di Matteo Marescalco
Ancora una volta, dopo
Toy Story 3, The Brave ed Inside out, tocca ad un film Disney Pixar inaugurare
la serata d’apertura del Taormina Film Fest. Alla ricerca di Dory di Andrew
Stanton ha allietato la serata al teatro antico di migliaia di persone, venute
per godere delle nuove magie offerte dai geni del gruppo Pixar.
Per diversi motivi, le
aspettative nei confronti di questo film non erano delle migliori: si tratta di
un sequel di un film del 2003 (Alla ricerca di Nemo) e la tendenza inconscia è
quella di etichettare i sequel come mero prodotto economico volto al totale
sfruttamento di un brand. Che anche i sequel possano avere una loro anima è una
considerazione che, in genere, passa in secondo piano. Nel caso specifico dei
Pixar Studies, l’esperienza di Toy Story 2 (inferiore al primo episodio ma
ampiamente rivalutato alla luce del terzo e, quindi, di un giudizio complessivo
sull’intera trilogia) e di Cars 2 (unico vero passo falso del team creativo di
John Lasseter) gettava un’ombra anche su Alla ricerca di Dory. Mai giudizio
preventivo fu più errato di questo applicato al lungometraggio animato di
Andrew Stanton (tornato all’ovile, insieme a Brad Bird, dopo le esperienze
nella live action). Dopo l’incursione nella matematica dei sentimenti, volta
alla scoperta dei meccanismi logici (da catena di montaggio) dietro ad ogni
processo creativo ed emozionale, ecco ritornare il famigerato binomio
logica-sentimenti. Dory è il pesciolino che in Alla ricerca di Nemo aiutava
Marlin in un viaggio di formazione alla ricerca del figlio. E ha un grande
problema che ne mina la quotidianità: soffre di perdite di memoria a breve
termine. In questo sequel, parte alla ricerca dei suoi genitori, in un viaggio
che assume i contorni di romanzo di formazione, qual è, in effetti, l’intera
produzione Pixar.
Dory non conosce il
proprio posto nel mondo, è animata da forti sentimenti nei confronti dei suoi
amici e dei genitori ma, al contempo, la logica e le ripetute perdite di
memoria intervengono, riportandola ad una sorta di eterno azzeramento. WALL-E,
Lotso, Jessie, Carl Fredricksen, Nemo e Dory sono tutti quanti dei diversi che
cercano la loro vera identità, confrontandosi con un mondo esterno che potrebbe
trasformarli in carne da macello, riuscendo a trovare una dimensione in cui
trasformare la loro vita in un inno all’immaginazione. Dotato di un
interessante e delicato sotto-testo dedicato alla disabilità, Alla ricerca di
Dory è un viaggio-formazione nei film della Pixar, nonché un manifesto
programmatico su cosa sia il cinema per il team creativo di John Lasseter.
Oltre ogni costruzione logica e rigorosa, si affermano sempre e comunque emozioni
e sentimenti contrastanti. Non esiste la gioia senza la tristezza, allo stesso
modo in cui non esisterebbero le emozioni senza una seppur lineare e semplice
struttura drammaturgica.
Per citare il dialogo
finale tra Marlin e Dory: «È meraviglioso». «Indimenticabile». Alternando tra
soluzioni narrative già sperimentate nei precedenti film, Alla ricerca di Dory è
un tour sentimentale dentro noi stessi, ancor più di Inside out. Dentro ogni
singolo bambino ed adulto trasformato irrimediabilmente dalla Pixar. E,
ovviamente, è un gigantesco on the road all’interno del cinema, macchina
creatrice di sogni che ci permette di nuotare verso nuovi sguardi e nuove
avventure, senza mai dimenticare i nostri cari vecchi compagni di viaggio.
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