*pubblicato per Cinema4Stelle
Dopo Sean Penn, Brad Pitt, Jessica Chastain, Christian Bale, Ben Affleck, Natalie Portman, anche Ryan Gosling, Michael Fassbender e Rooney Mara si uniscono al novero di star che, negli ultimi anni ha voluto fortemente partecipare ad un nuovo progetto del regista probabilmente più leggendario del cinema americano contemporaneo: Terrence Malick. Autore di soli 4 film in 32 anni (dal 1973 al 2005), il regista statunitense sta attraversando una fase di particolare intensità creativa: dal 2011 ha, infatti, diretto ben 5 lungometraggi, dando luogo ad una contraddizione con i tempi fortemente dilatati della prima parte della carriera.
In Song to Song, i giovani musicisti BV e Faye cercano il successo ad Austin, entrando in sintonia con Cook, magnate dell'industria musicale e Rhonda, giovane cameriera che, preda della sua ricchezza e delle sue promesse, finirà per sposarlo. Attraverso una costruzione del racconto più elaborata e meno frammentata che si scosta dai suoi precedenti saggi filmici, Malick segue le evoluzioni nel rapporto tra le due coppie, mettendo a fuoco, in particolar modo, le conseguenze della fama e dell'edonismo. Quanto può essere pericolosa la vita nel mondo hollywoodiano o nell'impero musicale? La vacuità del successo ed il rischio della dissolutezza vengono perseguiti attraverso i tradizionali strumenti della messa in scena malickiana: le voice-over, le inquadrature fluide che tallonano i personaggi in preda ad una sorta di reverie, la riflessione filosofica e spirituale, la sensazione di morte e rinascita in ogni singola inquadratura, l'assenza pressochè totale di raccordi, il cui senso è affidato all'allegoria.
In tal modo, il film meno criptico e più intellegibile segna un'evoluzione nello stile di racconto del regista. Tuttavia, allo stesso modo in cui Song to Song è un ulteriore tassello all'interno di quel gigantesco mosaico dedicato al mondo dell'Amore, dei sentimenti, alla vita in tutta la sua universalità, priva di leggi prestabilite e di gravità, il progetto rischia anche di tracollare su se stesso. Perchè la stanchezza c'è e si avverte. E la flanerie di Song to Song rimane vittima del suo vizio di forma, quello di un cinema che muore sotto la spinta disgregante delle proprie pulsioni che potrebbero essere tutto ma finiscono per essere il nulla. Il narcisismo di Malick crea infiniti percorsi di senso che condannano il proprio cinema ad un overacting, ad una eccessiva stratificazione di significati che ne inficia l'operazione. E l'improvvisazione, la poesia e la bellezza svaniscono, rimangono dei fantasmi che si aggirano pericolosamente senza però trovare un posto in cui risiedere. La volontaria perdita di coordinate si rivela dannosa e controproducente nell'ambito di un cinema che sembra aver fatto della propria poetica un velo dietro cui nascondersi.
Andrò a vederlo questo weekend. Sto sentendo diverse voci ma io sono comunque incuriosita, prima di tutto, anche se so che é sbagliato, da un cast eccezionale.
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