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venerdì 23 giugno 2017

CIVILTA' PERDUTA

di Macha Martini

Il cinema: continua ricerca di un sogno in una giungla sperduta.

Fotografia scura, tendente al giallo ocra. Inquadrature da specchi, di persone che si allontanano. Pellicola 35 mm. Uno stile inconfondibile: James Gray. Eppure, la Civiltà perduta non sembra affatto essere un film del regista dalle origini russe. New York è totalmente dimenticata, siamo a Londra all’epoca delle grandi esplorazioni coloniali. I personaggi dostoevskijani immersi tra luce e ombra, tra peccato, sofferenza e speranza? Niente da fare, neanche la minima ombra. Conflitto padre-figlio? Appena accennato. 

James Gray ha cambiato rotta, eppure ne è uscito comunque vincitore. 
Chiudete gli occhi. Cos’è un cineasta? Un sognatore, uno alla continua ricerca di una Eldorado, di un sogno a cui nessuno crede. Il regista newyorkese decide di lasciare i personaggi concettuali dei suoi precedenti film per affrontare un nuovo tema, il cinema stesso. Il cinema mascherato sotto la lotta di un esploratore, realmente esistito, nel trovare Z, la civiltà perduta. 
Fawcett, il protagonista di questa vicenda, già raccontata nel romanzo di Grann, dall’omonimo titolo del film, è l’alter-ego di Gray. «Io sono fatto così, se le persone mi dicono: -Non sarai mai in grado di fare un film come questo-, io mi sento in dovere di dimostrare che si sbagliano» dice il regista nel parlare della grande sfida produttiva che si mostrava essere il film (dovendo girare scene a Londra, ambientata però nella Prima Guerra Mondiale, e in mezzo alla giungla). Esattamente lo stesso sentimento che pervade Fawcett, che non può arrendersi, deve trovare Z, a tutti i costi. 
Un esploratore che ha la stessa stoffa di cui sono fatti i sognatori, ovvero, di cui sono fatti i cineasti. 

Non è un caso, infatti, che sempre la sua figura precedentemente abbia ispirato Conan Doyle nella stesura de Il mondo perduto, che a sua volta ha ispirato Jurassic Park e che, inoltre, sia stato lo spunto per la creazione del personaggio immaginario di Indiana Jones. Il personaggio, quindi, non solo può rappresentare l’emblema della sfida che un regista e un produttore devono affrontare per produrre un film (difficoltà pari all’addentrarsi in una giungla misteriosa abitata da natii, il pubblico, che possono apprezzarti o decidere di distruggerti), ma è anche lo stereotipo di tutte le storie di avventura e azione che hanno sempre fatto brillare gli occhi alle case produttrici.

Gray, però, elimina l’azione e l’avventura, optando per un escamotage tipico dei suoi film: fa entrare il pubblico dentro il personaggio, dentro il suo animo. Noi non vediamo più un film ma stiamo nella giungla e vogliamo trovare Z a tutti i costi, nonostante le peripezie. Siamo un esploratore, siamo un regista, giriamo scene e scene nella giungla e vicino a un fiume. 
«Quando comincio a sentire delle persone nel buio che urlano che il fiume stava per uscire», non sembra un grande problema «tanto saremo fuori di qui in poche ore. Sei minuti dopo il fiume ha improvvisamente inondato l’intero set in circa 45 secondi. Tutti ci siamo messi a correre verso le colline, afferrando le cineprese e le pellicole. Dopo due minuti, l’area in cui stavamo girando era completamente sotto l’acqua» (James Gray in un’intervista per l’ufficio stampa della Eagle Pictures). 

Questo significa essere registi ed esploratori. Questo è il sogno che il pubblico, grazie alla maestria di Gray, vuole vedere realizzato. Non è un film di Gray. Questo è un film sul cinema, una continua ricerca di un sogno in una giungla sperduta, che però solo un abile maestro come Gray, e un abile sognatore, avrebbe potuto portare a termine sino alla fine.

2 commenti:

  1. Sarei dovuta andarlo a vedere questo week end ma poi ho optato per Lady Macbeth, che ti consiglio.
    Comunque dalle mie parti c'è un premio per te ^^

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