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venerdì 8 settembre 2017

SWEET COUNTRY

di Matteo Marescalco

*recensione pubblicata per Point Blank

Secondo decennio del 1900. Sam è un aborigeno che vive in armonia nella fattoria di Fred (Sam Neill), un uomo bianco timorato di Dio. In Australia, gli aborigeni sono il corrispettivo degli indiani negli Stati Uniti d'America. Vengono maltrattati e schiavizzati, privati dei propri diritti e trattati come stranieri in patria. Tali caratteristiche, tuttavia, non riguardano il rapporto tra Fred e Sam. Fino all'arrivo di Harry March, un ex soldato che viene accolto da Fred e che costringe alla fuga la famiglia di Sam.

Il regista Warwick Thornton, al debutto alla Mostra del Cinema di Venezia con questo Sweet Country, dimostra le proprie origini aborigene nella particolare sensibilità con cui si approccia alla trattazione estetica della vicenda narrata. L'omicidio di un uomo bianco da parte del nativo Sam diventa il pretesto per un road movie che scandaglia anima individuale e collettiva dei caratteri che vi appaiono. La fuga per la salvezza si trasforma in una evidente parabola dedicata alla nascita della nazione australiana, doppelganger del lungo percorso americano verso la costruzione di una società moderna non priva di zone d'ombra. Il pregiudizio e lo sfruttamento dei bianchi trova la propria oggettivazione in autorità prive di scrupoli che amministrano le città, controcampo alle misteriose distese desertiche dell'Australia del Nord, pretesto per applicare uno stile narrativo che rifiuta la tradizionale linearità ed innesta cortocircuiti basati sul contrasto civilization-wilderness. Il mondo degli aborigeni è fatto di premonizioni e ricordi, di spazi sconfinati e di una trattazione cromatica che riproduce la purezza delle sue usanze. In un contesto così distante, scoprire l'altro da sé è quasi impossibile. Soggiogarlo alle proprie istituzioni è un'impresa assai più fattibile per gli uomini bianchi. 

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