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domenica 5 maggio 2019

STANLIO & OLLIO

di Matteo Marescalco


Non c'è niente di più triste dell'ultimo commiato che giunge alla fine di un lungo e duraturo rapporto di amicizia. In fin dei conti, è proprio il rapporto umano tra i due protagonisti il cuore pulsante di Stanlio & Ollio, diretto da Jon S. Baird e scritto da Jeff Pope, lo sceneggiatore di Philomena. I volti e i corpi di Steve Coogan e di John C. Reilly hanno l'ingrato compito di caricare su di sé l'eredità di due miti dell'immaginario collettivo: Stan Laurel e Oliver Hardy, più noti, in Italia, con i nomignoli di Stanlio e Ollio. Prima di ogni altra cosa, è opportuno soffermarsi sulle interpretazioni dei due attori, le cui paralizzate smorfie di tristezza contribuiscono a rendere autentico il tono crepuscolare che pervade il film per tutta la sua durata.

Fin dall'inizio, infatti, ambientato nel 1937, anno in cui Stanlio e Ollio sono all'apice della carriera e ancora sotto contratto con Hal Roach, serpeggia un velo di malinconia, come se i fantasmi dell'invecchiamento e della stanchezza avessero iniziato ad agire anzitempo. Coogan e Reilly vivono sulla scena come un corpo solo, un po' come i due mostri sacri della comicità che impersonano, dando vita ad una particolare sinergia che vive delle reciproche inadeguatezze. Dopo il prologo ambientato negli anni '30, si vola al 1953, anno in cui Laurel e Hardy, sopra i sessant'anni e ormai lontani dalle scene, partono per un tour teatrale in Gran Bretagna con la speranza di rinverdire il loro successo e di girare un nuovo film su Robin Hood. Il pubblico delle esibizioni è tristemente esiguo ma la loro arte riesce ancora a risplendere nelle risate degli spettatori. Tuttavia, fantasmi mai sepolti e i problemi di salute di Oliver minacciano il sodalizio, conducendo all'inevitabile declino umano, fisico e professionale. 
 

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