di Matteo Marescalco
Dopo
Quentin Tarantino e Robert Rodriguez, tocca ad un altro grande amico
del regista di Pulp Fiction riallacciarsi al filone italiano dei film
di genere.
Già
autore del bel Cabin Fever, debitore di Un tranquillo week end di
paura di John Boorman, e dei terribili torture-porn Hostel ed Hostel
II, Eli Roth è tornato dietro la macchina da presa per dirigere The
Green Inferno, presentato all'ottava edizione del Festival del Film
di Roma, durante la quale, l'allora direttore artistico Marco Muller,
noto amante di prodotti di genere, aveva anche dedicato una
round-table a maestri italiani del cinema di genere quali Sergio
Martino, Mario e Lamberto Bava, Enzo G. Castellari e Ruggero Deodato.
E
al censuratissimo Cannibal Holocaust di Deodato sorge spontaneo
pensare leggendo la trama di The Green Inferno.
Protagonista
della vicenda è Justine, figlia di un membro dell'ONU che, per la
prima volta nella sua vita, ha la possibilità di scendere in campo
unendosi all'azione di un gruppo di attivisti con cui condividere un viaggio in Perù. Obiettivo: andare
nella foresta amazzonica, incatenarsi a degli alberi che stanno per
essere abbattuti e riprendere tutto con dei cellulari, in modo da
postare il filmato sui social network e sensibilizzare l'opinione
pubblica sull'accaduto.
Ma
l'immaginario legato a questo genere ci ha insegnato che non sempre
le tribù autoctone sono cortesi con gli stranieri.
Fin
dai tempi del western e del contrasto tra wilderness dei popoli
vergini e civilization dei conquistatori, si è affermato,
nell'immaginario cinematografico, lo scontro tra due culture
differenti. Una a far da padrona e l'altra da sottomessa. Nel corso
del tempo, il cinema americano ha digerito la problematica storia del
Nuovo Mondo, dal colonialismo alla conquista della Frontiera, dalla
Guerra di Secessione fino ancora al fallimento del Vietnam. Cadaveri
e fantasmi di un passato mai dimenticato che trovano la loro
proiezione in tribù retrograde appartenenti a terre selvagge che non
perdonano chi vi mette piede.
Il
gruppo di giovani in vacanza (o con altri obiettivi) che si perde in
una zona sconosciuta abitata da reietti umani è diventato lo
standard per una determinata tipologia di prodotto che ha orientato
sempre più se stesso verso la crudeltà più efferata. Il wrong turn
movie ha portato in scena un'America selvaggia che riduce i propri
figli che non prestano attenzione alle regole dello stato di natura
in selvaggina e carne da macello.
In
The Green Inferno, Eli Roth sembra mantenere una riflessione
sull'avanzata del capitalismo solo superficiale che non vada ad
inficiare il suo obiettivo principale: divertirsi. Mostrare i corpi
martoriati, seviziare, violentare e disgustare lo spettatore. Peccato
che, nonostante la cattiveria nei confronti dei personaggi
occidentali, nel complesso, questo film sia stato parecchio gonfiato
dalla campagna pubblicitaria e rappresenti un passo indietro rispetto
ai due capitoli di Hostel.
Attendiamo,
a questo punto, Knock Knock, dramma horror in cui agenti esterni
malintenzionati irrompono in casa di uno sconosciuto. La tragedia,
stavolta, colpisce il nostro cuore pulsante. E lo spettro irrisolto
dell'11 Settembre è, ancora, dietro l'angolo.
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