Risate. Voci spettrali di bambini. Beverly sospesa e immersa tra queste voci. Lampi di fuoco. Ricordi. Alberi color arancio. Una città in frantumi. Un tombino. La mdp entra dentro, dentro il nero, nell’abisso. Luci azzurre, rosa e gialle luccicano lontane. L’obiettivo mette a fuoco. Un lunapark. Una ruota: si sale e si scende. Palloncini rossi. «We all float down». A volte il passato ritorna e, con il sangue, non può far altro che dirti di tornare a casa. Nero. Voci confuse. Suoni claustrofobici. Si illumina qualcosa: IT.
Inizia la chiamata dell’eroe. Mike, un mentore che, nel film, risulterà marcato dal clima contemporaneo, un clima che non dà spazio all’epoca classica e dove, quindi, il mentore non può che essere incompleto, richiama a casa i suoi amici, pezzi di un puzzle quasi completato q cui manca solo un unico pezzo, un pezzo rosso. Rosso come il sangue. Rosso come un palloncino. Rosso come il ricordo di un clown. Una vasca calda. Il terrore negli occhi. Ricordi sfocati. «Prometti?», pronunciano le labbra di Bill nel silenzio. «Prometto», risponde il presente, mentre gocciola in una cicatrice che ancora, dopo ventisette anni, brucia. Passi veloci. Un tombino. Siamo sommersi dall’acqua. Emergono corpi in putrefazione. Bowers riemerge. Ricordi, presente. Un montaggio che va al di là del tempo. Un suono di gong annuncia un clima ilare, ma anche isterico. La calma prima della tempesta.
Così ha inizio il secondo capitolo di IT, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King, ma che con questo non ha nulla a che fare. Via la deriva metafisica, solo leggermente accennata. Via la lotta tra bene e male. L’uomo contemporaneo ha ormai un altro nemico da affrontare e che caratterizza la sua crisi: presente e passato, dolore e cicatrici. Crisi dell’individuo che arriva al culmine nella casa di specchi, che diventano sempre più stretti, come un bozzolo di un bruco, che pian piano si stringe fino a soffocarlo. Tra sangue e terra, che si fondono in un’unica via d’uscita, il film cerca di portare i propri personaggi e lo spettatore a un’unica realtà. Non bisogna seppellire il passato o dimenticarlo. Bisogna ucciderlo, annegarlo, sparargli in testa. Le nostre paure e il nostro passato sono solo un piccolo clown, con un piccolo cuore dal battito spaventato. E, a volte, questo cuore va distrutto per intrappolare le luci accecanti del dolore e impedire che diventino un enorme palloncino rosso, capace di inghiottire tutto il nostro ossigeno.
A livello tecnico, questo secondo capitolo di IT presenta una regia, un montaggio e una sceneggiatura (soprattutto nella scrittura dei dialoghi) superiore al predecessore. Se la fotografia rimane oscura e brillante, al tempo stesso, come nel precedente film, la regia, coadiuvata dal montaggio, crea una sinfonia di piani ravvicinati, movimenti di macchina, campi lunghi visti dall’alto o dal basso e punti di vista particolari e sperimentali, che giocano, anche, con la messa a fuoco. Una regia che cerca di rendere raffinato un genere, come l’horror, che, di solito, viene relegato a un secondo piano e che, solo di recente, sta vivendo il suo rinascimento grazie a titoli quali Scappa-Get Out, Noi ed A Quiet Place. Il montaggio, invece, cerca di seguire la sceneggiatura e i dialoghi, movimentando l’intero film e facendo, così, passare inosservata la sua durata di 3 ore. Un film dinamico, con due attori -Bill Skarsgard e Bill Hader- eccezionali.
Inizia la chiamata dell’eroe. Mike, un mentore che, nel film, risulterà marcato dal clima contemporaneo, un clima che non dà spazio all’epoca classica e dove, quindi, il mentore non può che essere incompleto, richiama a casa i suoi amici, pezzi di un puzzle quasi completato q cui manca solo un unico pezzo, un pezzo rosso. Rosso come il sangue. Rosso come un palloncino. Rosso come il ricordo di un clown. Una vasca calda. Il terrore negli occhi. Ricordi sfocati. «Prometti?», pronunciano le labbra di Bill nel silenzio. «Prometto», risponde il presente, mentre gocciola in una cicatrice che ancora, dopo ventisette anni, brucia. Passi veloci. Un tombino. Siamo sommersi dall’acqua. Emergono corpi in putrefazione. Bowers riemerge. Ricordi, presente. Un montaggio che va al di là del tempo. Un suono di gong annuncia un clima ilare, ma anche isterico. La calma prima della tempesta.
Così ha inizio il secondo capitolo di IT, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King, ma che con questo non ha nulla a che fare. Via la deriva metafisica, solo leggermente accennata. Via la lotta tra bene e male. L’uomo contemporaneo ha ormai un altro nemico da affrontare e che caratterizza la sua crisi: presente e passato, dolore e cicatrici. Crisi dell’individuo che arriva al culmine nella casa di specchi, che diventano sempre più stretti, come un bozzolo di un bruco, che pian piano si stringe fino a soffocarlo. Tra sangue e terra, che si fondono in un’unica via d’uscita, il film cerca di portare i propri personaggi e lo spettatore a un’unica realtà. Non bisogna seppellire il passato o dimenticarlo. Bisogna ucciderlo, annegarlo, sparargli in testa. Le nostre paure e il nostro passato sono solo un piccolo clown, con un piccolo cuore dal battito spaventato. E, a volte, questo cuore va distrutto per intrappolare le luci accecanti del dolore e impedire che diventino un enorme palloncino rosso, capace di inghiottire tutto il nostro ossigeno.
A livello tecnico, questo secondo capitolo di IT presenta una regia, un montaggio e una sceneggiatura (soprattutto nella scrittura dei dialoghi) superiore al predecessore. Se la fotografia rimane oscura e brillante, al tempo stesso, come nel precedente film, la regia, coadiuvata dal montaggio, crea una sinfonia di piani ravvicinati, movimenti di macchina, campi lunghi visti dall’alto o dal basso e punti di vista particolari e sperimentali, che giocano, anche, con la messa a fuoco. Una regia che cerca di rendere raffinato un genere, come l’horror, che, di solito, viene relegato a un secondo piano e che, solo di recente, sta vivendo il suo rinascimento grazie a titoli quali Scappa-Get Out, Noi ed A Quiet Place. Il montaggio, invece, cerca di seguire la sceneggiatura e i dialoghi, movimentando l’intero film e facendo, così, passare inosservata la sua durata di 3 ore. Un film dinamico, con due attori -Bill Skarsgard e Bill Hader- eccezionali.
In conclusione, questo nuovo titolo diretto da Andres Muschietti è un film tecnicamente quasi impeccabile che cerca di rappresentare, usando IT come espediente, la crisi del soggetto contemporaneo e, quindi, trasformando il proprio motto da un «Let’s go to kill the clown» in un «Let’s go to kill the Past».
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