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venerdì 28 novembre 2014

TRUE DETECTIVE

di Egidio Matinata
 
Scritto da Nic Pizzolatto, diretta da Cary Joji Fukunaga. Con Matthew McConaughey, Woody Harrelson, Michelle Monaghan, Michael Potts, Tory Kittles, Kevin Dunn, Alexandra Daddario. Drammatico, poliziesco. Durata: otto episodi da 60 minuti.

Negli ultimi anni il livello qualitativo delle serie tv è salito in maniera esponenziale, sanando il divario che le separava dal cinema. Il termine “artistico”, riferito ad un prodotto televisivo, era cosa rara (nonostante vi fossero illustri precursori come Twin Peaks e Ai confini della realtà, per citarne due). Diversi sono i motivi di questo cambiamento. Alla base c’è sicuramente il fatto che il format seriale facilita e allo stesso tempo espande le modalità di narrazione in un modo che il cinema non può fare; e permette di approfondire in modo più accurato la psicologia dei personaggi e il mondo che essi abitano. L’unione, poi, di un numero sempre crescente di spettatori, alla presenza di volti noti dell’industria cinematografica, sia interpreti che autori, ne ha sancito definitivamente il successo sul versante commerciale
True Detective rappresenta una delle vette più alte, degli ultimi anni e non solo, nell’ambito delle serie televisive. Scritta interamente da Nic Pizzolatto e diretta da Cary Joji Fukunaga, è andata in onda nel 2014 sul canale HBO, riscuotendo ampi consensi sia dalla critica che dal pubblico. Le vite dei detective Rust Cohle (Matthew McConaughey) e Marty Hart (Woody Harrelson) si intrecciano inesorabilmente nella lunga caccia a un serial killer in Louisiana, in un arco temporale di diciassette anni, dal 1995 al 2012, anno in cui il caso viene riaperto.
La serie racconta apparentemente la storia più vecchia del mondo: il Bene che combatte contro il Male. Ma lo fa in un modo diverso. Più reale, più cupo, più pessimista. Analizzando l’essere umano in tutte le sue sfaccettature e nel rapporto che ha col mondo in cui vive, ne porta a galla tutti gli aspetti che lo caratterizzano, i quali finiscono per risultare, nella maggior parte, negativi.                                          
L’uomo è l’animale più crudele” recita una delle frasi promozionali della serie. Ed è proprio attraverso questa lente che l’essere umano viene messo a fuoco: come animale spinto da pulsioni primarie, come specie che si è evoluta eccessivamente, arrivando ad una consapevolezza maggiore di sé. Una consapevolezza, però, illusoria errata. 
Rust, cinico e pessimista, sembra essere l’unico personaggio ad avere accesso a questa verità e attraverso i suoi (fantastici) sproloqui filosofici, i grandi temi che caratterizzano l’esistenza di tutti vengono messi sotto esame e arrivano allo spettatore sotto una luce nuova. Una luce più nera che mai. L’evoluzione, la coscienza, la religione, l’amore, la vita e la morte diventano concetti effimeri. E  cedendo alla falsa speranza (o paura) creata da essi, si cede alla consapevolezza illusoria che caratterizza l’umanità. 
Marty fa parte sicuramente di questa categoria di persone. Personaggio meno complesso, rimane costante in tutto l’arco narrativo nella sua falsità di facciata. Padre di famiglia, marito fedele e bravo investigatore. Apparentemente. L’ipocrisia che lo caratterizza sarà alla base dello sfaldamento della sua famiglia e, in parte, del suo rapporto professionale con Rust.
Questi due uomini, così diversi tra loro, si ritrovano a combattere insieme non solo i loro demoni interiori, ma anche i demoni che si trovano appena fuori dalla nostra porta. Simboli di una malvagità pura, primordiale e, cosa ancora più spaventosa, umana. L’ambiente inquietante in cui si muovono i personaggi sembra permeato da un alone di malvagità costante: gli alberi, le case, le chiese abbandonate. Nonostante la serie sia avvolta da un alone surreale, l’orrore e la paura che si provano durante la visione risalgono a un’origine terrena, che risulta terrificante perché inspiegabile. Le due linee diegetiche, quella personale e professionale, vanno di pari passo durante le puntate, intrecciandosi vicendevolmente. Così come la stessa struttura della serie, che raggiunge la sua perfezione e la sua compattezza nell’andare avanti e indietro nel tempo, senza mai lasciare lo spettatore nella frammentarietà, ma portandolo, attraverso i flashback, ad una sensazione di omogeneità.
True Detective è un capolavoro sotto tutti i punti di vista. Stilisticamente è difficile trovargli degli eguali, anche in ambito cinematografico, sia per quanto riguarda la sceneggiatura che per la qualità prettamente tecnica. Molte scene sono già diventate cult, come il piano sequenza della quarta puntata. 
Gli attori riescono a dare vita a due personaggi che sono già entrati nell’immaginario collettivo. Ogni coppia di poliziotti che vedremo al cinema o in televisione nei prossimi anni dovrà reggere il confronto con loro.
Il finale, da molti accusato di scarsa coerenza con il tono generale della serie, può risultare ottimista solo ad un primo livello di lettura. La scena che si svolge al di fuori dell’ospedale non deve essere interpretata come un dantesco “uscimmo a riveder le stelle”. In quel momento i due personaggi, guardando verso il cielo, non vedono altro che un riflesso di ciò che succede sulla Terra. Il microcosmo e il macrocosmo si specchiano l’uno nell’altro e si riconoscono come simili. Una volta c’era solo l’oscurità. Ora la luce sta avanzando, ma il suo prevalere è ancora lontano.

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