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martedì 19 settembre 2017

AMMORE E MALAVITA

di Matteo Marescalco

Dopo l'incoronazione istituzionale arrivata all'ottava edizione dell'allora Festival Internazionale del Film di Roma, diretto dall'aficionado del cinema di genere, Marco Muller, con il loro Song'e Napule, i fratelli Manetti debuttano anche alla Mostra del Cinema di Venezia, con il musical Ammore e malavita.

La scelta di Alberto Barbera si è dimostrata coraggiosa (Ammore e Malavita è stato inserito nel Concorso Ufficiale della selezione festivaliera) ed è da ricondurre alle stesse motivazioni che, lo scorso anno, portarono i selezionatori ad inserire in Concorso Piuma di Roan Johnson, commedia agrodolce sulle difficoltà della genitorialità per due ragazzi 18enni. La leggerezza di una commedia, nel caso di Piuma, e di un musical napoletano, nel caso di Ammore e Malavita, hanno avuto il merito di spezzare il ritmo festivaliero con due storie rapide ed efficaci e dal tono drammatico decisamente smorzato.
In modo particolare, Ammore e Malavita attinge ad un universo che, negli ultimi anni, a partire dall'exploit di Roberto Saviano con Gomorra, ha portato all'esportazione internazionale del film di Matteo Garrone tratto dal best-seller, dell'omonima serie tv diretta da Sollima, Comencini e Cupellini (giunta alla sua terza stagione, i cui primi episodi saranno eccezionalmente mostrati anche nelle sale cinematografiche) e di Suburra film e serie tv, primo prodotto italiano realizzato e distribuito da Netflix.

Don Vincenzo Strazzalone è un boss della camorra nonché imprenditore nel campo del pesce. Sfuggito ad un attentato, decide di cambiare vita e di abbandonare la vita da fuggiasco. Braccato da criminali e polizia, decide di mettersi da parte ed iniziare una nuova esistenza in compagnia della moglie, donna Maria, appassionata di cinema e braccio destro del marito. I due coniugi escogitano un piano, contando sulla protezione assicurata loro dalle Tigri, i due fedelissimi Ciro e Rosario, incaricati di eliminare una ragazza che sa ciò che, in realtà, non dovrebbe sapere. Caso vuole che tra la ragazza e Ciro esiste un passato d'amore che complica la vicenda fino alle estreme conseguenze.

L'inevitabile provincialismo della vicenda ben localizzata e raccontata in Ammore e Malavita viene superato dall'adesione ai modelli formali del musical americano e dalle continue strizzate d'occhio al cinema di genere, di cui i fratelli Manetti sono avidi consumatori. I riferimenti vanno da 007: Missione Goldfinger a Ritorno al Futuro, fino alle rom-com che la protagonista della narrazione consuma fino a conoscerne le battute a memoria. La tradizione popolare ed il sottogenere della sceneggiata napoletano fungono da immaginario da cui Ammore e Malavita pesca a piene mani, collocandosi nell'ambito di un cinema (quello dei Manetti) che sforna film di genere da ben prima dell'exploit nelle sale italiane di Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti. Attraverso momenti comici ben costruiti e la decostruzione di un universo gangsteristico esportato dai media italiani, i Manetti Bros. Pongono lo sguardo sulla realtà contemporanea, alternando momenti di riflessione a attimi in cui il divertissment prevale e sfocia in un pastiche dai toni cromatici e musicali esplosivi. Nelle sue esagerazioni, Ammore e Malavita non molla un attimo lo spettatore e si afferma come uno dei prodotti italiani dell'anno per il pubblico di massa. 

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