Un film di William Brent Bell. Scritto da Stacey Menear. Con Lauren Cohan, Rupert Evans, Jim Norton, Diana Hardcastle. USA 2016. Durata: 97 minuti.
Alla ricerca di un nuovo inizio dopo un passato travagliato, una giovane donna americana si rifugia in un isolato villaggio inglese. E' qui che Greta (Lauren Cohan) viene assunta da una coppia di anziani genitori in una maestosa villa vittoriana per fare da babysitter al loro figlio di otto anni, Brahams. Ben presto Greta scoprirà che quel ragazzo altri non è che una bambola a grandezza naturale che i signori Heelshire trattano come un bambino vero. Tutto comincia ad incupirsi quando Greta, rimasta sola, ignora le rigide regole imposte dalla coppia e inizia un flirt con un ragazzo del villaggio, Malcolm (Rupert Evans). Una serie di eventi inquietanti e inspiegabili, ai limiti del soprannaturale, la condurranno a vivere un incubo ad occhi aperti.
The Boy si rifà ad un immaginario horror abbastanza classico: abbiamo il vecchio castello, una coppia stramba e vagamente inquietante di anziani, una giovane e bella ragazza che fugge da un’altra vita e una bambola (un potente elemento drammaturgico sempre ben sfruttato in questo genere: Dead Silence, La bambola assassina, L’Evocazione, per citarne alcuni).
Inizia come un film di James Wan e finisce come un film di Shyamalan, questo The Boy.
Ma, purtroppo, non riesce a raggiungere il risultato di ottimi, se non grandi, film come The Conjuring e il recente The Visit.
La regia di William Brent Bell si adagia molto facilmente su schemi già collaudati e inquadrature già viste, e se il cinema racconta attraverso le immagini, la regia deve dare un qualcosa in più rispetto alle parole e al racconto. In questo caso una prima parte che dovrebbe inquietare e coinvolgere risulta banale e anche abbastanza noiosa.
Procede in maniera “classica”, facendo succedere tutto ciò che ci aspettavamo dopo aver visto il trailer: la doccia, la soffitta, il quadro e, naturalmente, le regole da (non) seguire.
Però poi il film migliora grazie soprattutto alla sceneggiatura di Stacey Menear che riesce a gestire bene personaggi, indizi, colpi di scena e, ancor di più, la fase della storia che riguarda il passato della protagonista (il “fantasma” di Cole, suo ex fidanzato, è quasi più spaventoso di quello che dovrebbe trovarsi nel vecchio castello).
Ed è forse qui che risiede il punto di maggior interesse del film, come se volesse riportare l’attenzione, dopo una serie di inganni e distrazioni, alla vera natura delle nostre paure: quelle che scaturiscono dagli esseri umani.
Il problema, come nella maggior parte degli horror moderni sta in quelli che, in maniera molto banale, potremmo chiamare “spaventi facili” (ne avevamo già parlato nella recensione di quel grande film che è The Babadook). Nonostante ci siano alcune scene ben orchestrate e abbastanza inquietanti, si cade sempre troppo facilmente in una costruzione dello spavento momentaneo (anche in momenti in cui non ce ne sarebbe davvero bisogno) in cui la paura nasce e muore nell’arco di pochi secondi.
Per fortuna un buon colpo di scena e un’ultima parte quadrata e riuscita salvano questo film (che parte come un horror sovrannaturale/psicologico e poi si evolve in una sorta di slasher) dall’essere uno dei tanti film dell’orrore odierni: ricchi di facili spaventi e poveri di sostanza.
Lo recensirò stasera o domani, ma fondamentalmente il mio giudizio è: una cazzata :)
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