*recensione pubblicata per Point Blank: https://www.pointblank.it/recensione-film/bryan-singer/bohemian-rhapsody
Annunciato nel 2010 e girato a partire dal 2017 (in mezzo è da registrare anche l'abbandono del progetto per divergenze creative da parte di Sacha Baron Cohen), Bohemian Rhapsody, iniziato da Bryan Singer e terminato da Dexter Fletcher, si è affermato come uno dei film dal processo produttivo più travagliato degli ultimi tempi. E, in effetti, è possibile affermare che questi continui saliscendi e le spinte centrifughe a cui è stata sottoposta l'operazione siano quanto mai in linea con l'esistenza del personaggio che il film omaggia.
In un certo senso, tutto inizia e tutto termina con la leggendaria performance di 20 minuti in occasione del Live Aid del 1985. Quattro canzoni bastarono per mandare in visibilio il pubblico dei presenti e dei telespettatori di tutto il mondo e per abbracciare l'immortalità del mito. Il Freddie Mercury portato in scena nel biopic di Singer era già Freddie Mercury anche quando non si faceva ancora chiamare in tal modo. Nel percorso di vita di Farrokh Bulsara, è inscritto il più tradizionale percorso che caratterizza lo schema di un biopic: infanzia modesta, trauma, l'ascensione con una serie di conseguenze da pagare, la caduta, la rinascita con redenzione e, infine, la morte improvvisa. A questo schema si aggiungano una fisionomia quanto meno singolare, la divina estensione vocale di quattro ottave e la galoppante energia, unita al gusto per l'eccesso e lo spropositato, -aspetti che hanno trasformato Mercury in uno dei più grandi performer di tutti i tempi- per dare adito ad una serie di ottimistiche speranze nei confronti della buona riuscita del film.
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