Un film di Pablo Larraìn. Con Luis Gnecco, Gael Garcia Bernal, Mercedes Moran, Alfredo Castro. Scritto da Guillermo Calderon. Fotografia: Sergio Armstrong. Cile 2016. Durata: 107 minuti.
«In Cile Neruda è nell’acqua, nelle piante, nell’aria. La mappa del Cile stessa è il ritratto di Neruda. Ce l’ho nel corpo, nei capelli, nella carne, nel sangue».
Siamo nel 1948: la Guerra Fredda è arrivata anche in Cile. Al congresso, il Senatore Pablo Neruda accusa il governo di tradire il Partito Comunista e rapidamente viene messo sotto accusa dal Presidente Gonzalez Videla. Il Prefetto della Polizia, Oscar Peluchonneau, viene incaricato di arrestare il poeta.
Neruda tenta di scappare dal paese insieme alla moglie, la pittrice Delia del Carril, ma i due sono costretti a nascondersi.
«Ho lavorato per cinque anni su questo progetto, ho letto tre libri e infine fatto un film, ma nonostante ciò non so chi sia Neruda».
Così ha risposto Pablo Larraìn ad una delle domande poste durante la conferenza stampa che ha succeduto la proiezione di Neruda, suo penultimo film.
Il regista cileno ha catalizzato l’attenzione negli ultimi anni, imponendosi come uno degli autori emergenti (e ormai affermati) del panorama mondiale.
Ma Neruda non è assolutamente un film biografico standard. Anzi, è totalmente l’opposto, un anti-biopic, come l’ha definito Larrain stesso, perché il poeta era «un personaggio troppo vasto, complesso e profondo da poter rappresentare in un film».
Il film diventa così una poesia, un canto a Neruda e al suo universo, «un poema che abbiamo realizzato sognando che lui potesse leggerlo».
E scrivere, parlare di quest’opera o provare ad analizzarla non può che essere un’azione che va a sminuire l’opera stessa.
Il film di Larraìn stupisce dal punto di vista visivo e nella sua costruzione narrativa; il biopic diventa commedia nera, poliziesco, un film storico e (incredibilmente) un western, il tutto orchestrato come in un racconto di Borges.
L’anima poetica e l’anima politica del personaggio si mescolano, si confondono e si scindono.
Il personaggio di Gael Garcia Bernal è allo stesso tempo proiezione e creazione di Neruda (poeta) e coprotagonista e narratore onnisciente di Neruda (film).
La potenza letteraria della sceneggiatura di Guillermo Calderon è evidente soprattutto nel gioco dialettico che si instaura tra i due protagonisti, i quali si passano la palla della narrazione in tutto l’arco della vicenda. Come preda e cacciatore si rincorrono, cambiano ruolo e si trasformano, in questo viaggio che può essere definito come un road movie metafisico. Due scene rimarranno certamente scolpite nella memoria di chi vedrà il film: il dialogo nella seconda parte tra Delia e Oscar (potente, surreale, onirico) e l’epica scena finale tra le Ande innevate.
Vedendo i film di Larraìn e sentendolo parlare, ci si rende conto di quanto possa considerare il cinema come una ragione di vita, come un modo per leggere la realtà, oltre il realismo, oltre la Storia e le storie.
«Mi piace molto il cinema realista, se fatto bene ma io non so farlo. Non posso fare un cinema di quel tipo, a me commuove il cinema di atmosfera.
Penso che un regista si debba fidare dello spettatore e delle sue capacità, che un film debba essere aperto, costruirsi con lo spettatore, lasciare vuoti e interrogativi, creare una dialettica tra il pubblico e lo schermo».
io l'ho trovato pesantissimo, ma amando tanto il cile e neruda mi è piaciuto lo stesso
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