la parentesi americana iniziata al fianco di Will Smith e l'esplorazione dei territori adolescenziali con L'estate addosso, Gabriele Muccino torna in Italia con la detonazione dei suoi rapporti prediletti: quelli familiari. Tuttavia, a differenza che in Ricordati di me e L'ultimo bacio, in questo A casa tutti bene, la famiglia non è più un'ancora di salvezza da cui fuggire e verso cui approdare, nonostante tutto, uniti ad essa da un sentimento di amore e di appartenenza. In tal senso, uno dei personaggi più emblematici della vicenda è proprio quello interpretato da Stefano Accorsi, simbolo di quel nomadismo dei sentimenti che ha sempre caratterizzato il cinema di Muccino. Il suo punto di vista viene abbracciato all'inizio del film ed abbandonato successivamente a favore di un mosaico di sguardi che restituisce visioni diverse e, probabilmente, fin troppo schizofreniche.

Durante il pranzo in occasione dei festeggiamenti, tutto sembra andare per il verso giusto e i conflitti sospesi e tenuti a bada esplodono in tutta la loro forza a causa di un problema legato all'arrivo dei traghetti. Da quel momento in poi, Muccino confina i suoi personaggi sull'isola ed avvia un gioco al massacro che somiglia a Dieci piccoli indiani. Ovviamente, a morire saranno solo i sentimenti, sotto i colpi di urla e declamazioni di cui gli attori sono carichi a pallettoni. L'ipocrisia si nasconde dietro ai sorrisi e alle pacche sulle spalle e l'utopia irraggiungibile è quella di costruire una famiglia in cui la “normalità” sia la regola.

La macchina da presa sembra non fermarsi mai, provando a seguire le numerosissime traiettorie vitali dei personaggi e dei loro drammi, in preda ad una ipertrofia visiva e narrativa che, alla lunga, sfianca. È proprio in certi silenzi che A casa tutti bene trova la sua dolcezza, alle prese con un minimalismo che contraddice un po' gli assunti mucciniani ma che finisce per commuovere e colpire molto più dei momenti declamati. Se anziché spiegare ed urlare tutto, Muccino avesse gestito meglio i rapporti tra i personaggi e, soprattutto, i dialoghi e l'esposizione dei loro pensieri, ne sarebbe sicuramente scaturito un prodotto più bilanciato e controllato. Chissà, magari la consapevolezza finale del personaggio interpretato da Valeria Solarino potrebbe essere un indizio per uno nuovo tipo di sguardo che il regista romano potrebbe applicare a partire dal suo prossimo film. 

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