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sabato 5 ottobre 2019

GEMINI MAN

di Matteo Marescalco

Da diversi mesi a questa parte, The Irishman, l'ultimo film di Martin Scorsese, ha attirato su di sé l'attenzione mediatica a causa delle tecniche di de-aging digitali utilizzate sui volti degli attori protagonisti. In molti hanno parlato di attore digitale in riferimento al fatto che il tradizionale essere umano, nel film di De Niro, è sostituito da una sintesi che creerà, di fatti, scenari futuri alternativi e che potrebbe privare l'essere umano del suo statuto necessario nell'ambito della rappresentazione cinematografica.

In Gemini Man accade qualcosa di simile, in un certo senso. Perchè Will Smith, protagonista del film, dà vita ad un sicario che lavora per la Defense Intelligence Agency. Quando anche lui diventerà un personaggio scomodo per l'Agenzia, i superiori decideranno di mandargli contro la sua versione più giovane. D'altronde, Henry Brogan è sempre stato il migliore nel suo campo. Quindi, da chi altri può essere eliminato se non da un sé stesso più giovane e privo di particolari dilemmi morali legati ai suoi 51 anni?

Sorvolando su un impianto narrativo semplicistico che fa da mero supporto per le importanti innovazioni tecnologiche messe in campo, è bene soffermarsi sulle traiettorie tecniche delineate dal film. Perchè l'ultimo progetto di Gemini Man continua la riflessione sull'orizzonte spettacolare e sulla percezione dell'audiovisivo che Ang Lee porta avanti da diverso tempo a questa parte. Già, attraverso il 4K 3D dei 120fps, Billy Lynn – Un giorno da eroe lanciava una riflessione sul rapporto tra rappresentazione e realtà con un inedito senso di iper-visione a coinvolgere al suo interno l'orizzonte spettatoriale (peccato che l'inadeguatezza di gran parte delle sale cinematografiche mondiali abbia lasciato all'immaginazione il proposito del regista). Gemini Man si spinge oltre, dando vita ad una serie di sequenze che, attraverso la combinazione di 3D ed High Frame Rate, abbattono la barriera tra schermo e fruitore, catapultandolo in una sorta di Virtual Reality che tira in ballo il concetto di realismo. Nelle sequenze action estreme, la macchina da presa ed i software creano una fluidità di movimento da lasciare spiazzati, avvicinando il mondo del cinema a quello del video-game.

Oltre ai 120fps, che garantiscono una nitidezza nettamente superiore rispetto a quella dei tradizionali 24fps, per la prima volta, Hollywood getta nella mischia un attore totalmente (ri)creato in digitale, grazie all'intervento di WETA Digital. Il 20enne sicario che viene messo alle costole di Will Smith, infatti, è interamente creato in digitale e modellato sulle fattezze di un giovane Will Smith, a cui l'attore in carne ed ossa dona i movimenti attraverso performance capture. Insomma, al netto di punti di forza e difetti, Gemini Man è un luna-park che consente la convivenza di serie B estrema e del massimo dell'avanguardia in termini di effetti digitali. Sorge qualche dubbio sull'utilità di un'operazione del genere che, forse, al momento, sarebbe meglio confinare ad attrazioni dalla durata nettamente minore, a meno che il racconto tradizionale non divenga qualcosa di superiore rispetto ad un mero supporto su cui costruire uno strano Frankenstein.

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