di Matteo Marescalco
Dopo le sperimentazioni di genere relative al ventennio 1960-1980 (Sergio Leone, Dario Argento, Mario Bava, Lucio Fulci, Ruggero Deodato) che avevano consentito l'affermazione e l'esportazione all'estero del Cinema italiano, la nostra produzione nazionale si è quasi esclusivamente dedicata al mortifero binomio dell'indisponente e criptico cinema d'autore e della volgare commedia popolare. Non c'è più stato spazio per generi quali il poliziesco, il noir, il fantasy o la fantascienza che vengono costantemente etichettati come impossibili da realizzare in Italia, sia per l'elevato sforzo economico alla base della loro produzione sia per l'ampia distribuzione di film americani situati sulla stessa lunghezza d'onda che cannibalizzano il mercato italiano.
Una felice eccezione è rappresentata da Gabriele Salvatores che, nel 1997, reduce dal Premio Oscar ricevuto nel 1991 per Mediterraneo, ha diretto il film di fantascienza Nirvana, il noir Quo Vadis Baby? e si è inoltrato nel territorio del fantasy con Il ragazzo invisibile, in uscita il 18 Dicembre in Italia.
Il lungometraggio ha per protagonista Michele, un adolescente come tanti, invisibile per la ragazza che gli piace e fin troppo visibile per i bulli che lo prendono costantemente in giro. Michele vive a Trieste con la madre vedova e conduce un'esistenza piuttosto monotona. Fino a quando, un evento inaspettato ribalta nettamente la situazione: il ragazzo si guarda allo specchio e, all'improvviso, si scopre invisibile. Come gestire questa nuova condizione?
E' possibile individuare due filoni principali all'interno della carriera di Gabriele Salvatores: quello del road movie da una parte, e del rapporto genitori-figli dall'altra. Al primo appartiene la trilogia ideale Marrakech Express, Turnè e Mediterraneo. Al secondo Io non ho paura, Come Dio comanda (entrambi tratti da un romanzo di Niccolò Ammaniti) e, in parte, Il ragazzo invisibile. Mediterraneo è la summa dei temi più cari al primo Salvatores, il desiderio (la Sehnsucht del Romanticismo) di fuga da una realtà che non si comprende o che non si vuole accettare accompagnato dallo struggimento della Heimweh, la nostalgia di casa. «In tempi come questi, la fuga è l'unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare» recita la frase di Henri Laborit che appare in sovrimpressione all'inizio del lungometraggio, ratificando l'idea secondo cui il nucleo tematico del film sia da rintracciare nell'idea romantica di viaggio.
Nella seconda parte della sua carriera, il regista napoletano adottato dall'ambiente teatrale milanese, ha concentrato la propria attenzione sul rapporto genitori-figli e sull'adolescenza quale periodo di transizione e di grandi trasformazioni sul piano identitario, rapportandosi al punto di vista dei giovani adulti. Trattasi sempre, in effetti, di un viaggio, anche se, in questo caso, metaforico e privo di dislocazione spaziale.
Il ragazzo invisibile è fenomenicamente caratterizzato dall'intrecciarsi di due linee diegetiche: da una parte lo sviluppo fantasy è il centro focale del film, dall'altra viene attenzionato il solito rapporto tra mondo degli adulti e degli adolescenti.
Uno dei pregi risiede nel fatto che Salvatores non abbia mai cercato di scimmiottare il superhero
movie americano con esplosioni e botte da orbi ma si sia focalizzato maggiormente sulle dinamiche interpersonali.
«Ho sempre pensato che l'adolescenza fosse uno dei periodi più difficili nella vita di un essere umano. Il tuo stesso corpo diventa estraneo, ti guardi allo specchio e non ti riconosci, senti che dentro di te sta nascendo un potere (un super potere?) che non sai come usare. Anche perchè ancora non hai ben capito chi sei e che posto hai nel mondo» -ha dichiarato il regista in conferenza stampa- «Sono sicuro che tutti gli adolescenti si sono sentiti almeno una volta invisibili. O avranno desiderato esserlo. E tutti, almeno una volta, avranno desiderato di avere un potere speciale che li protegga o li renda eroi almeno just for one day, come canta David Bowie».
