Il primo film da regista
di Antonio Manzini ha per protagonisti personaggi che sembrano usciti dai
romanzi di Niccolò Ammaniti. E ciò non stupisce affatto, considerando le
frequenti collaborazioni tra i due scrittori romani, a partire da quella alla
sceneggiatura de Il siero della vanità,
fino ai due racconti scritti a quattro mani, Giochiamo? e Sei il mio
tesoro, convogliati nell’antologia Il
momento è delicato. Nessuna sorpresa, quindi,
coglie il fedele lettore di Ammaniti dinnanzi a freaks disperati che affondano
le mani nelle zozzerie delle periferie romane, di fronte a costruzioni circensi
gestite da un improbabile deus ex machina o, ancora, nei confronti delle dorate
lande pugliesi, terreno in cui Cristian e Palletta vanno alla ricerca di un
giaguaro tenuto come animale domestico da una mostruosa famiglia mafiosa. I due
amici passano da una Roma da bar, fredda e distante, all’improvvisa accensione
cromatica di una Puglia rappresentata essa stessa come un grosso fenomeno da
baraccone, contenitore più di animali che di veri esseri umani.
La struttura narrativa è
articolata in diversi capitoli, a seconda dei vari giorni della settimana e
rispetta i tradizionali livelli organizzativi. Dopo un esordio ambientato nella
vita quotidiana di Cristian, giovane sfaccendato che spera nella botta di culo,
il primo plot-point è collocato dopo
circa venti minuti e consiste nell’attraversamento di una soglia che condurrà
in un “altro mondo”. La coppia Pietro Sermonti-Libero De Rienzo funziona
perfettamente così come la parte più “fisica” del racconto. Ciò che manca è
l’assenza di vero mordente, poche volte si spinge sull’acceleratore (in
corrispondenza, infatti, delle sequenze più riuscite del lungometraggio) e
l’atmosfera di amarezza che si vorrebbe costruire funziona solo parzialmente.
Dispiace perché si tratta comunque di una rispettabile commedia indipendente
che riesce a percorrere strade alternative rispetto a quelle tradizionali del
cinema italiano ma che, puntualmente, si tira indietro. Sorgono anche seri
dubbi sugli obiettivi dell’operazione produttiva. A che pubblico è rivolto il
film? Più che essere stato girato per una platea quanto più ampia possibile o,
viceversa, per un preciso e determinato zoccolo duro, Manzini sembra aver
realizzato un film unicamente per sé stesso e per i suoi amici intellettuali
romani. E, in conferenza stampa, le dichiarazioni di De Rienzo sul suo odio nei
confronti della promozione nel mondo del cinema sembrano confermare le idee di
chi vi scrive: becero quanto immotivato odio nei confronti del mercato e
operazione artistica fine a sé stessa si equivalgono e non fanno assolutamente
bene alla salute del cinema italiano.
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