di Matteo Marescalco
Primo film distribuito dalla piattaforma di Video on Demand Netflix a partire dal 16 Ottobre, Beasts of No Nation, è il terzo lungometraggio di Cary Joji Fukunaga, reduce dal successo planetario alla regia della prima stagione di True Detective, serie tv che ha rivoluzionato i canoni televisivi, e come produttore della seconda stagione.
Primo film distribuito dalla piattaforma di Video on Demand Netflix a partire dal 16 Ottobre, Beasts of No Nation, è il terzo lungometraggio di Cary Joji Fukunaga, reduce dal successo planetario alla regia della prima stagione di True Detective, serie tv che ha rivoluzionato i canoni televisivi, e come produttore della seconda stagione.
La
storia del film è semplice e, in effetti, anche parecchio
inflazionata. Protagonista della vicenda ambientata in Africa è un
ragazzino che viene sradicato dal villaggio natale e che capita tra
le grinfie di un soldato assoldato (scusate il gioco di parole) da un
gruppo di politici locali. Il colonnello (così si fa chiamare il
soldato), interpretato da un perturbante Idris Elba, la cui presenza
fisica basta ad incutere timore, lo sfama e lo educa alla violenza
della guerra. Tra i due si viene a creare uno strano rapporto, come
quello tra un maestro ed il suo discepolo prediletto.
La
struttura narrativa ricalca quella di alcuni cult di guerra quali Il
cacciatore di Michael Cimino e Full Metal Jacket di Stanley Kubrick.
Anche in Beasts of No Nation, difatti, vi è un prima ed un dopo
guerra. E se nel film di Cimino la prima parte scorre lenta e
dilatata, instillando nello spettatore la paura di tutto ciò che, da
là a poco, è destinato ad accadere, Fukunaga contrae il ritmo. Dopo
un necessario prologo che illustra la tranquilla vita del villaggio,
con i bambini protagonisti di voli pindarici immaginativi (geniale la
trovata della tv dell'immaginazione che consente ai piccoli
protagonisti di mettere in atto dei veri e propri spettacoli.
Inevitabile pensare ai film maroccati di Be kind rewind di Michel
Gondry), entra in scena un gruppo di bestie senza nazione, soldati
mercenari che combattono in nome di ideali alquanto confusi.
Lo
scenario cambia, la quiete è interrotta, la famiglia del bambino
protagonista viene massacrata e si assiste ad una progressiva
educazione all'omicidio. Il regista di True Detective non ci
risparmia niente, evita di addolcire la scena mostrando il vero volto
dell'orrore e si serve dei più tradizionali topoi narrativi del
genere aggiornandoli all'epoca della contaminazione intermediale ed
evitando di cadere nella banale retorica derivante dall'assunzione
dello sguardo del giovane protagonista. E la Mostra Internazionale
d'Arte Cinematografica di Venezia si svecchia e si aggiorna ai
prodotti nati e pensati per il Web.
Il
viaggio di formazione di questa Odissea al contrario ricorda, in
parte, gli scenari dei romanzi di Stephen King e di H.P. Lovecraft.
Dopo essere stato estirpato dalla Madre terra cui apparteneva, il
bambino protagonista entra in contatto, come abbiamo già detto, con
il vero volto dell'orrore, con il lato oscuro di una Natura ostile
che costringe gli uomini ad uccidersi gli uni gli altri per
accaparrarsi il potere sul mondo. Non poche volte, entra in scena la
voce narrante di Agu, a tratti eccessivamente ridondante, foriera di
considerazioni su Dio e sulla natura umana. Non a caso, Cary Fukunaga
era stato indicato come prossimo regista del nuovo adattamento di It
di King, progetto poi fallito all'ultimo momento.
Ma
Agu non è rimasto vittima del processo di trasformazione cui è
stato sottoposto dal colonnello.
E' ancora in grado di vedere con i suoi occhi, a differenza del personaggio di Idris Elba che, la maggior parte delle volte, indossa un paio di occhiali da sole, che fungono da filtro attraverso cui guardare alla realtà.
La salvezza è ancora possibile, non tutto è perduto.
Basta una semplice corsa insieme a dei coetanei, su una spiaggia al tramonto, a donare un ultimo raggio di speranza alle vittime di queste bestie senza nazione.
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