Tra una comicità stantia e una trama trita e ritrita, il nuovo Men In Black delude la platea, cercando risate che appaiono come colpi di tosse imbarazzanti. Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire dove e perché questo revival delude le aspettative del pubblico. Parigi, Liam Neeson e Chris Hemsworth appaiono in una prima e breve sequenza, che termina con un nulla di fatto: i due agenti stanno per iniziare uno scontro. Fade to black. L’orologio torna indietro e ci si ritrova negli USA. Una famiglia afroamericana ha appena visto un alieno.
Riagganciamoci per un attimo alla prima scena: non suona familiare? Liam Neeson, mentore dei MIB, blackout. Questo è di sicuro il primo tallone d’Achille: l’utilizzo di un attore in un ruolo che ha già avuto in un precedente film. Una platea che mastica prodotti audiovisivi da un bel po’ ha già capito dove questo revival voglia andare a parare ma andiamo avanti. Stati Uniti, dopo l'incontro con un alieno, Molly, una bambina appassionata di galassie, stelle e pianeti, vede i MIB “sparaflashare” i suoi genitori. I suoi occhi non sono colmi di paura ma di ammirazione.
Anni dopo, la piccola Molly è ormai cresciuta ed è una brillante ragazza, con notevoli doti e una determinazione implacabile. Riesce così a imbucarsi nella sede degli uomini in nero, capitanati da Emma Thompson, in un ruolo microscopico e piatto. Dopo qualche allusione al #Metoo, si parte per Londra. Questa sequenza, sebbene, in linea generale, funzioni, presenta un pregio ma anche alcune pecche. Dopo quanto avvenuto con il #Metoo, non bisogna fare per forza remake al femminile, come Ghostbusters di Paul Feig. Si può rimanere fedeli a se stessi, aggiungendo un tocco di parità di genere.
Le storture di naso sono invece legate alle battute senza senso e forzate che ci accompagneranno per tutto il film, e alla mancanza di carisma del personaggio di Molly, che cade, purtroppo, nell’inevitabile confronto-scontro con il suo predecessore interpretato da Will Smith. All'epoca in cui uscì MIB, l'attore, tramite slang del ghetto e battute fresche, portava sullo schermo il nuovo eroe afroamericano ed era uno degli interpreti made in USA più richiesti. Non solo Tessa Thompson, parlando in termini di star system, non è ancora arrivata ai livelli del giovane Will Smith dell’epoca, già etichettato, prima del film, come il ragazzo che faceva divertire tutti gli States, ma il suo personaggio è frenato e impacciato e privo di quell’ironia brillante e spontanea, che la sceneggiatura cerca di affidare al vecchio Thor, portando a dei momenti che sfiorano il puro imbarazzo.
Infatti, l’impressione che si ha è di vedere una copia mal riuscita del Dio del Tuono di Endgame, privo, quindi, di un qualsivoglia pizzico di originalità. Originalità che si cerca di dare nell’allusione a un qualche tipo di evento traumatico, di cui, però, la sceneggiatura si dimentica per concentrarsi sul gioco “trova la talpa”, che, a sua volta, invece di rivelarsi accattivante, cade in un turbinio di “già visto”. In conclusione, si tratta di un film che sicuramente appassionerà i più piccini ma che lascerà totalmente indifferente un pubblico di adulti.
Riagganciamoci per un attimo alla prima scena: non suona familiare? Liam Neeson, mentore dei MIB, blackout. Questo è di sicuro il primo tallone d’Achille: l’utilizzo di un attore in un ruolo che ha già avuto in un precedente film. Una platea che mastica prodotti audiovisivi da un bel po’ ha già capito dove questo revival voglia andare a parare ma andiamo avanti. Stati Uniti, dopo l'incontro con un alieno, Molly, una bambina appassionata di galassie, stelle e pianeti, vede i MIB “sparaflashare” i suoi genitori. I suoi occhi non sono colmi di paura ma di ammirazione.
Anni dopo, la piccola Molly è ormai cresciuta ed è una brillante ragazza, con notevoli doti e una determinazione implacabile. Riesce così a imbucarsi nella sede degli uomini in nero, capitanati da Emma Thompson, in un ruolo microscopico e piatto. Dopo qualche allusione al #Metoo, si parte per Londra. Questa sequenza, sebbene, in linea generale, funzioni, presenta un pregio ma anche alcune pecche. Dopo quanto avvenuto con il #Metoo, non bisogna fare per forza remake al femminile, come Ghostbusters di Paul Feig. Si può rimanere fedeli a se stessi, aggiungendo un tocco di parità di genere.
Le storture di naso sono invece legate alle battute senza senso e forzate che ci accompagneranno per tutto il film, e alla mancanza di carisma del personaggio di Molly, che cade, purtroppo, nell’inevitabile confronto-scontro con il suo predecessore interpretato da Will Smith. All'epoca in cui uscì MIB, l'attore, tramite slang del ghetto e battute fresche, portava sullo schermo il nuovo eroe afroamericano ed era uno degli interpreti made in USA più richiesti. Non solo Tessa Thompson, parlando in termini di star system, non è ancora arrivata ai livelli del giovane Will Smith dell’epoca, già etichettato, prima del film, come il ragazzo che faceva divertire tutti gli States, ma il suo personaggio è frenato e impacciato e privo di quell’ironia brillante e spontanea, che la sceneggiatura cerca di affidare al vecchio Thor, portando a dei momenti che sfiorano il puro imbarazzo.
Infatti, l’impressione che si ha è di vedere una copia mal riuscita del Dio del Tuono di Endgame, privo, quindi, di un qualsivoglia pizzico di originalità. Originalità che si cerca di dare nell’allusione a un qualche tipo di evento traumatico, di cui, però, la sceneggiatura si dimentica per concentrarsi sul gioco “trova la talpa”, che, a sua volta, invece di rivelarsi accattivante, cade in un turbinio di “già visto”. In conclusione, si tratta di un film che sicuramente appassionerà i più piccini ma che lascerà totalmente indifferente un pubblico di adulti.
Nessun commento:
Posta un commento