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mercoledì 24 dicembre 2014

TOP TEN 2010-2014

di Matteo Marescalco

Il 2015 è alle porte ed è prassi comune, per qualsiasi rivista che tratti di Cinema, stilare la classifica dei migliori film usciti nel corso dell'anno. Noi di Diario di un Cinefilo lo abbiamo fatto (potete trovarla qua) . Ma siamo anche andati oltre. Abbiamo deciso di selezionare quelli che riteniamo essere i migliori dieci film della prima metà degli anni '10 del 2000. E' stato uno sforzo tremendamente notevole invidiatoci anche dai Cahiers du Cinema e da Peter Travers di Rolling Stone.
A voi i nostri film del cuore degli ultimi cinque anni. I lungometraggi che resteranno più a lungo impressi nell'immaginario collettivo, quelli che, a nostro parere, avranno i maggiori stralci sul Cinema futuro e hanno cambiato il modo di concepirlo.
Sono stati tanti gli esclusi eccellenti. Per questo motivo, abbiamo deciso di selezionare cinque film da Menzione speciale.
Che il Dio del Cinema possa avere pietà di noi.
P.S. Cliccando sul titolo di alcuni film, potete raggiungere la recensione integrale.

1) THE TREE OF LIFE DI TERRENCE MALICK (USA, 2011)
L'oltre-Cinema. Citando Giona Nazzaro: «The Tree of Life è un'opera-mondo che si dispiega con la leggerezza di un poema sinfonico-filosofico. Malick giunge alla fine del mondo e contempla il divenire del mondo come un percorso di scoperta della comunione delle cose e del mondo in un movimento dolcissimo e vertiginoso che abbraccia lo sguardo e lo conduce alle radici e oltre del Cinema» . Si ritorna ad un racconto per immagini che rimanda al Cinema delle origini arricchito da un'attenzione polifonica ai vari elementi della Natura legati da una fitta rete di corrispondenze segrete. Il mistero alla base del movimento cinematografico equivale al fuoco che arde il divenire vitale. 

L'attenzione al microcosmo di due esseri umani, un reduce con il sistema nervoso a pezzi e un uomo che ha dato vita ad una setta religiosa e ha sperimentato un particolare metodo di introspezione, sfocia in un'analisi del macrocosmo e della condizione collettiva della Solitudine, presupposto ontologico del Cinema di Paul Thomas Anderson, caratterizzato da personaggi alienati e sempre profondamente soli, in preda alle oscure forze del destino di cui sono vittime. Un saggio psicoanalitico sulla condizione umana. Per certi versi, affine a The Tree of Life. Quando oltre la forma, c'è molto di più.  

3) BIRDMAN OR (THE UNEXPCTED VIRTUE OF IGNORANCE) DI ALEJANDRO GONZALEZ INARRITU (USA, 2014)
Tra Mulholland Drive e Nodo alla gola, Venere in pelliccia e Synecdoche New York, Inarritu dirige il suo film più visionario e debordante. Birdman è un'opera fiume incentrata su un attore che ha raggiunto il successo planetario nel ruolo di un supereroe alato. Tre piani sequenza bastano a delineare il ritratto di una Hollywood balorda e fagocitante. Il finale, con il controcampo negato, è il più fulgido esempio di massima libertà concessa allo spettatore. 

4) GONE GIRL DI DAVID FINCHER (USA, 2014)
Un saggio sulla regia da manuale del Cinema. Cupo, freddo ed asettico, il thriller con venature horror di Fincher focalizza la sua attenzione sull'altra faccia della medaglia dell'amore. Memorabile il ritratto del personaggio femminile mentalmente polimorfo e l'assassinio finale. L'attenzione agli oggetti, il mcguffin e la suspense rinviano al miglior Hitchcock, con l'ovvio accostamento a Vertigo, rispetto al quale, tuttavia, i ruoli maschile e femminile sono completamente invertiti. La costruzione
drammaturgica perfetta sarebbe da studiare nelle scuole di Cinema.  

