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martedì 27 marzo 2018

INTERVISTA CON UN GIOVANE SCRITTORE: JACOPO ZONCA, AUTORE DEL ROMANZO 52 49

di Matteo Marescalco

Incontro Jacopo Zonca sotto il tiepido sole di una Roma che abbraccia con fare deciso l'entrante stagione primaverile. Il cortile interno del Centro Sperimentale di Cinematografia attenua il calore della giornata ed ospita il nostro dialogo su 52 49 (edito da Epika Edizioni di Lorella Fontanelli ed acquistabile in formato tradizionale o in Kindle presso tutti gli store digitali), romanzo di debutto del giovane autore originario della provincia di Parma. Zonca è visibilmente emozionato per questa sua prima intervista, anche se ha già presentato il romanzo nella Saletta Adorno di Parma, ed è prossimo all'anteprima romana presso la Libreria Sinestetica di Conca d'Oro.

Il racconto è incentrato sulla figura di Filippo, ragazzo benestante ed eterno disoccupato che trascorre le giornate organizzando il da fare per il prossimo weekend. Filippo sembra aver ricevuto tutto dalla vita: soldi in abbondanza, una bella casa e un'automobile tutta per sé. Quando meno se lo aspetta, però, la monotona routine gli riserva un evento traumatico. Il ragazzo decide, allora, di cambiare rotta e di imboccare, con molta fatica, un percorso che lo porterà a seguire nuovi stimoli e ad abbandonare la vecchia vita. Ma, per citare Magnolia di Paul Thomas Anderson: «We may be through with the past, but the past is never through with us».

La citazione non è casuale perché Jacopo Zonca, oltre ad essere un grande estimatore del lavoro del regista californiano, si è trasferito a Roma per studiare Recitazione, Regia e Sceneggiatura all'Accademia di Cinema e Televisione Griffith e presso la Fonderia delle Arti Scuola di Cinema di Roma. Le sue partecipazioni a teatro, nel ruolo di attore e drammaturgo, vanno da Personalità Borderline di Fabrizio Catarci presso il Teatro lo Spazio di Roma a Tu sei la mia patria: Racconti della grande guerra di Francesco Sala; e, ancora, dal ruolo di protagonista principale nel monologo Dio c'è, diretto e scritto da Pietro De Silva, fino ad una serie di cortometraggi realizzati da diversi committenti (la Web Series Shots e lo Shakespeare Fest del Globe Theatre diretto da Gigi Proietti).

«Jacopo, ti vedo emozionato. Eppure hai recitato in teatro e davanti alla macchina da presa, hai scritto monologhi drammatici che hanno ricevuto pareri positivi e sei quindi abituato a sopportare su di te sguardi altrui. Con 52 49, debutti, e devo dire molto bene, nel mondo del romanzo. Cosa cambia nello sviluppo di una narrazione tra un monologo, un corto destinato al web, una sceneggiatura ed un romanzo?».
«La sceneggiatura è il regno delle azioni dei personaggi e dei dialoghi; un racconto su carta non finalizzato ad essere trasposto può, invece, esplorare molto meglio le psicologie dei personaggi, rischiando dei momenti di lentezza che una sceneggiatura difficilmente può permettersi. Quindi, cambia la modalità di scrittura. La sceneggiatura è molto più schematica e fredda, anche se io sono un po' della scuola opposta. Amo le sceneggiature più romanzate e che coinvolgano anche gli attori. Per la stesura di un racconto, sei molto più libero nella descrizione dei pensieri e degli stati d'animo dei personaggi. Ho scelto di scrivere in forma letteraria perché ho studiato sceneggiatura e credo che scriverne una sia molto difficile. In effetti, volevo scrivere un racconto che fosse una sorta di ibrido tra lo stile di una sceneggiatura ed un romanzo. Almeno questa era l'ambizione. La sceneggiatura è un oggetto di lavoro finalizzato alla sua trasformazione in racconto audiovisivo e, tutto sommato, credo che 52 49 possa anche essere adattabile per lo schermo».

«Quindi, mentre un racconto vive di per sé, la sceneggiatura è soltanto uno strumento di transito».
«Esatto, la sceneggiatura è il film su carta. È già difficile trovare persone che investano su di te. Figuriamoci per la realizzazione di un corto che si basa su una macchina produttiva molto più ampia».

