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mercoledì 18 aprile 2018

OSTILI

di Matteo Marescalco


«Nella sua essenza, l'anima americana è dura, solitaria, stoica ed assassina. Finora non si è mai ammorbidita». Iniziare Ostili con un esergo del genere tratto da H.D. Lawrence è una sufficiente dichiarazione di intenti che attesta il proseguimento della filmografia di Scott Cooper sui binari della sua personale rimediazione dei generi classici del cinema americano. Sembra che il regista stia costruendo sempre più la sua carriera nell'ottica di un confronto scolastico con la tradizione, costantemente risolto, finora, senza correre il rischio di caduta dando seguito a particolari intuizioni personali, con l'ottenimento di un risultato complessivo che fa somigliare ogni suo nuovo film ad un corpo esangue e privo di mordente.

Animato da un evidente affetto nei confronti del materiale di partenza, Cooper maneggia la mitologia di generi così rodati -fondamentalmente western, noir e gangster movie- forte del valore artigianale che permea il suo lavoro. Siamo nel New Mexico del 1892. Alll'esergo di partenza che dichiara l'archetipo dell'anima dura americana succede l'inquadratura di una casa isolata negli sconfinati spazi che si perdono a vista d'occhio. La civilization è attaccata e sterminata dalla wilderness della frontiera: un gruppo di indiani Comanchi brucia la casa ed uccide brutalmente la famiglia che vi abitava. Le scene successive allo stacco di montaggio mostrano il volto granitico di Joe Blocker. Il comandante dell'esercito ha un passato di sangue, ha affrontato diverse volte i nativi e vorrebbe ritirarsi dal suo lavoro, nonostante un'ultima missione da portare a termine. Deve, infatti, scortare fino al Montana il famoso capo Cheyenne Falco Giallo insieme ai suoi figli e ai nipoti. Alla spedizione lungo il cuore dell'America prenderà parte anche Rosalie, l'unica superstite della famiglia trucidata nell'incipit del film.
 

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