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martedì 15 settembre 2015

VENEZIA72: L'AMORE (E L'ODIO) CHE RESTA seconda parte

di Matteo Marescalco

Si continua con le opinioni sui migliori e i peggiori film della 72esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Al link, potete trovare la prima parte dell'articolo. Stavolta, tocca ai due redattori Egidio Matinata e Mara Siviero.

EGIDIO MATINATA

PARADISO.
FRANCOFONIA di Aleksandr Sokurov
Semplicemente una spanna su tutti gli altri. Sokurov gioca in una categoria a parte e firma il capolavoro del festival a quattro anni dal Leone d'Oro vinto con Faust. L'ambientazione principale è di nuovo, come in Arca Russa, un museo: il Louvre. Ma non siamo più accompagnati da un sinuoso piano sequenza, bensì da una totale frammentazione (ricostruzioni storiche, filmati di repertorio, opere d'arte) in cui la voce narrante (Sokurov stesso) interagisce con i personaggi del passato per raccontarci quanto l'arte sia legata indissolubilmente con il Potere, la Storia, l'Umanità.
 
Ex aequo: 11 MINUTI di Jerzy Skolimovski ed EL CLAN di Pablo Trapero
Il film di Skolimovski racconta gli undici minuti in cui si intrecciano le vite di diversi personaggi. Si ha sempre la sensazione di assistere ad una vicenda che si svolge in un mondo "altro", probabilmente un mondo virtuale smascherato da un unico pixel, forse una lontana (o impossibile) via di fuga.
Trapero narra la storia vera del clan Puccio, autore di vari sequestri di persone facoltose nell'Argentina degli anni '80 post dittatura. Il film riesce ad unire ricostruzione storica e tematiche sociali rimanendo un puro gangster movie, guidato da un cast superlativo e da una regia debitrice dei maestri del genere (Scorsese su tutti). Leone d'Argento.
 
INFERNO.
A BIGGER SPLASH di Luca Guadagnino
Durante una vacanza a Pantelleria, riemergono dissapori e ricordi del passato che portano i quattro protagonisti (una coppia, un padre e una figlia) al conflitto. Guadagnino spreca un grande cast (sulla carta) gestendo il film con presunzione e superficialità. Un lungometraggio squilibrato che tenta anche di inserire delle riflessioni (in realtà, sembrano più piovere dal cielo) sul comunismo e sulla questione degli immigrati. Con una mezz'ora finale che vorrebbe essere thriller ma che risulta soltanto ridicola, con il povero Corrado Guzzanti vittima assoluta. Esempio perfetto di falso cinema d'autore.

REMEMBER di Atom Egoyan
Christopher Plummer tenta invano di reggere il film sulle proprie spalle interpretando un anziano affetto da demenza senile in cerca dei criminali nazisti responsabili della morte della sua famiglia. "Non basta chiedere scusa per quello che avete fatto"; settant'anni (di cinema) dopo l'Olocausto ci si aspetterebbe qualcosa di meno banale rispetto a concetti del genere, di cui, invece, Remember è colmo. Egoyan impacchetta l'ennesimo film scialbo. Un mistero la presenza in concorso.

MARA SIVIERO

PARADISO
NON ESSERE CATTIVO di Claudio Caligari
Non essere cattivo è l’ultima opera di Claudio Caligari, scomparso prematuramente pochi mesi fa.
La storia è una di quelle più usate cinematograficamente: è incentrata, infatti, sull’assunzione e l'abuso di droga. Tuttavia, in questo film, il contesto è dotato di nuova linfa vitale. Perché come il regista ha già dimostrato nella sue pellicole precedenti, in documentari e nel lungometraggio Amore Tossico, il mondo della droga non coinvolge solo chi la assume, ma anche chi prova a non farne parte.
Non essere cattivo abbandona i luoghi comuni; le persone che fanno parte di questo mondo sono, per la maggior parte, disperate a causa di vicende prevalentemente economiche e, spinte dall'impossibilità di trovare un lavoro onesto, si accontentano di far parte di questo circolo vizioso. Chi sceglie questa strada, facendo male prevalentemente a se stesso, cerca di rendere meno gravosi i problemi agli altri componenti familiari. Peccato che poi, chi fa parte di questo mondo, venga catapultato nell’inferno dell’autodistruzione, e in assenza di un Virgilio pronto a sacrificare se stesso ed i propri interessi, l’inevitabile fine è l’implosione.
Vittorio e Cesare, i protagonisti della pellicola, sono più che fratelli, e, al contempo, non sono altro che due facce della stessa medaglia. Solo che un risvolto rimarrà sfregiato, mentre l’altro cadrà nel vuoto, senza un biglietto di ritorno.
 
