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martedì 24 maggio 2016

JULIETA

di Matteo Marescalco

Pedro Almodovar è uno di quei registi che, nel corso dei decenni, a causa delle proprie scelte stilistiche fortemente autoriali, è riuscito ad affermarsi come brand. Non stupisce, quindi, sentire il brusio del pubblico quando la scritta El Deseo presenta appare sullo schermo. Si accorre in sala per il nuovo dramma di Almodovar, sapendo già che ci troveremo a che fare con destino, figure femminili dalla spiccata sensualità e forza d’animo, uomini che si fanno divorare dagli istinti carnali e, soprattutto, apparati scenografici dai colori saturi ed eccentrici. Dopo l’acida stoccata de Gli amanti passeggeri, il regista spagnolo torna sullo schermo con Julieta, tratto da tre racconti di Alice Munro, Fatalità, Fra poco e Silenzio, condensati per partorire una quarta creatura che racchiude in sé tutte le ossessioni di Almodovar.

Dopo la pausa del precedente film-divertissement, Julieta sembra rispondere ad un quesito che molti aficionados del regista si sono posti: che fine hanno fatto le tanto amate donne di Almodovar? Julieta le rappresenta. Ha incontrato uno sconosciuto su un treno e in questo non-luogo ha avuto un rapporto sessuale con lui. I due hanno avuto una figlia, Antìa, che, dopo la perdita del padre, ha affrontato la depressione della madre. Fino al compimento dei diciotto anni di età. Improvvisamente, il giorno del suo compleanno, abbandona la madre senza alcuna spiegazione. Julieta, scrivendo i ricordi, china sulla scrivania di casa sua, apre le sue emozioni allo spettatore che è preso per mano e condotto nel suo passato, segnato, fin dall’inizio, da un oscuro destino, dai tratti lynchiani.
E noi con lei intraprendiamo un viaggio nel cinema del regista, a bordo di un treno dai colori sgargianti e dalle forme geometriche. Il melodramma ed il thriller si intrecciano nel labirinto di passioni che è lo stile filmico di Almodovar. E via con le figure che sembrano marionette tra le mani del Caso, vittime dei drammi più sfrenati ed eccessivi, di tragedie che trovano la loro terra natia nelle zone costiere, aree mediterranee così prodighe di leggende e di racconti mitici. La più cara amica di Julieta è Ava, scultrice che crea figure in terracotta raffiguranti uomini nudi seduti. Julieta insegna letteratura classica e ama guardare Ava plasmare queste figure, creandole dal nulla, con l’ausilio dell’argilla e del fuoco delle passioni, allo stesso modo in cui gli dei hanno creato l’uomo e gli altri esseri umani.

Il problema è che, oltre all’idea del viaggio all’interno del proprio cinema, c’è ben poco di interessante in Julieta, le cui passioni ed emozioni si perdono come lacrime nella pioggia. Nonostante la tentata sincerità, la stilizzazione totale raffredda i sentimenti, raggiungendo il risultato di un’opera d’arte che ha eccessivamente sublimato la passione e la trasgressione di cui vorrebbe essere foriera. La deflagrazione non arriva ma resta vittima della cappa di colori e di geometrie cui viene inevitabilmente condannata dal suo autore.

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