L'aspetto più interessante del film è legato alla dinamica dello sguardo e alla pulsione scopica (che Salvatores ha analizzato anche in Nirvana). Il semiologo Christian Metz ha proposto, in relazione al contesto cinematografico, la teoria dello psicanalista Jacques Lacan secondo cui il momento in cui il bambino riconosce allo specchio l'immagine di un altro (generalmente la madre) accanto a quella che intuisce essere la propria è fondamentale per la costituzione della soggettività individuale. Paradossalmente, ne Il ragazzo invisibile, Michele comincia a pensare a se stesso come ad un io attante dal momento in cui si scopre invisibile. Ed il meccanismo di riconoscimento-misconoscimento avviene proprio dinnanzi ad uno specchio.
Andreij, personaggio interpretato da Christo Jivkov (che riporta alla figura di Tiresia), è un uomo cieco dall'identità misteriosa che ha il potere di leggere nelle menti altrui e, quindi, di predire il futuro. D'altronde, la dinamica del sapere è strettamente connessa se non direttamente consequenziale a quella del vedere.
«Il cinema ha due anime, quella reale dei fratelli Lumiere e quella fantastica di Melies. Ne Il ragazzo invisibile abbiamo voluto attingere più alla sua componente fantasmatica. Jacques Derrida affermava che il Cinema è l'arte di evocare fantasmi. E, in effetti, il protagonista, Michele, si trasforma in un vero e proprio fantasma. In sala assistiamo tutti quanti a storie che ci riguardano, ci troviamo di fronte alle nostre utopie, ai nostri desideri anche alle nostre paure più recondite. Il paradosso della società contemporanea è legato al fatto che per essere notato si deve scomparire. Nel mondo in cui ciò che conta è apparire, l'invisibilità si carica di un senso più profondo. L'aspetto più difficile del film è stato filmare l'invisibile e rendere la dicotomia tra sguardo del pubblico e dei personaggi del film», secondo quanto affermato da Salvatores.
Il ragazzo invisibile colpisce anche per l'artigianalità degli effetti speciali e per alcune sequenze che ricordano il cinema di fantascienza di Steven Spielberg. Come non pensare ad E.T., durante le scene iniziali in cui il protagonista si muove in bicicletta? La sceneggiatura è ricca di omaggi virati verso l'immaginario cinematografico con cui siamo stati svezzati più o meno tutti: si va da I Gremlins a Il sesto senso, da Spider Man a X-Men, da Lasciami entrare a Shining, da Super 8 a I Goonies.
Particolarmente riuscita è la descrizione e l'ambientazione dell'antefatto in una Russia fredda e solitaria, appena uscita dal disastro nucleare di Chernobyl che ha mutato il DNA di alcune persone. Si chiamano in causa anche una serie di implicazioni legate al dark side del potere.
Nonostante non sia esente da difetti che riguardano principalmente alcuni raccordi sceneggiaturali, non abbia un vero e proprio target di riferimento e manchi di carica viscerale nella rappresentazione dei sentimenti adolescenziali, il film affascina e conquista mostrando, attraverso la metafora dell'invisibilità, la transizione di un individuo da uno stato all'altro.
Gabriele Salvatores si conferma un grande autore sempre coerente con il suo percorso filmico che, in fondo, non è mutato più di tanto nel corso degli anni. La sperimentazione linguistica consentita dai generi gli ha permesso, ancora una volta, di nascondere sotto al velo del film per ragazzi un'interessante indagine su quel lungo viaggio alla scoperta di se stessi che è l'età adolescenziale.
se arriverà nei cinema della mia città dimenticata da dio e dalle distribuzioni, lo andrò a vedere, anche per colpa tua!
RispondiEliminaDimenticata da Dio e dalle distribuzioni?! Avete il RE degli esercenti cinematografici! uahahah
RispondiEliminavuoi dire il coglione maniaco che guarda filmacci anni '70-'80 purché ci sia una tetta o un culo, e che preferisce guardare merda francese piuttosto che mediocrate americane o italiane? maaaaaaa vaaaaaaaaaaaaaaa
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