Immagine scura in controluce. Un piano americano che vede una figura femminile di spalle, a testa china, che sospira. Stacco. La protagonista della storia, Jo, interpretata, da Saoirse Ronan, entra in una casa editrice. La macchina da presa si ferma su dita sporche d’inchiostro che giocherellano nervose. Un paio di stivali si muove tra la folla, in una corsa che molto ricorda quella della stessa regista, Greta Gerwig, in Frances Ha. Un sorriso spensierato lascia la cornice cittadina per un quadro impressionista che introduce Amy, qui interpretata da una magnetica Florence Pugh. In una carrozza, insieme alla giovane ragazza, troviamo Meryl Streep nella parte della zia, che, in questo remake, perde la personalità arcigna per ampliare il proprio lato umano.
Lo sguardo annoiato di Amy, rappresentato tramite una soggettiva in rallenti, introduce Laurie, alias Timothée Chalamet che, dopo una scena scandita da un dialogo calzante, si allontana mentre un controcampo inquadra un nuovo sorriso, anche se meno speranzoso e più malinconico, stavolta quello della giovane March, che permette alla camera di staccare su Meg (Emma Watson). Prosegue un climax che conduce lo spettatore in un’atmosfera sempre più cupa, che dalla povertà di Meg si trascina verso Beth (Eliza Scanlen), intenta a suonare il pianoforte. Inizia così il nuovo adattamento dei romanzi di Louisa May Alcott: Piccole donne e Piccole donne crescono, protagonisti di numerose trasposizioni, tra cui quella del 1933 di George Cukor con Katherine Hepburn, quella del 1994 con Winona Ryder, Christian Bale e Susan Sarandon (forse la più famosa per il grande pubblico), fino alla miniserie del 2017 della BBC One con Maya Hawke, acclamata per il suo recente ruolo nella terza stagione di Stranger Things.
Proprio alla luce della fama di quello che è considerato uno dei classici degli adattamenti audiovisivi, la regista e sceneggiatrice californiana decide di reinventare la struttura letteraria di questa storia ottocentesca. Carrellate, stacchi che a tempo di musica cambiano prospettiva e che mixano il classicismo con uno sguardo contemporaneo, facendo entrare lo spettatore nel vivo della storia. Greta Gerwig, ormai alla sua seconda regia, dimostra di aver lasciato lo sguardo incantato ma forse un po’ inesperto di Lady Bird e di essere approdata a una regia più raffinata e studiata nei minimi dettagli. Dettagli che permettono una sincronia tra il montaggio, la sceneggiatura (l’aspetto più innovativo di tutto il film) e i dialoghi ritmati. Tale elemento emerge anche dalla scelta di non raccontare nuovamente la storia come è stata sempre portata in scena ma di giocare tra passato e presente, tra romanzo e realtà. Realtà fattuale che molto riecheggia nella contemporaneità, come fosse una luce calda ma piena di ombre, la stessa che caratterizza lo stile che il direttore della fotografia Yorick Le Saux (Personal Shopper, High Life) utilizza nella maggioranza delle sequenze del film.
«Non riesco a superare la delusione di essere nata donna» ammette amareggiata Jo, il cui personaggio, però, non si limita alla consapevolezza di questa condizione, ma, prendendone atto, decide di affrontare in modo creativo lo svantaggio per trarne un vantaggio, come la stessa Gerwig fa con questa trasposizione, dando così forse l’unica risposta degna di nota al #Metoo. In conclusione, il Piccole donne del 2019 riesce a rendere appetibile una storia ormai nota che non smette mai di stancare grazie ai costumi e alle scenografie, che ritrovano una freschezza, soprattutto, nella sceneggiatura, nel montaggio e nella regia, sia visiva che più strettamente legata alla direzione degli attori. Senza ricorrere a troppi fronzoli, la regista trova così l’unico modo possibile, in epoca contemporanea e dopo i numerosi adattamenti, di trasmettere al pubblico il cuore e l’autenticità dei romanzi, riuscendo a far convivere il classico al contemporaneo.
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