Powered By Blogger

martedì 16 ottobre 2018

IL PRIMO UOMO

di Matteo Marescalco


Due anni dopo aver aperto la Mostra del Cinema di Venezia con La La Land, Damien Chazelle torna nuovamente in Laguna (ancora in apertura) con l'atteso First Man, racconto sull'epopea che ha condotto Neil Armstrong sulla Luna il 20 Luglio 1969. 

Ma, badate bene, la Storia entra solo di sguincio nel film del giovane regista americano e, quando lo fa, indebolisce clamorosamente la forza della narrazione. Perché First Man è, innanzitutto, uno straordinario film sull'elaborazione del lutto. Lo spettro della morte aleggia lungo tutta la durata del lungometraggio e, quasi, perseguita il personaggio di Armstrong. Insomma, siamo lontani dal biopic o dalla classica ricostruzione storica. Quello che interessa a Chazelle è concentrarsi sui rapporti tra i personaggi, chiusi all'interno della loro dimensione soggettiva. 

«Sai che c'è? Il calcio è un gioco e tu sei un uomo triste». A guardare First Man viene in mente L'uomo in più, la prima regia di Paolo Sorrentino. Co-protagonista del film di Chazelle è la moglie di Armstrong, Janet, una donna decisa e forte ma che sembra non riuscire a scalfire la corazza che protegge Neil. In una scena, Janet rimprovera i superiori di Neil accusandoli di essere soltanto dei bambini che si divertono a costruire giochi che non sono in grado di controllare. Dalle prime sequenze (il primo volo nello spazio e la morte della piccola primogenita), la tristezza, i silenzi ed il vuoto accompagnano sempre il personaggio di Armstrong. L'attenzione per i piccoli spazi, oppressivi e claustrofobici, si accompagna a quella per le distese infinite che circondano la Terra. Forse è soltanto lo spazio che si allarga a vista d'occhio a restituire al protagonista un senso di serenità («Far above the Moon, Planet Earth is blue and there's nothing I can do»). La lunga odissea interiore, perseguitata dal fantasma della morte, allontana la cronaca e l'aspetto mediatico della vicenda. 

L'Armstrong di Chazelle è al centro di un vortice di silenzio («Non ti sentirai solo lassù?») che lo protegge dall'esterno. L'uomo ha eretto pareti difficili da scavalcare, ambisce a conquistare un ignoto che pensa di aver perduto. Ecco che questo fantasmagorico viaggio lunare si tramuta quasi in sogno, in proiezione esteriore delle proprie paure e dei propri tormenti. Tuttavia, senza che Neil sia mai in grado di affrontarli. Un po' come nel finale, in cui il protagonista è ancora condannato a sfiorare semplicemente senza mai riuscire davvero a toccare.

Nessun commento:

Posta un commento