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domenica 8 settembre 2019

C'ERA UNA VOLTA A...HOLLYWOOD

di Macha Martini 

Uno spot in bianco e nero. Tanti colori, sgargianti. La mdp che guizza e turbina tra scale a chiocciola, gambe, trolley. Sharon Tate, che svanisce per poi ricomparire solo in alcuni sprazzi di film, come un fantasma nostalgico, come le immagini sullo schermo, come un vecchio tipo di cinema, come lo stesso Quentin Tarantino. Non è un caso che, in occasione della press conference di presentazione di C'era una volta a...Hollywood tenutasi il 3 Agosto a Roma, Margot Robbie abbia affermato che, nella scena culmine e più ampia dedicata alla moglie di Polanski, il regista si sia ispirato, in realtà, non a un episodio accaduto realmente ma al ricordo di un proprio vissuto, trasformando pertanto la defunta attrice in un romantico alter-ego. Un alter-ego non tanto del regista stesso quanto dell'idea di cinema di una volta, che ancora aleggia, come in un sogno, nella mente di un cinefilo. 

Sfondo, e probabilmente vera protagonista del film, la Hollywood del 1969. Epoca, come ci suggeriscono il tipo di fotografia e di regia utilizzate, piena di speranze, piena di vitalità, ma pronta ad aprire un varco verso la sabbia del deserto. In questa Los Angeles, che appare piena e vuota allo stesso tempo, incontriamo Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) un attore frenato e incastrato in ruoli così stereotipati da precipitare in una profonda crisi esistenziale e professionale (rappresentata dal viaggio tra gli spaghetti western, denigrati aspramente dall’attore e così tanto amati invece da Tarantino), che potrà risolversi solo in un’esplosione di trash a cui tutti i fan del re del pulp sono ormai abituati. Rick Dalton, che dai trailer spicca come protagonista della pellicola, è affiancato da colui, che, invece, nel corso della storia, riesce non solo a rubare il “ciak” allo stesso DiCaprio (sia a livello attoriale, che a livello di importanza narrativa del personaggio), ma che sembra anche essere l’unico possibile filo conduttore tra la realtà (le ragazze di Manson) e la finzione (il cinema). Si tratta di Cliff Booth (ovvero Brad Pitt), stuntman di Rick Dalton, nonché sua fedele spalla e factotum.

Tra poesia e ironia, il film scorre fluidamente, incantando lo sguardo incredulo dello spettatore, che però non riesce a ritrovare l’estetica dell’acclamato regista-sceneggiatore. Dallo schermo emerge un’opera che, tra malinconia e magia, tipiche di una giornata di pioggia, apre il varco di un universo cinematografico ancora mai visto e che, sebbene non rientri nelle tipiche corde di Tarantino, solo Tarantino poteva realizzare. 


In conclusione, C'era una volta a...Hollywood, come afferma lo stesso regista e sceneggiatore, risulta essere la summa di una trilogia (Bastardi senza Gloria e Django Unchained), che, allo stesso tempo, racchiude tematicamente tutto il mondo tarantiniano, in una sintesi perfetta e armonica e che però si palesa solo nell’ultima sequenza, dando un senso di fine, di rammarico, un sorriso pieno di tristezza, un ricordo di quello che non fu, ma che vorremmo che fosse stato e che solo il cinema, sembra dirci Tarantino, può restituirci in un unico e malinconico frame.

1 commento:

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