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martedì 25 novembre 2014

FRANK or a «lonely standing taft»

di Macha Martini
 
«Ehi... guarda qui... Questo piccolo ciuffo del tappeto. Mi chiedo quanti anni abbia negli anni dei tappeti. È primavera? È il primo che si risveglia o... è vecchio, ma ancora abbastanza forte da tenersi ciò che l'inverno vuole portare via

Il rumore del mare, i suoni di una melodia ancora embrionale e Jon, un ragazzo che vuole diventare musicista. Così inizia l'avventura surreale e tragicomica di un giovane tastierista, solo e troppo immerso nel mondo irreale di Twitter. Con Frank, il regista Lenny Abrahamson e lo sceneggiatore Jon Ronson si pongono l'obiettivo di mostrare al pubblico la perdita del proprio Io all'interno di una società troppo conformista e legata ai social network.
I tratti fondamentali del sé sono tracciati tramite tre dei membri della Soronprfbs (una band di malati mentali): Clara, Don e soprattutto Frank, il leader dell’incompreso gruppo musicale. 
Clara mostra il lato dell’uomo moderno restio all’omologazione. Evidenzia quella sfaccettatura che ha paura di perdere il proprio io in mezzo all’infinità di identità irreali che popolano i social network e che, alla fine, rappresentano solo dei numeri, dei “like”, con i quali la società crede di poter giudicare la vita di una persona. 
Don, invece, rappresenta in pieno la crisi dell’autocoscienza del sé. Infatti, il suo personaggio si vede “sbagliato”, non riuscendo a cogliere il suo potenziale. Don è come una quercia in mezzo a un campo di margherite, che invece di sentirsi superiore, desidera solo un mezzo dietro al quale nascondere il proprio sé. Perciò idolatra Frank, l’unico uomo cui è permesso, grazie a un certificato medico, di velare la propria faccia dietro un'enorme maschera di cartapesta. 
Infine Frank (figura ispirata al musicista Frank Sidebottom) disegna l’io anticonformista in tutte le sue sfaccettature. L’incompreso performer, interpretato alla perfezione da Fassbender, è drasticamente terrorizzato dai giudizi altrui che, con l'esplosione dei social network, hanno assunto sempre maggiore rilevanza. Frank è la personificazione dell‘outcast: l’escluso da una società che non

 

ammette persone troppo vere e dunque poco superficiali per la moda del momento. Questa caratteristica del sé e della sua perdita si manifesta pienamente il giorno del concerto. Frank, in preda al panico, trucca la sua maschera, ponendo davanti a sé un ulteriore velo che lo possa nascondere dalla folla in trepidante attesa di cliccare un pollice all’in su o all’in giù.
Jon entra a far parte di tutto questo in modo totalmente casuale. Anche la sua figura è fondamentale nel delineamento dell’uomo moderno all’interno della società. Inizialmente come Frank e tutti i componenti della band, anche lui è un outsider.
Il protagonista non riesce a esprimere a pieno il suo Io (la sua arte) e trova in Twitter una fonte di sfogo. Il social network rappresenta l’unico, sebbene illusorio, modo che ha per comunicare e raccontarsi. Ogni parte del film è scandita dai tweet che Jon immette nel mondo virtuale. L’unico tratto di vita che il protagonista ammette con rammarico di non aver trasmesso ai suoi follower, tra cui siamo compresi noi spettatori, è soggetto ad un'ellissi narrativa. Immerso sempre di più nei social network, il giovane artista cerca in tutti i modi di acquistare la sua visibilità in un mondo in cui solo essa conta. Nel farlo non si cura del dolore che l’esposizione così eccessiva può portare ai membri della band e quindi allo stesso Io. Anzi, nel cercare di acquisire questa ambita “notorietà”, la sua mente nega totalmente i segni evidenti della crisi dell’Io anticonformista, che si manifestano in un Frank che si nasconde sotto i tavoli e che girovaga nervoso e inosservato in mezzo ai party.
Se Fincher con The Social Network ha descritto la nascita del più grande colosso di comunicazione virtuale, il vincitore del British Indipendent Awards per miglior regia, invece, descrive come il loro avvento e il loro radicarsi all’interno della società abbiano messo in crisi l’autocoscienza dell’uomo moderno. 
Nonostante durante tutto il film, il regista e lo sceneggiatore neghino l'esistenza di una soluzione a questa perdita progressiva del sé, nel finale, però, il punto di vista cambia. Infatti, Frank, come una moderna opera d’arte, non ha una fine oggettiva. La conclusione lascia spazio all’amarezza surreale del pubblico.

Sicuramente Frank non è il lungometraggio dell’anno e la performance di Michael Fassbender non è la più ferina della sua carriera, ma certamente, è un film che riesce a saltare l’asticella dell’originalità, senza mai cadere nella banalità o nel ricattatorio. Tutte le scene drammatiche sono rappresentate in modo comico e suscitano il riso degli spettatori, sebbene generare tali sensazioni non sia l'obiettivo peculiare del film. Lo stesso protagonista, nel sentirsi dire quanto siano comiche le scene più intime della band, chiarisce che non sono scene ilari. Eppure, il protagonista, come lo stesso regista, non può e non sa rispondere a una domanda fondamentale: «Davvero? Io pensavo fosse vostra intenzione essere comici».

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