5) IL CAVALLO DI TORINO DI BELA TARR (HUN, 2011)
Una creazione che si rivela fine del mondo, in cui l'ultima luce che ci separa dall'inizio del regno delle tenebre è rappresentata da una lanterna che, a suo tempo, diede i natali al Cinema. Un'apocalisse priva della minima possibilità di redenzione cala sulla vita che ha il sapore di un'ossessiva e monotona routine priva di accensioni cromatiche. Alla fine della ragione, non resta nulla, se non il lento, progressivo ma ormai stanco moto di un cavallo che tanto caro fu ai primi studiosi del dinamismo in ottica cinematografica. 

6) GRAVITY DI ALFONSO CUARON (USA, 2013)
L'angosciante e solitaria odissea di due personaggi isolati nello spazio, dalla durata complessiva di 92 minuti, con un piano sequenza iniziale di 17 minuti e 156 piani totali che stridono fortemente con i 1000/2000 richiesti, di solito, per un blockbuster del genere. Cuaron incasella l'ultimo tassello del mosaico della sua Trilogia del viaggio (Y tu mama tambien e I figli degli uomini). Lo spazio è un non-luogo mistico e straniante che fa da preludio ad una ri-soggetivizzazione della coscienza individuale. Dal deserto dei sentimenti fino al giardino della rinascita universale, l'umanesimo di Cuaron non perde un colpo. Pietra miliare della fantascienza del nuovo millennio.

7) TOY STORY 3 DI LEE UNKRICH (USA, 2010)
Verso l'infinito e oltre... Chi non è cresciuto con questa citazione, tratta da Toy Story-Il mondo dei giocattoli, ha indubbiamente avuto un'infanzia molto triste. Ironia a parte, la trilogia creata da John Lasseter ha segnato un'epoca. Cinematografica e non solo. Primo lungometraggio interamente realizzato in CGI, Toy Story è stato il primo grande successo della Pixar che, dal lontano 1995 non ha perso un colpo. Un film on the road che chiude un perfetto viaggio di formazione. A volte, i film d'animazione raggiungono vette ineguagliate dalla maggior parte dei film in live action.

Il vampiro di Jarmusch è l'ultimo faro protettore della bellezza e del furor emotivo nel mondo, nel contesto di un'umanità giunta alla fine, persa in una routine quotidiana omologante e standardizzata. In una corrispondenza dal sapore romantico tra vampirismo e arte, Adam ed Eve collezionano reliquie della Storia, oggetti che si caricano di valore sacrale e che attestano l'age d'or del mondo che fu. Persino pensare ad una catarsi è impossibile. Non rimane nient'altro che la forza dell'Amore.

9) BALADA TRISTE DE TROMPETA DI ALEX DE LA IGLESIA (ESP, 2011)
Ancora un'altra storia di commistione tra macrocosmo collettivo e microcosmo individuale. A fare da traghettatore, questa volta, è un clown triste, che lega tra loro le principali vicende spagnole del Novecento. Con il suo solito stile debordante e barocco, De la Iglesia si conferma un notevole prestigiatore dei più disparati generi cinematografici: dal melodramma alla commedia, dall'horror al gotico. E, alla fine, non resta nient'altro che l'iperbole di una maschera in lacrime indossata da un uomo che scopre la sua natura ferina. 


10) BLANCANIEVES DI PABLO BERGER (ESP, 2012)
Soventi sono gli esempi di Cinema contemporaneo che alimenta e fa rivivere il Cinema delle origini, quello muto dei Lumiere e di Melies, di Vertov e Griffith, Murnau e Chaplin. Alcuni registi utilizzano le stesse strategie espressive visive dei loro padri spirituali, concentrandosi sui movimenti e le performance attoriali. Altri realizzano progetti di messa in scena che insistono sul ritmo dinamico del montaggio. Altri ancora si concentrano sull'annichilimento della parola. Blancanieves è meno accattivante ma più inventivo di The Artist. Hazanavicius si limitava, infatti, ad una mera mimesi, Berger, invece, commistiona le differenti modalità espressive del cinema muto e di quello moderno.


Menzione speciale a: 

Drive di Nicolas Winding Refn (USA, 2011)
Shame di Steve McQueen (GBR, 2011) 
L'illusionista di Sylvain Chomet (FRA, 2010)

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