«In 52 49 mi hai dato la sensazione di aver lavorato su storie che sono già state lette e che, magari, riguardano anche le tue passioni ed investono le tue emozioni. In che modo hai maneggiato gli archetipi e ti sei approcciato al già visto/già letto?».
«Oltre ad aver studiato Recitazione, ho anche seguito dei corsi di Regia e Sceneggiatura in cui ci venivano chiesti i nostri autori di riferimento. Questo non per scimmiottare il loro stile. Piuttosto per assimilarlo e proporne una rilettura. Ho semplicemente raccontato una storia già ampiamente letta e vista. Ma l'ho fatto a modo mio. Per quanto riguarda la scrittura vera e propria, ho scelto uno stile classico, basata sull'arco di trasformazione del personaggio principale. Possiamo anche parlare di tradizionale viaggio dell'eroe e di struttura in tre atti. Lo schema di evoluzione del personaggio verso una determinata direzione è necessario. Stravolgere una struttura classica che funziona ed è perfetta è inutile».

«Insomma, sei un sostenitore della struttura classica».
«Assolutamente. Solo conoscendo bene gli schemi classici puoi maneggiare meglio il tuo materiale».

«Quanto è stato complesso il percorso produttivo di 52 49? Hai mai pensato al rifugio nell'autopubblicazione?».
«Ho iniziato a scrivere a Novembre 2016 e ho completato la primissima stesura nel giro di una ventina di giorni. Mi sono imposto di scrivere convinto di dover buttare giù determinati sentimenti, senza ancora pensare ad una pubblicazione. È inutile girarci attorno: se scegli di scrivere, l'obiettivo è  quello di farti leggere. Chi sceglie una carriera del genere è fondamentalmente un narcisista. Chi dice il contrario è uno che racconta delle balle. Diciamo che questo narcisismo deve essere bilanciato da una notevole dose di onestà nei confronti del proprio pubblico. È giusto scrivere ciò che si vuole ma pensando sempre ad un pubblico di riferimento. Scrivere ha agito come una valvola di sfogo per provare a superare un periodo che per me è stato emotivamente difficile. La stesura delle varie situazioni mi ha poi spinto a riorganizzare il tutto curando maggiormente la confezione. Per quanto riguarda il versante produttivo vero e proprio, la mia prima bozza era molto più corta della versione definitiva di 52 49. Finito il racconto, ho iniziato a mandarlo in giro, pensando a pubblicazioni per case editrici online. I tempi, probabilmente, non erano ancora maturi. L'estate successiva, ho continuato a guardarmi attorno, rivolgendomi soprattutto alle case editrici del Nord. Sono entrato in contatto con la casa editrice Epika di Lorella Fontanelli. Ho contattato l'editrice e si è creato un bel rapporto. Ascoltando i suoi consigli ed adattandomi alle sue richieste, com'è giusto che sia, sono riuscito ad ottenere la sua fiducia. Dopo un anno circa, 52 49 ha visto la luce».

«A questo proposito, la storia dell'editoria è costellata di rapporti difficili tra editore e scrittore, con il primo ad ingabbiare il secondo che, a sua volta, lo accusa di dispotismo. Qual è stato il fine del lavoro editoriale sul tuo romanzo? Apportare modifiche in vista di un ben determinato target o correggere, piuttosto, il tiro della storia?».
«Io tengo in gran considerazione la mediazione editoriale. Se ti fidi di una persona, capisci che certi consigli sono molto utili. Ascoltare e mantenere sempre la propria identità sono due aspetti fondamentali. Creare un rapporto di contatto umano e fare in modo che l'editore capisca il tuo carattere consente di accelerare anche con il lavoro. Per quanto riguarda il pubblico di riferimento, credo di rivolgermi soprattutto ai giovani perché ovviamente il loro target è il più vicino al mio. Finora mi ha fatto piacere ricevere consensi insospettati da parte di persone che credevo avrebbero fatto a pezzi il mio libro. Probabilmente, evitare di distinguere in modo netto tra buoni e cattivi ha aiutato a sfumare i personaggi e a catturare l'attenzione anche di persone un po' più in là con l'età».

