Guy Ritchie è uno che ha sempre fatto parlare di sè. Ex marito di Madonna, autore di Snatch, RocknRolla e della rilettura in chiave ultra pop di Sherlock Holmes. Con una personalità del genere, le aspettative attorno a King Arthur-Il potere della spada erano elevate.
In effetti, possiamo dire che nonostante l'eccessiva frammentazione ed il carattere caotico del racconto, il film funziona anche in virtù di queste scelte che rischierebbero di minarne la compattezza narrativa. Prima di diventare mito, il giovane Arthur cresce come una canaglia nei bassifondi della città, dopo che il malvagio zio Vortigern si è impadronito del trono uccidendo il fratello. La vita di Artù cambia radicalmente quando estrae la leggendaria spada nella roccia. A quel punto, il giovane eroe si troverà costreto ad accettare l'eredità che il destino gli ha assegnato.
Dimenticate il classico adattamento fantasy del ciclo arturiano. L'estetica di Guy Ritchie è in grado di fagocitare completamente ogni residuo classico di fondo e di restituire un prodotto fiero di essere commerciale e di presentare Artù come un supereroe protagonista di un'esperienza videoludica. Tra cavalleria ed illegalità, ogni scambio di battuta all'interno del film è orientato a spingere al massimo sul pedale dell'entertainment, perseguendo l'obiettivo di uno spettacolo totale per tutte le due ore di durata. King Arthur, infatti, non rallenta mai ma gioca di continuo sull'effetto attrazione del suo essere.
L'adattamento funziona proprio in virtù del lavaggio estetico cui è sottoposto. L'arrogante deriva facilita il funzionamento di un prodotto che ha le sue migliori armi nella frammentazione, nella velocità, nell'esagerazione degli effetti speciali e nel suo carattere sincopato. In barba alla noia ed alla lentezza, King Arthur vi regalerà un'esperienza cinetica degna del miglior Zack Snyder.
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