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domenica 18 agosto 2013

LA BOTTEGA DEI SUICIDI

di Matteo Marescalco


Negli ultimi trent'anni il cinema d'animazione si è rivelato una fucina di talenti creativi e di sperimentazioni estetiche e grafiche e ha consentito lo sviluppo di film rivolti ad un pubblico eterogeneo che hanno dimostrato notevole consapevolezza del proprio linguaggio artistico e maturità narrativa.
L'ultimo film del regista francese Patrice Leconte è un lungometraggio d'animazione che utilizza la tecnica dell'animazione tradizionale, in 2D.
E' ambientato in epoca contemporanea, in una società in cui le persone tristi e sole, sull'orlo della depressione, hanno perso la gioia di vivere a causa delle difficoltà e dei problemi da cui sono attanagliati, e in cui il suicidio sembra essere l'unica via di scampo dalla tristezza della vita. In questo contesto grigio e desaturato, l'unico negozio a prosperare (e a spiccare cromaticamente) è la bottega dei suicidi, gestita dalla famiglia Tuvache, che vende, da varie generazioni, tutto l'occorrente per facilitare il trapasso dei suicidi. La situazione si mantiene stabilmente triste fino alla nascita del terzogenito dei Tuvache che porterà una ventata di gioia ed allegria.
Numerosi sono gli omaggi e le citazioni, si va da Da Vinci a Von Sternberg, dalla pittura metafisica di De Chirico (le scene oniriche con i due protagonisti) al surrealismo di Dalì e Bunuel, fino ai tratti stereotipati, allungati e curati nei minimi dettagli del famoso animatore francese Sylvain Chomet. Nella costruzione estetica dei personaggi, senza ombra di dubbio, Leconte è stato influenzato anche dallo stile di Tim Burton, che sviluppa, però, tematicamente, in modo esattamente opposto. I freaks di Burton sono degli outsider che, a costo di difendere la propria soggettività, si allontanano e si isolano dal mondo (o vengono respinti), ritagliandosi un proprio spazio individuale; in Leconte, invece, essere freaks e tristi è standard, il diverso è il giovane contento e la risoluzione della vicenda porta ad un felice ed omologato appiattimento.
La prima parte è piacevolmente ben riuscita, caratterizzata da ottimi "movimenti" di macchina e da un interessante progetto estetico e cromatico. Gli ultimi venti minuti appaiono, però, fin troppo "veloci", semplicistici e scontati, basati su una scontata, e buonista esaltazione della gioia di vivere e dell'amore. Peccato per questa rapidissima ed immotivata virata. La depressione, la mancanza di speranza si risolve in nulla, non c'è un vero sbocco, nessuna evoluzione dei personaggi che sono macchiette poco approfondite sul piano psicologico.
Sembra quasi che nel finale del film, Patrice Leconte stesso si sia suicidato nella famigerata bottega.

Voto:★★1/2

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