Probabilmente, non
esiste film più tribolato del Don Chisciotte di Terry Gilliam. Iniziato nel
1998, il ricco progetto (che poteva contare su ben 32 milioni di dollari di
budget), inizialmente, attirò l’attenzione di Johnny Depp e di Jean Rochefort.
Le riprese iniziarono nel 2000 ma sarebbero terminate entro il 2001: un
violentissimo nubifragio distrusse il set e l’attore principale fu colpito da
doppia ernia del disco e problemi di prostata. Le scene girate andarono a
convogliare in Lost in La Mancha, documentario sulla problematica realizzazione
di quello che sarebbe dovuto essere il film in realtà mai nato. A seguito dell’annullamento
della produzione, Gilliam perse i diritti della sceneggiatura, riacquistati
soltanto nel 2006. I successivi dieci anni hanno visto la pre-produzione del
progetto decollare più volte senza mai arrivare in aeroporto. Con periodici
cambiamenti nel cast e nella sceneggiatura, Robert Duvall e John Hurt si
succedettero nel ruolo di Chisciotte, Ewan McGregor ed Adam Driver in quello di
Toby Grisoni. Difficoltà a rintracciare i fondi per finanziare il progetto e a
conciliare gli impegni degli attori causarono nuovamente il tramonto
realizzativo del film. Fino al 2017, anno dell’inizio delle riprese, concluse
dodici settimane dopo l’avvio, con un budget di 17 milioni di dollari.
Ma non finisce certo
qui. La maledizione torna a colpire Gilliam con lo scoppio di una causa legale
tra il regista e l’ex produttore Paulo Branco a pochi giorni dall’inizio dell’ultima
edizione del Festival di Cannes, di cui L’uomo che uccise Don Chisciotte
avrebbe dovuto chiudere la competizione. Rimosso dal concorso ufficiale, il
film è stato comunque presentato alla kermesse francese, con la presenza di
Gilliam data per incerta fino all’ultimo momento a causa di una lieve forma di
ictus. Insomma, difficoltà a iosa hanno contrastato di continuo il regista americano,
rendendo un’impresa la realizzazione del suo ultimo film.
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Dopo tutte le traversie
di produzione, è impossibile non provare tenerezza verso questo film e non
volergli un minimo di bene. Tra deformazioni prospettiche, trovate oniriche che
fanno l’occhiolino a Fellini, battute su Trump ed invenzioni dense di follia, L’uomo
che uccise Don Chisciotte somiglia ad un gigante dai piedi d’argilla. Alcune
trovate fantastiche sono potenti ma estemporanee e non riescono a saldarsi tra
loro in modo compatto. Il film soffre di un’esagerazione anarcoide di
suggestioni fantastiche che lo stremano e lo rendono pesino goffo. Le idee si
riproducono alla velocità della luce, dando vita ad un labirinto in cui ci si
perde senza difficoltà. E la guida di Gilliam viene a mancare. Il regista non
sfugge alla tentazione di specchiarsi nel protagonista del suo film, Toby, che
vede la sua salute mentale vacillare di fronte ai mulini a vento scambiati per
giganti. E il film rimane vittima del proprio delirio e dei mille sentieri
imboccati, segno di un esagerato dosaggio che ha condotto il paziente alla
morte.
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