*recensione pubblicata per Point Blank: http://www.pointblank.it/recensione/solo-a-star-wars-story/
In Blade Runner 2049, testo cardine della condizione post-mediale insieme a Ready Player One, la città di Las Vegas, luogo artificiale per eccellenza del Novecento, diventa l'ultimo baluardo della cultura visuale del secolo scorso. Le rovine post-apocalittiche della città non offrono rifugio soltanto ad una determinazione dell'immagine ma anche ad un'icona dell'immaginario cinematografico novecentesco, Rick Deckard, impersonato da Harrison Ford, per antonomasia l'attore mito. Da Indiana Jones e il Regno del teschio di cristallo a Cowboys & Aliens, e ancora da Star Wars: Il Risveglio della Forza fino a Blade Runner 2049, è toccato proprio all'attore americano rimediare i propri personaggi entrati di prepotenza nell'immaginario collettivo. L'affascinante ipotesi è che, in epoca di ipermediazione e di rilocazione, di crisi dell'ontologia dell'immagine filmica e di ambienti sintetici, Harrison Ford si caratterizza come ipericona del Cinema, un eroe rimediato in un nuovo ambiente esperienziale.
Solo: A Star Wars Story espande ulteriormente l'universo di Guerre Stellari, provando a colmare il vuoto fordiano impossibile da riempire. Dopo essere stato affidato alla coppia Phil Lord & Christopher Miller, che hanno rinunciato all'incarico per divergenze creative dalla Disney, il timone dell'operazione è passato al più istituzionale Ron Howard. Dalla deriva magmatica dei nuovi media al classicismo di una colonna portante del cinema americano dell'ultimo ventennio: in questo caso, il cambio di regia funziona come manifesto programmatico di questo secondo episodio della Star Wars Anthology. Gli elementi extradiegetici invitano ad un'esperienza totalmente classica del film.
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