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mercoledì 25 ottobre 2017

LA RAGAZZA NELLA NEBBIA

di Matteo Marescalco

Durante una notte di nebbia, ad Avechot, un piccolo paesino di montagna, accade qualcosa di insolito. Un uomo alla guida di un auto, vittima di un incidente, si reca dallo psichiatra del luogo che cerca di fargli raccontare l'accaduto. La storia narrata dall'uomo inizia qualche mese prima e precisamente al periodo natalizio. Fra quelle montagne scomparve una ragazzina di sedici anni: Anna Lou, capelli rossi e lentiggini. Ad Avechot, tuttavia, è difficile trovare la verità e il famoso detective Vogel è consapevole del fatto che, in questa storia, ogni inganno ne nasconde un altro ancora più grande.

La ragazza nella nebbia segna il debutto alla regia di Donato Carrisi, tra i più interessanti scrittori del panorama italiano contemporaneo, autore de Il suggeritore, L'ipotesi del male e Il maestro delle ombre. I libri di Carrisi hanno venduto circa 3 milioni di copie nel mondo. Caso più unico che raro, ad occuparsi è lo stesso scrittore ad occuparsi della trasposizione del suo libro, nato prima come sceneggiatura e poi ulteriormente sviluppato fino a raggiungere la forma di romanzo. In tal senso, era notevole la curiosità nei confronti di un prodotto in cui immaginario editoriale e filmico dello stesso autore trovano un loro punto di congiunzione.

Il film di Carrisi parte da un background forte e ben definito: l'ispettore Vogel arriva ad Avechot allo stesso modo in cui Dale Cooper arrivava a Twin Peaks. I riferimenti, oltre al già citato, si sprecano: da Gone Girl di David Fincher a Una pura formalità di Giuseppe Tornatore. La sceneggiatura trova un suo sviluppo provando a muoversi tra le oscure vie del paesino, rese ancora più difficili da percorrere dalla onnipresente nebbia. Ed è in questo suo percorso che fallisce. Perchè la costruzione ad incastro tra racconto al presente e flashback risulta prolissa ed esageratamente ingarbugliata, frutto di un compiacimento a tratti spropositato. Ad uscirne indebolita è la potenza delle immagini. Ed è un vero peccato perché Carrisi ha dimostrato di essere un buon metteur un scene (le ambientazioni e la composizione dell'immagine sono molto buone, così come l'idea del plastico da scandagliare). Tuttavia, è il Carrisi scrittore a predominare e a spiegare ogni singola azione, lasciando al pubblico pochissimi tasselli da riempire. Eccetto quello legato all'incomprensibile finale, twist-ending raffazzonato che scuote ma che, in fin dei conti, risulta eccessivamente artificioso. A tutto ciò si aggiunge la fastidiosa interpretazione manieristica di Toni Servillo che spingerebbe qualsiasi spettatore avvezzo al naturalismo cinematografico ad abbandonare la sala dopo i primi dieci minuti.

Se è giusto che un buon thriller depisti il lettore/spettatore, è meno giusto che lo renda vittime di un esagerazione di parole e di spiegazioni che finiscono per intaccarne la suspense.

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