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lunedì 10 novembre 2014

DUE GIORNI, UNA NOTTE

di Matteo Marescalco
 
Presentato in anteprima alla 67esima edizione del Festival del Cinema di Cannes, Due giorni, una notte segna il ritorno dietro la macchina da presa dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, autori, tra gli altri, di Rosetta, L'Enfant-Una storia d'amore, Il matrimonio di Lorna e Il ragazzo con la bicicletta.
Protagonista del lungometraggio è Sandra (interpretata da Marion Cotillard) che, a rischio licenziamento a causa di recenti problemi di salute e assistita dal marito (il fido Fabrizio Rongione), ha a disposizione due giorni e una notte per andare dai suoi colleghi e convincerli a rinunciare al loro bonus lavorativo affinché lei possa conservare il proprio posto di lavoro.
I Dardenne regalano ancora una volta agli spettatori un dramma sociale intenso ed immediato, mostrando, senza filtri inibitori, un ambiente lavorativo in cui, sullo sfondo della crisi economica, sembra dominare la legge della convenienza. Viene portato in scena un bellum omnium contra omnes in cui si bada unicamente al vantaggio personale a scapito della solidarietà.
I fratelli cineasti di origine belga adottano, principalmente, due stili di ripresa: in determinate sequenze la macchina da presa tallona la protagonista femminile, restituita tramite una serie di piani ravvicinati con l'evidente intento di effettuare un approfondimento psicologico degno di nota; altri momenti sono ripresi tramite lunghi piani sequenza che consentono ai Dardenne una rappresentazione quanto più aderente possibile alla realtà.
Centro focale della vicenda è la figura di Sandra, che ingurgita Xanax come fossero caramelle e che agisce come motore propulsore di uno sviluppo narrativo un po' farraginoso. A fare da sfondo è il graduale deterioramento di una classe sociale che, impoverita dalla crisi economica, non riesce più a trovare nel lavoro uno strumento di riscatto.
Qual è il valore che il mondo del lavoro attribuisce ad un essere umano? E' questo l'interrogativo che sobbalza nella mente dello spettatore al termine della proiezione.
Tuttavia, una decisa dose di impegno sociale non basta a realizzare un buon film. L'esito dei singoli incontri tra Sandra e i suoi colleghi è piuttosto scontato, così come la conclusione della vicenda che appare ricattatoria fin dalla scelta di mettere in campo una protagonista depressa (non si capisce il perchè) a cui viene concesso un parziale riscatto finale che le restituisce quella dignità che ha rincorso per tutta la durata del lungometraggio.
Si ha l'impressione di aver assistito ad un film che non lascia nulla, che non coinvolge, che gioca in modo ricattatorio ed opportunista con i suoi personaggi e con i sentimenti dello spettatore. Sarebbe l'ora di finirla con questo Cinema telecomandato che nasconde, dietro il velo di Maya dell'impegno sociale, un vuoto di fondo.

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