«Uno degli aspetti del libro che mi ha maggiormente colpito risiede nel modo in cui sei riuscito a calarti nelle personalità dei singoli personaggi. In effetti, come hai tradotto in scrittura la psiche dei diversi personaggi? Assumi il punto di vista di Filippo (il protagonista), dei genitori e di altri amici, caratterizzando ognuno con tratti peculiari. Parlami un po' di questo aspetto».
«Per quanto mi riguarda, ogni scrittore deve essere anche uno spettatore. Ciò che scrivi ti deve piacere. Io ho applicato uno stile che amo in altri autori. Durante la lettura e la scrittura, è come se avessimo una macchina da presa in testa a cui cambiare le varie ottiche. È come se le ottiche corrispondessero alle scelte stilistiche. Usando uno stile frenetico, ho provato a trasportare il lettore all'interno della vicenda per coinvolgerlo al massimo. L'autore che mi ha maggiormente influenzato è Irvine Welsh. Lui fa parlare i suoi personaggi in un dialetto scozzese rielaborato. Ho provato, più o meno, ad applicare il suo stesso metodo: utilizzare un linguaggio che sembrasse del Nord ma che comunque fosse comprensibile un po' per tutti. Aver studiato dizione mi ha aiutato a concentrarmi meglio sul linguaggio e sui difetti di pronuncia di ognuno di noi. Ho anche guardato molto ad Anthony Burgess e al suo Arancia Meccanica in cui i personaggi parlano il cosiddetto Nadsat, uno slang a metà tra l'inglese ed il russo. Mi piaceva il fatto che i miei personaggi usassero dei termini inglese in modo abbastanza naturale e che questo fosse il loro marchio di fabbrica».

«Hai già nominato Irvine Welsh ed Anthony Burgess. Io aggiungo Stanley Kubrick (regista di Arancia Meccanica). Passo nuovamente la palla a te».
«Sicuramente Bret Easton Ellis e Stephen King. L'amore per la lettura e per un certo tipo di racconto di ampio respiro deriva dal secondo. Amo particolarmente David Foster Wallace che, però, è davvero inimitabile ed irraggiungibile».

«Tornando al romanzo, non ho trovato tante descrizioni di ambienti esterni. Tu porti in scena la psiche dei tuoi personaggi ed approfondisci questo universo. Leggendo il tuo libro, mi sono sentito quasi isolato, ho avuto la sensazione di essere in un acquario. Sembra non esistere un mondo esterno, almeno fino all'irruzione di Erika, che rompe una routine quotidiana circolare. 52 49 non mi è sembrato un libro sulla tossicodipendenza quanto un racconto sul raggiungimento di un attimo di bellezza e di felicità. In questo aspetto, mi hai ricordato tanto Ti prendo e ti porto via di Niccolò Ammaniti: l'esplosione di attimi di bellezza fortissimi ed inaspettati funziona davvero. Non so quanto tu sia d'accordo con me».   
«La penso come te. La mia non è una storia sulla droga né io ho avuto l'ambizione di parlare di un universo tanto sfaccettato ed ampio come il suo. La vicenda della tossicodipendenza mi è stata d'aiuto nella detonazione del racconto. Definirei 52 49 una storia di crescita. Sulla tua bella definizione di acquario sono d'accordo. Tutti i personaggi vorrebbero uscire dalla loro bolla senza riuscirci. Ne consegue un'ulteriore chiusura su sé stessi».

«Negli ultimi anni, la tua vita è stata segnata da continui viaggi tra Parma e Roma. In una nostra precedente chiacchierata, hai detto di sentire spesso la nostalgia di casa. Ho notato che, in 52 49, Filippo ricorre agli stupefacenti soprattutto quando è a casa. I problemi lo opprimono e mi sembra che la casa e l'idea di famiglia non facciano proprio una bella figura. È vero che i luoghi chiusi non se la passano bene nel tuo racconto?».
«Io vengo da un paesino in provincia di Parma e ogni luogo del genere ha delle contraddizioni di fondo. In casa sua, Filippo vive una vita apparentemente perfetta: televisorone e dvd a valanga. Ma in questa casa è sempre solo. Quindi, la casa è un rifugio ma è anche una prigione. È un po' la stessa idea che ha del carcere Red Redding de Le ali della libertà: un luogo di prigionia ma anche una sorta di casa da cui ha paura di andar via».