ANOMALISA di Charlie Kaufman e Duke Johnson
Tra tutti i film presentati a Venezia, il film di animazione rimane sempre cosa gradita.
Anomalisa di Charlie Kaufman (sceneggiatore di Eternal Sunshine of the Spotless Mind) e di Duke Johnson, è stato presentato nella sezione in Concorso; il film in stop-motion è originale ed apprezzabile perché varia dagli istinti fisici ai più profondi pensieri dell’animo umano.
La storia potrebbe essere delle più comuni: due entità, ognuno con i suoi problemi, l’incontro di una notte che può far prendere strade diverse, nemmeno immaginate, ai protagonisti.
Pupazzi dotati di bisogni fisici ed i pensieri che in fondo tutti facciamo nell’arco della nostra vita. Chi non ha mai pensato: "Chi siamo noi? Perché soffriamo?".
Nulla è imbarazzante, casto o puro, anche i pupazzi fanno l’amore ed hanno problemi personali. Temi raccontati con maestria, naturalezza e profondità. Doti che continuano ad emergere da quel piccolo grande uomo di Kaufman.

INFERNO
L'ATTESA di Piero Messina
Tra le opere prime, L'attesa di Piero Messina è quella che più risalta all’occhio, per la performance soporifera più che per altro.
Già assistente alla regia di Paolo Sorrentino, Messina cerca di far confluire nella sua pellicola tutte le lezioni che ha appuntato nel corso della sua carriera, creando una gran minestrone insipido.
Protagoniste sono due donne che si trovano insieme ad elaborare il lutto della perdita del figlio della prima nonché fidanzato della seconda.
Passi che i silenzi evocano più di mille parole ma quando diventano troppi è inevitabile che la palpebra inizi a calare. Messina non riesce a non fare a meno degli insegnamenti sorrentiniani ricevuti, immettendone nella pellicola una gran quantità, facendo praticamente a meno di impegnarsi ad assumere un proprio profilo registico. Anche le interpretazioni delle due protagoniste (Juliette Binoche in primis) vanno sprecate sotto il peso di un'opera di debutto che muore nell'eccesso derivativo.

MAN DOWN di Dito Montiel
"Man down" è un codice tra padre e figlio, un "ti voglio bene" criptato con l'obiettivo di renderlo riconoscibile solo a loro e a nessun’altro, per l’affetto esclusivo che li lega e per evitare imbarazzi di fronte ad altre persone.
Il film, diretto da Dito Montiel, parla dei concreti e permanenti traumi post-missione di guerra. Gabriel Dummer è un ex marine, che si ritrova a dover fare i conti con il proprio passato per poter aggiustare il presente, perdendosi nei fastosi ricordi della sua famiglia e dell’ottimo rapporto con il suo migliore amico; momenti, che dopo la guerra, non torneranno più.
Il è film pieno di buoni propositi, tra cui quello di porre sul piano visivo la doppia visione di chi ha subito traumi irreversibili; come è il mondo reale, e com’è quello da essi percepito. Una guerra continua.
Le premesse si perdono per strada, tra riferimenti, più o meno voluti, ad American Sniper, collocazioni scenografiche pseudo post-apocalittiche, ed interpretazioni non proprio eccellenti; se quella di Shia LaBeouf riesce quasi ad essere credibile, Kate Mara è decisamente non pervenuta.

DESDE ALLÁ (FROM AFAR) di Lorenzo Vigas

Nel centro dell'affollata Caracas, un uomo solo, di mezza età di nome Armando, adesca ragazzi per la città dando loro denaro. Li invita a casa, li fa spogliare ed osserva le loro grazie. Ma quando incontra Elder, giovane teppistello di città, il rapporto che nasce, dapprima tempestoso, comincerà a diventare più profondo, tale da modificare il percorso delle loro vite.
Di questa pellicola è apprezzabile il fatto di aver trattato un tema delicato come quello delle sfumature che derivano dall’amore, in un mondo difficile e irto di ostacoli come quello di Caracas (che potrebbe comunque essere ovunque); tuttavia, il film pecca di originalità nello sviluppo della trama.
La vicenda sembra la stessa del film Eastern Boys di Robin Campillo, che vinse come Miglior Film in Orizzonti due anni fa a Venezia, e che racconta, alla stessa maniera, l’ambiguità dell’amore, con gesti espliciti e tensione che continua a crescere. 

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