*recensione pubblicata per Point Blank: https://www.pointblank.it/recensione-film/robert-rodriguez/alita-angelo-della-battaglia
Il primo aspetto di Alita-L'angelo della battaglia che non lascia indifferente persino uno sguardo poco allenato consiste nella gestione dell'imponente battage pubblicitario del film. Le scelte di marketing, infatti, hanno prediletto sottolineare il nome del produttore, James Cameron, piuttosto che quello del regista, Robert Rodriguez, anzi, hanno decisamente spacciato il regista di Avatar come il padre di Alita. D'altronde, il re del mondo, sin dal lontano 2000, accarezza l'idea di un adattamento dell'omonimo manga di Yukito Kishiro, senza mai riuscire a trasformare la volontà in realtà. Il tempo dedicato alla lavorazione di Avatar, poi, e allo sviluppo dei suoi sequel hanno reso necessaria la ricerca di un utero artificiale per portare alla luce Alita. Impossibilitato a dirigerlo, con un commovente atto di fede, il regista di Titanic ha affidato il proprio tormento ventennale a Robert Rodriguez, un figlio d'arte ormai relegato al dimenticatoio, ma il cui cinema è da sempre stato caratterizzato da una vena cyberpunk ed adolescenziale che lo rendeva adatto al ruolo.
Il ritorno alla vita è il pilastro portante di Alita. Sin dai primi istanti del film, quando il dottor Dyson Ito perlustra la discarica dove cadono i rifiuti dalla città sospesa in cielo di Zalem e trova la parte centrale di una ragazza cyborg, che decide di innestare nel corpo, mai utilizzato, che aveva preparato per sua figlia Alita. La ragazza non ha memoria di sé ma porta nel proprio cuore un'antichissima tecnologia perduta e progettata per la battaglia. E allora «I see you», non resta altro da fare che aprire gli occhi ed andare alla ricerca della propria identità, proprio a partire da quegli organi di senso che, più di tutti, custodiscono il segreto di ogni corpo, sia esso meccanico o umano.
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