di Matteo Marescalco
Negli ultimi
anni, sta andando parecchio di moda realizzare trasposizioni
cinematografiche di romanzi di fantascienza distopica. Prima è
toccato ad Hunger Games di Suzanne Collins, poi a The Divergent
Series di Veronica Roth ed, infine, a Maze Runner di James Dashner.
La struttura
diegetica è, più o meno, basilare: un/una giovane protagonista,
investita di speranze messianiche, si trova a dover guidare la
rivolta contro il governo dittatoriale che sfrutta il popolo.
Il modello di riferimento è quello della fiaba russa analizzata da Vladimir
Propp. Le tappe del viaggio dell'eroe vengono rispettate tutte.
In origine,
era stato Battle Royale di Kenta Fukasaku, trasposizione del romanzo
di Koushun Takami, a portare in scena la struttura del death game
film strutturato sul modello di un videogame, con i protagonisti
obbligati a superare una serie di livelli, per portare in salvo la
propria vita. In tempi recenti, As the gods will di Takashi Miike,
con il pretesto di recuperare e rileggere il filone, ha intessuto
un'interessante riflessione sulle dinamiche crossmediali nella
società contemporanea.
Dopo essere
stati identificati come Divergenti, persone che non rientrano in
nessuna classificazione sociale (Pacifici, Candidi, Abneganti,
Intrepidi ed Esclusi), Tris e Quattro sono in fuga, inseguiti da
Jeanine, la leader assoluta della fazione degli Eruditi. Mentre le
truppe di Jeanine vanno alla ricerca dei rifugiati e dei Divergenti
tra le rovine di Chicago, Tris attraversa la città nella speranza di
trovare alleati e di capire il perchè del sacrificio dei suoi
genitori. Si tratta del segreto che porta Jeanine a non fermarsi
davanti a nulla per catturarla. Tris affronta le sue paure più
oscure, cercando di evitare di causare dolore ai suoi cari,
imbattendosi in una serie di sfide impossibili, cercando di far
emergere la verità sul passato.
La prima
parte del terzo capitolo di Hunger Games, che presenta più di un
punto in contatto con Insurgent, sfrutta la fantascienza distopica ed
il percorso dell'eroe per costruire un profondo discorso attorno alla
natura simbolica della protagonista, alla potenza delle campagne
pubblicitarie e alla costruzione di una forte personalità in
relazione al contesto pubblico. Gli accenni metacinematografici
abbondavano nettamente.
The Divergent Series: Insurgent
risulta privo di una più profonda ed ulteriore chiave di lettura,
finendo per essere un gioco masturbatorio per ragazzi scarsamente
stratificato. Dietro il velo di Maya dell'azione e del ritmo elevato,
non c'è nulla.
Il risultato
è, quindi, la copia brutta e slavata di Hunger Games, in cui né il
cast né il lavoro sull'immagine raggiungono i risultati sperati.
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