«Con il solo protagonista e senza personaggi di contorno, nessun racconto potrebbe realmente esistere. Si tratta di una parte dell'esergo della mia laurea triennale. Ho inserito questa frase perché ho l'idea che, specialmente per un fuori sede, sia necessario stabilire una serie di relazioni che possano aiutare nei momenti di difficoltà. Credo che ognuno di noi, da solo, valga ben poco se non è circondato da altre persone che lo affiancano. Nel caso di Filippo, le delusioni derivanti dalla compagnia sbagliata di amici hanno un loro peso specifico nella sua tossicodipendenza. Quali sono le tue idee a tal proposito?».
«Anche se dalla storia potrebbe sembrare il contrario, io ripongo totale fiducia nei giusti rapporti di amicizia. La solitudine di Filippo è una solitudine che io ho provato anche se ci tengo a sottolineare che il personaggio non è autobiografico. Si tratta di una condizione che non riguarda tanto le persone che hai incontrato o le situazioni che hai vissuto ma più che altro uno stato mentale. Ho conosciuto persone pressoché sole che però erano comunque felicissime. Altre persone, invece, sotto un'apparenza felice e caratterizzata da un gran numero di amici, erano profondamente tristi. La solitudine andrebbe rapportata al nostro mondo interiore. Filippo avverte un profondo vuoto che non riesce a colmare. L'acquario di cui parlavi prima è una sorta di vetro che lui ha davanti gli occhi e che, in qualche modo, lo protegge. Allo stesso tempo, però, lo distrugge completamente».

«Mi fermo di nuovo sulla famiglia, che mi sembra tornare con una elevata dose di problemi e promiscuità anche in Pictures, un tuo monologo di qualche tempo fa».
«Esatto. Pictures è un monologo che ho scritto e diretto per uno spettacolo a tappe composto da monologhi e presentato a Roma. Ho poi depositato il brano e l'ho inviato a svariati concorsi, nello stesso periodo in cui inviavo 52 49 alle case editrici. Poi ho presentato il brano al concorso Monologando di Padova e sono arrivato terzo su centottantaquattro partecipanti. Per me è davvero un motivo di grande soddisfazione».

«Quindi possiamo affermare che Pictures nasca dallo stesso background di 52 49? Ripenso ad una frase di Stephen King che sostiene che l'amore abbia i denti. I denti poi mordono e i morsi non guariscono mai. Sia in Pictures sia in 52 49 si parla di amore. Da un lato si tratta di amore genitoriale; dall'altro non solo di quello».
«Sì. L'intuizione è corretta. Filippo è un personaggio cinico ma possiede comunque la capacità di innamorarsi. Credo che l'amore sia fondamentale per la crescita personale a prescindere da come un rapporto vada a finire. Le emozioni provate saranno sempre custodite. L'amore produce sempre una trasformazione, in positivo o in negativo, e può anche produrre la sofferenza che più si avvicina al lutto. Pictures e 52 49 sono entrambi animate da amori al limite».

«Ci apprestiamo alla conclusione del nostro dialogo con un approdo sulle spiagge cinematografiche».
«Il cinema è molto presente in 52 49. Non tanto sotto forma di omaggio ai miei miti quanto come possibilità di fornire a Filippo un modo per staccare la spina. Nella prima parte del romanzo, Filippo è più legato ad un cinema popolare. L'innamoramento totale avverrà grazie a Paul Thomas Anderson, un regista che ama ogni suo singolo personaggio, anche il più cattivo. Quando ho visto Magnolia per la prima volta, sono rimasto scioccato dalla maturità del film e dall'ampiezza dell'esperienza vissuta».

«Cosa ami maggiormente nei personaggi di Anderson? In cosa consiste quella luce che Filippo percepisce nei suoi film?».
«Tutti i personaggi di Anderson si sentono in qualche modo distaccati dalla realtà e molto colpevoli. Hanno tutti un rapporto difficile con la famiglia, anche in un film apparentemente più leggero come Ubriaco d'amore, il rapporto tra Adam Sandler e le sue sorelle è terribile. La loro è una condizione di alienazione ma tutti, più o meno, hanno il vivissimo desiderio di esserci, di amare e di soffrire. Di condurre una vita che, nonostante tutto, si ponga un sogno e un obiettivo. I suoi personaggi sono dannatamente umani, con tutti i loro pregi e i loro difetti».

«Per concludere, perché hai scelto di dare questo titolo al tuo romanzo?».
«Per me 52 49 indica una mediazione tra la realtà romana e quella del mio paesino, Vigatto. 52 49 è una particolare dimensione in cui coltivare una certa tranquillità e pace interiore. È una sorta di tramite per il raggiungimento di un equilibrio mentale. Ovviamente, leggere il romanzo aiuta a capire meglio il significato alla base della scelta di questi due numeri».

«Jacopo, il romanzo è una bomba e io ti auguro un grosso in bocca al lupo per tutto!».
«Grazie mille. E crepi il lupo!».

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