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venerdì 21 settembre 2018

L'UOMO CHE UCCISE DON CHISCIOTTE

di Matteo Marescalco

Probabilmente, non esiste film più tribolato del Don Chisciotte di Terry Gilliam. Iniziato nel 1998, il ricco progetto (che poteva contare su ben 32 milioni di dollari di budget), inizialmente, attirò l’attenzione di Johnny Depp e di Jean Rochefort. Le riprese iniziarono nel 2000 ma sarebbero terminate entro il 2001: un violentissimo nubifragio distrusse il set e l’attore principale fu colpito da doppia ernia del disco e problemi di prostata. Le scene girate andarono a convogliare in Lost in La Mancha, documentario sulla problematica realizzazione di quello che sarebbe dovuto essere il film in realtà mai nato. A seguito dell’annullamento della produzione, Gilliam perse i diritti della sceneggiatura, riacquistati soltanto nel 2006. I successivi dieci anni hanno visto la pre-produzione del progetto decollare più volte senza mai arrivare in aeroporto. Con periodici cambiamenti nel cast e nella sceneggiatura, Robert Duvall e John Hurt si succedettero nel ruolo di Chisciotte, Ewan McGregor ed Adam Driver in quello di Toby Grisoni. Difficoltà a rintracciare i fondi per finanziare il progetto e a conciliare gli impegni degli attori causarono nuovamente il tramonto realizzativo del film. Fino al 2017, anno dell’inizio delle riprese, concluse dodici settimane dopo l’avvio, con un budget di 17 milioni di dollari.
Ma non finisce certo qui. La maledizione torna a colpire Gilliam con lo scoppio di una causa legale tra il regista e l’ex produttore Paulo Branco a pochi giorni dall’inizio dell’ultima edizione del Festival di Cannes, di cui L’uomo che uccise Don Chisciotte avrebbe dovuto chiudere la competizione. Rimosso dal concorso ufficiale, il film è stato comunque presentato alla kermesse francese, con la presenza di Gilliam data per incerta fino all’ultimo momento a causa di una lieve forma di ictus. Insomma, difficoltà a iosa hanno contrastato di continuo il regista americano, rendendo un’impresa la realizzazione del suo ultimo film.
Nel caos delle differenti versioni, che identità ha assunto in effetti questo Don Chisciotte? Di sicuro, si tratta di un ibrido poliforme differente rispetto al progetto targato 1998. Le strade intraprese sono varie e le conseguenze riportate in fase di riprese pesano come un macigno. Il protagonista del film è Toby, un regista cinico e disilluso che ha realizzato un film giovanile dedicato alla figura di Don Chisciotte. Da quel momento, il ragazzo non è riuscito più a mantenere la purezza di sguardo di allora. Nel bel mezzo delle riprese di uno spot pubblicitario, finisce nel villaggio in cui effettuò le riprese del film giovanile, scoprendo le tragiche ripercussioni sulla piccola comunità spagnola. La giovane Angelica, che una volta era l’innocenza in persona, adesso è una escort di lusso divorata dal sogno di entrare nel mondo dello spettacolo; il vecchio che interpretava Don Chisciotte è diventato pazzo ed è convinto di essere davvero Don Chisciotte. Toby si ritrova faccia a faccia con i suoi demoni, reali e immaginari ed intraprende un viaggio dal finale fantasmagorico. 
Dopo tutte le traversie di produzione, è impossibile non provare tenerezza verso questo film e non volergli un minimo di bene. Tra deformazioni prospettiche, trovate oniriche che fanno l’occhiolino a Fellini, battute su Trump ed invenzioni dense di follia, L’uomo che uccise Don Chisciotte somiglia ad un gigante dai piedi d’argilla. Alcune trovate fantastiche sono potenti ma estemporanee e non riescono a saldarsi tra loro in modo compatto. Il film soffre di un’esagerazione anarcoide di suggestioni fantastiche che lo stremano e lo rendono pesino goffo. Le idee si riproducono alla velocità della luce, dando vita ad un labirinto in cui ci si perde senza difficoltà. E la guida di Gilliam viene a mancare. Il regista non sfugge alla tentazione di specchiarsi nel protagonista del suo film, Toby, che vede la sua salute mentale vacillare di fronte ai mulini a vento scambiati per giganti. E il film rimane vittima del proprio delirio e dei mille sentieri imboccati, segno di un esagerato dosaggio che ha condotto il paziente alla morte. 

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