Negli ultimi anni, il
grande cinema americano ha visto la più totale proliferazione di remake, reboot
e spin-off, alla ricerca di modalità attraverso cui sfruttare quanto più
possibile un marchio che è stato in grado, in passato, di fidelizzare un’ampia
fetta di pubblico, e, al contempo, provando a scostarsi dal modello originario
proponendone una rilettura o una destrutturazione del genere. Niente che faccia
urlare al demonio per gli elevati standard di un’industria culturale che ha
fatto delle copie differenziali il proprio modello creativo.
Tuttavia, schiere
di puristi della creazione ex-novo si lamentano indignati per l’assenza di
creatività che rischia di livella l’arte cinematografica. Tra i reboot più
discussi degli ultimi anni si situa, senza dubbio, Ghostbusters di Paul Feig,
inondato di critiche aprioristiche da milioni di sostenitori dell’originale del
1984 diretto da Ivan Reitman che, nel corso degli anni più rimpianti e
nostalgicamente amati dalla cultura contemporanea, sanciva la definitiva
legittimazione della comicità televisiva, trasformandola in avanguardia comica
da grande schermo. I protagonisti del Saturday Night Live si apprestavano a
sfornare un film che avrebbe segnato i decenni del cinema a venire, imponendosi
come fenomeno di massa e dando vita a colossali sfruttamenti nell’ambito del
merchandising. Rifarsi ad un evento culturale di tale portata che, nel corso
degli anni, è riuscito anche ad affermarsi presso le nuove generazioni, non può
essere visto di buon occhio dalla massa di persone che ha amato l’originale e
che vede in questo prodotto di Paul Feig un tentativo di lucro su un simbolo
imperituro.
Il primo capitolo di un
ipotetico nuovo franchise (di seguito il resoconto della conferenza stampa romana) è costruito sulla base di un terzo episodio mai
portato a termine ed è segnato dal tocco del regista inglese che, da Le amiche
della sposa a Spy, ha riletto diversi generi attraverso la chiave della parodia.
E questo Ghostbusters, fondamentalmente, è una parodia meta-narrativa che
riflette sul dispiegarsi della sua storia, omaggiando il vecchio capitolo, e
ponendo l’attenzione sui personaggi alienati che danno vita alle vicende. Il
punto di forza risiede nei corpi da slapstick di Melissa McCarthy e di Kristen
Wiig e nel rapido scambio di battute da commedia sofisticata. I primi due atti
dell’impianto narrativo si scostano dall’episodio del 1984, risultando
originali e dotati di vita propria. Peccato per un terzo atto che segue da
vicino lo sviluppo del film con Bill Murray e Dan Aykroyd, rischiando di
perdere l’originalità che contraddistingue tutta la prima parte. L’ultima mezz’ora
si muove in modo eccessivo lungo il solco tracciato da Ivan Reitman.
Considerando il film come
un mero omaggio videoludico ad un fenomeno culturale di portata mondiale da
tenere in secondo piano, ne viene fuori una rispettabile commedia
fantascientifica che intrattiene e che diverte, più semplice da accettare
tenendo a bada i fantasmi scatenati a partire dal 1984.
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